Albert Ebossè Bodjongo, calciatore camerunese, ucciso in campo in Algeria da una pietra. Si giocava in Cabilia, dove l’identità è in guerra con il governo
di Christian Elia
@eliachr
25 agosto 2014 – L’assurdo è categoria teatrale, il dramma è un codice narrativo, la tragedia è un pezzo di vita. La vita di Albert Ebossè Bodjongo è finita a 24 anni, in un campo di calcio. Uno dei campi, in giro per il mondo, dove si guadagnava da vivere.
Partito dal Camerun, passando per la Malesia, fino ad arrivare in Algeria. Il calcio, per pochi, è una miniera d’oro, per tantissimi una stanza piena di passione e rimpianti, per qualcuno è una miniera di carbone, dove guadagnarsi il pane giorno per giorno.
Albert è uno di quelli che appartiene all’ultima categoria. Bravo, capace di far goal (17 nell’ultimo campionato algerino, titolo di capocannoniere conquistato), ma non abbastanza da ambire alle sicurezze economiche dei campionati che contano. Dopo la bella stagione dello scorso anno, pare che alcuni club francesi si fossero interessati a lui, ma non sapremo mai se è vero.
Una pietra lo ha colpito al capo alla fine della partita tra JS Kabylie di Tizi Ouzou e l’USMA di Algeri. La squadra della capitale ha vinto 2-1 in trasferta, in casa della squadra simbolo della regione algerina della Cabilia. Partita sentita, molto sentita. Contestazione dei tifosi di casa, cui Bodjongo aveva regalato la gioia dell’unica rete dei padroni di casa. Scontri, incidenti, lancio di oggetti.
Una maledetta pietra ha colpito Albert, la corsa in ospedale si è rivelata inutile.
Non sapremo mai se Albert sarebbe andato in Francia, non sapremo mai che ne pensava della rivalità che divide JSK e USMA. Perché a volte la vita ti mette al centro di sentieri di altri, parte di una storia che non ti appartiene.
Quella storia è quella dell’Algeria, della Cabilia e del governo centrale. Una regione di una bellezza mozzafiato, circondata di alture affascinanti, culla della cultura cabila, cassaforte dell’identità cabila, berbera fino al midollo, che né l’arabizzazione del Nord Africa, fino alla conquista francese, passando per la politica centralista del governo di Algeri.
Una storia lunga, che passa dalla lotta per l’indipendenza fino alla ‘primavera nera’ del 2001. Massinissa Guermah, studente cabilo, viene fermato dalla polizia e portato in caserma. Capita spesso ai giovani cabili. Massinissa, però, viene restituito alla famiglia morto, colpito da pallottole e percosso. La rabbia dei cabili esplode come una bomba. Il 20 aprile 2001, anniversario di un’altra dura repressione del governo centrale contro la Cabilia (ricordata come ‘primavera berbera’) oltre 10mila persone scendono in piazza a Tizi Ouzou per protestare contro le politiche poliziesche di Algeri.
La polizia reagisce brutalmente: in un anno di conflitto, saranno almeno 120 le vittime cabile. La situazione si congela, ma resta una diffidenza storica. Per Algeri l’elemento arabo e musulmano è parte integrante della società, la variabile cabile, con la sua lingua e le sue tradizioni, sono un elemento che mina l’unità nazionale.
Per anni la tensione è stata palpabile: dai boschi cabili bruciati con la giustificazione della presunta presenza di miliziani di al-Qaeda nei monti della regione, la militarizzazione della Cabilia, la demonizzazione degli Aarch, i comitati di villaggio, tradizione di autogoverno antichissima, fino all’ostracismo di lingua e cultura berbera.
Ecco perché la partita tra il JSK, simbolo della Cabilia, e la più importante squadra di Algeri non sarà mai una partita come le altre. Chissà se il povero Albert, morto a 24 anni mentre si guadagnava il pane giocando a pallone, conosceva tutta la storia che si è trovato, un giorno di agosto, a pagare con la vita.