Ieri, al Premio Ilaria Alpi di Riccione, due iniziative per fare il punto sulla declassificazione dei documenti riservati sul caso Alpi-Hrovatin e sulle stragi
della nostra inviata, Cora Ranci
@coraranci
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6 settembre 2014 – Riccione, Palazzo del Turismo. Ieri mattina, sul piazzale antistante, diverse macchine della polizia, grappoli di uomini in completo grigio che vanno e vengono. Si attende l’arrivo della terza carica dello Stato, la presidente della Camera Laura Boldrini, e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Marco Minniti. Al Premio Ilaria Alpi è tempo di parlare del punto in cui si è arrivati con la declassificazione degli atti relativi all’omicidio della giornalista Rai e del suo operatore Miran Hrovatin, avvenuto il 20 marzo 1994, esattamente vent’anni fa.
Già, perché anche il caso Alpi-Hrovatin rientra nel gruppo dei tanti “misteri italiani” su cui le istituzioni hanno espresso volontà di mettere in atto una vasta operazione di trasparenza. L’annuncio è stato dato nel dicembre 2013 dalla presidente Boldrini: l’ufficio di presidenza della camera dei deputati ha deciso di de-secretare i documenti archiviati dalle commissioni bicamerali d’inchiesta delle ultime tre legislature e dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin.
A che punto si è arrivati, allora? E a che punto siamo, invece, con la declassificazione (non de-secretazione, si badi) della documentazione relativa alle stragi susseguitesi in Italia dal 1969 al 1984, che il governo Renzi ha promesso? Nei giorni scorsi sono “spuntate” alcune carte relative alla strage di Ustica. Ma come si sta procedendo? A che punto siamo? E in che situazione siamo, in generale, per quanto riguarda l’accesso alle fonti e alla documentazione in Italia? Ieri, a Riccione, queste domande hanno dominato la scena in ben due incontri, dove alle ottime intenzioni e alle altisonanti promesse di Boldrini e Minniti hanno fatto eco anche scetticismi e critiche di chi, come Benedetta Tobagi, questi temi li mastica da anni. E sa bene come passare dalle parole ai fatti, sia tutt’altro che facile.
Le carte sul caso Alpi-Hrovatin
Al primo incontro, accanto a Boldrini e Minniti, siede Mariangela Gritta Grainer, presidente dell’Associazione Ilaria Alpi e componente della commissione bicamerale d’inchiesta sulla cooperazione. Una delle prime ad aver individuato le strette connessioni tra l’assassinio dei due giornalisti Rai e i traffici illeciti tra Italia e Somalia. Boldrini apre citando concreti risultati ottenuti: gli atti delle commissioni d’inchiesta sul caso Alpi-Hrivatin sono ora pubblici, si parla di centinaia di documenti prima inaccessibili ai liberi cittadini, fruibili on-line direttamente sul sito della Camera. Per i documenti prodotti da altri soggetti, però, la Camera può solo fare richiesta con “lettere di interpello”: pare che delle risposte stiano arrivando.
«Un percorso di apertura senza precedenti», dice Boldrini, avviato su richiesta della società civile. «Mi aspetto moltissimo da questo importante passo – commenta Gritta Grainer – soprattutto che il paese riacquisti fiducia nella possibilità di fare luce. Per 20 anni i genitori di Ilaria Alpi hanno bussato alla porta delle istituzioni, ottenendo risposte solo a parole. Per la prima volta c’è una risposta concreta». Aggiunge, però: «Staremo attenti che l’operazione avvenga positivamente, perché vogliamo arrivare al 2015 senza più segreti».
È emerso qualcosa di importante dalle prime carte rese consultabili? Gritta Grainer non si addentra nei particolari dell’inchiesta, ma la risposta è positiva: «Ho letto i primi documenti desecretati: emergono cose inquietanti. La conferma che si è trattato di un’esecuzione, e che tutti coloro che hanno dato altre versioni dell’accaduto non hanno tenuto conto di questi documenti. Emergono nomi di possibili esecutori, ed è anche possibile farsi qualche idea sui mandanti». Soprattutto, emerge il depistaggio: «Nelle primissime settimane dopo l’agguato, qualcuno ha scelto di fare carte false, costruendo altre piste. Ora ci aspettiamo lo svelamento di chi ha operato contro l’interesse e l’onore della repubblica».
70 metri di carte
La palla passa a Minniti, sottosegretario di Renzi con delega ai servizi. L’intervento enfatizza il valore politico e morale dell’operazione di declassificazione relativo a tanti fatti traumatici della storia italiana: «Come grande democrazia, dobbiamo avere il coraggio di fare i conti con la nostra storia. Le scelte del governo contribuiranno a rafforzare la credibilità delle istituzioni». Boldrini annuisce con convinzione e aggiunge: «Dobbiamo accorciare la distanza tra cittadini e istituzioni, recuperare una fiducia che si è rotta».
Poco dopo, il clamoroso annuncio di Minniti: «Abbiamo deciso di declassificare la documentazione dei servizi segreti, si tratta di un archivio di 70 metri che contiene tutta la documentazione relativa alle stragi, dal 1969 al 1984. Le operazioni sono già cominciate: i primi atti saranno consultabili entro novembre, e contiamo di terminare il lavoro entro giugno 2015». Tra meno di un anno, cioè, non avremo più segreti sulle stragi? Questo sembra affermare in poche