L’oro blu di Lesotho

Il Paese africano possiede una delle maggiori e migliori riserve d’acqua del mondo. L’ombra di un golpe e la fuga del primo ministro, Motsoahae Thomas Thabane. Il gioco di interessi delle multinazionali europee

3 settembre 2014 – Tra le 3:00 e le 4:00 (l’ora locale corrisponde al fuso in cui si trova l’Italia) di sabato mattina, 30 agosto 2014, alcune unità militari parte delle Forze di difesa del Lesotho (LDF) hanno circondato la residenza del Primo Ministro del Regno del Lesotho, Motsoahae Thomas Thabane – il laburista fondatore del partito Convenzione di Tutti i Basotho (All Basotho Convention, ABC) – in seguito al divieto posto allo svolgimento di una protesta antigovernativa prevista per lunedì primo settembre.
A riferirlo è stato il ministro della Gioventù e dello Sport, Thesele Maseribane, che ha inoltre parlato di un possibile colpo di Stato dopo l’esplosione di colpi d’arma da fuoco nella capitale Maseru e dell’occupazione del quartier generale della polizia. Maseribane è il leader del Partito Nazionale Basotho (Basotho National Party, BNP), una delle formazioni politiche facenti parte della fragile coalizione al potere espressa dalle ultime elezioni tenutesi nel 2012 alle quali hanno partecipato ben 18 partiti politici.
Dopo un rapido scontro a fuoco il Primo Ministro Thabane è riuscito a fuggire alla volta del Sudafrica sottraendosi alle intenzioni del capo delle forze speciali di portarlo davanti al re Letsie III che resta il riferimento più alto per il mantenimento dell’equilibrio tra le diverse componenti al potere.

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Thomas Thabane

 

I militari avrebbero anche preso il controllo di una stazione radio nell’area periurbana di Ha Mabote (Motlakaseng) interrompendone le trasmissioni. Potrebbe trattarsi della stessa emittente radiofonica vittima di precedenti assalti lo scorso 18 luglio come riportato dal magazine locale “Lesotho Times”. Altre emittenti radiofoniche, come Leseli FM, così come le linee telefoniche sono state isolate per alcune ore.

Il Maggiore Ntele Ntoi, portavoce delle forze armate del paese, intervistato dall’emittente televisiva sudafricana “Ann7”, ha negato il fatto che possa trattarsi di un colpo di Stato e ha cercato di ridimensionare l’episodio relegandolo all’azione di un gruppo di militari sospettati di aver pianificato l’assedio al quartier generale e dichiarando che la situazione è tornata alla normalità in brevissimo tempo poiché la forza di difesa del Lesotho continuerebbe a sostenere il governo democraticamente eletto.

Tanto gli osservatori internazionali, la cui attenzione si è immediatamente catapultata sul piccolo Paese circondato completamente dal Sudafrica e finora spesso oscurato dal potente vicino, quanto lo stesso Sudafrica tramite la dichiarazione del portavoce del Ministero degli Esteri di Pretoria, Clayson Monyela, hanno rilevato però tutti i caratteri del colpo di Stato tipico della maggior parte degli paesi africani, soprattutto nella seconda metà del ventesimo secolo.

L’azione è stata condotta da un piccolo gruppo del regime esistente, nella maggior parte dei casi storici proprio dai militari, con l’obiettivo di sostituire il governo deposto con un altro corpo (civile o militare) o semplicemente preparare la strada per tale cambiamento attraverso l’utilizzo o la minaccia dell’utilizzo delle armi dei centri di potere di uno Stato.

Il Sudafrica che ha da sempre contraddistinto lo sviluppo economico e gli scenari politici del Lesotho, è allarmato per il tentato golpe e, soprattutto, per gli eventuali disordini che potrebbero seguire, tanto da dichiarare immediatamente di non poter accettare una destituzione come quella rischiata ieri mattina a Maseru. Ed è proprio in Sudafrica che Thabane avrebbe cercato immediatamente rifugio e in questo momento sono in corso incontri al vertice.

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Fin dall’indipendenza dalla Gran Bretagna, ottenuta il 30 settembre 1966, l’ex protettorato del Basutoland (il nome coloniale del Paese), oggi piccola monarchia costituzionale rimasta senza sbocco sul mare con una popolazione di poco più di 2 milioni di abitanti per trentamila chilometri quadrati di altipiani e montagne, ha subìto numerosi colpi di stato di stampo militare oltre a dover continuamente fronteggiare il costante tentativo (spesso riuscito) del governo di Pretoria di condizionarne la politica e il percorso economico. Attualmente il Lesotho mantiene, infatti, una stretta dipendenza dalla Repubblica del Sudafrica, in particolare per quanto riguarda le rimesse dei suoi lavoratori emigrati. Negli ultimi sei anni, il piccolo regno è, infatti, stato destinatario di un flusso di rimesse pari in media al 35% del proprio PIL.

Lo sfruttamento intensivo dell’oro bianco

È proprio sul piano economico che il Lesotho è destinato ad assumere un’importanza strategica nell’area legata allo sfruttamento della risorsa naturale rinnovabile per eccellenza: l’acqua.

Questa enclave all’interno del Sudafrica che ama definirsi “la Svizzera dell’Africa australe”, seppur situata in una regione nella quale il problema della povertà è molto diffuso, l’agricoltura di sussistenza non riesce a soddisfare il fabbisogno interno, l’istruzione resta un privilegio per pochi, la disoccupazione è elevata e le disuguaglianze economiche sono particolarmente marcate, è, infatti, uno dei bacini più importanti della regione per quanto riguarda la quantità e qualità di quello che il popolo Basotho chiama “oro bianco” (e che a queste a queste latitudini viene, invece, comunemente definito “oro blu”) per rendere l’idea del potere economico costituito dallo sfruttamento e dalla gestione delle acque.

Le precipitazioni piovose e le intense nevicate invernali forniscono una stima di 5,5 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno, mentre dalle risorse idriche sotterranee rinnovabili provengono circa 340 milioni di metri cubi, sempre su base annuale.
L’acqua del Lesotho è di particolare valore non soltanto in termini quantitativi, ma anche qualitativi essendo considerata una delle più pure al mondo dato che la ridotta contaminazione microbiologica non richiede eccessivi trattamenti.
Il Lesotho e, in particolare, il Qacha’s Nek (uno dei 10 distretti che compongono il Paese dal punto di vista amministrativo), dove sono localizzate le sorgenti naturali caratterizzate dal maggior potenziale di sfruttamento economico e produttivo anche ai fini dell’imbottigliamento e della commercializzazione, è, dunque, considerato la vera e propria sorgente d’acqua del continente africano.

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Sin dalla metà degli anni Ottanta, gli sforzi del Paese si sono, dunque, concentrati prevalentemente sullo sviluppo di tali risorse per l’esportazione. Questo si concretizza attraverso il “Lesotho Highlands Water Project” (LHWP), un gigantesco progetto che prevede la costruzione di dighe e condotte per la produzione di energia idroelettrica e il trasferimento delle acque verso il Sudafrica così come verso altri Paesi della regione ed eventuali piani per esportazioni che possano andare anche oltre l’Africa australe.

Si tratta attualmente del progetto di gestione delle acque più importante al mondo dopo la diga delle Tre Gole in Cina e della più grande e ambiziosa struttura di questo genere progettata a lungo termine nel continente che può contare, oltre all’elevata piovosità del Paese, sugli strati di roccia superiori di basalto dei Monti Maloti, parte della più nota catena montuosa Monti dei Draghi (Drakensberg), che contribuiscono alla ricchezza di tale bacino eccezionale.

Il progetto si propone, inoltre, di soddisfare le esigenze di rapida crescita della provincia del Gauteng in Sudafrica, la provincia più popolosa dell’area che comprende l’espansione metropolitana di Johannesburg e Pretoria generando quasi il 60% della produzione industriale del Paese e l’80% della produzione mineraria. Tale provincia necessita, dunque, di ingenti quantità di acqua in misura nettamente superiore a quella che la sua fonte principale, il fiume Vaal, sia in grado di garantire.
Il progetto LHWP, il cui costo totale è stimato intorno agli 8 miliardi di dollari e il cui completamento è previsto per il 2027, è finanziato dal Sudafrica con il supporto della Banca Mondiale (il principale creditore), dell’UNDP (United Nations Development Programme, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo), della Banca europea per gli investimenti e delle principali agenzie di credito all’esportazione europee, tra cui l’italiana SACE e le sue corrispettive in Francia, Gran Bretagna e Germania. Il gruppo industriale italiano Salini Impregilo S.p.A. è, inoltre, coinvolto in qualità di capofila di un consorzio internazionale del quale fanno parte anche la società tedesca Hochtief, la francese Bouygues, le inglesi Keir e Stirling international e le sudafricane Concor e Group Five che si è aggiudicato l’appalto per la costruzione delle dighe di Katse (Katse Dam) e di Mohale (Mohale Dam) e di un tunnel sotterraneo di collegamento lungo 260 chilometri.

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Alla luce di quest’importanza strategica per lo sviluppo dell’intera regione, la situazione in Lesotho è guardata con particolare interesse e preoccupazione dai Paesi membri della Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Southern African Development Community, SADC), l’organizzazione internazionale regionale preposta al perseguimento della cooperazione e dell’integrazione socio-economica così come della sicurezza tra quindici Paesi africani (includendo tanto il Sudafrica che detiene un ruolo preminente, quanto il più piccolo Lesotho) completando il ruolo dell’Unione africana (UA), che riunisce, invece, tutti gli Stati africani con la sola eccezione del Marocco. Tra gli obiettivi principali della SADC rientrano anche la promozione e la difesa della pace e della sicurezza, l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali e regionali e la loro massimizzazione, la tutela dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto. Il ruolo che assumerà quest’organizzazione nella gestione della crisi in Lesotho sarà dunque determinante per lo scenario che potrà delinearsi nei prossimi giorni in quest’area contraddistinta da crescenti intensità e interessi internazionali, tanto sul piano economico quanto politico.

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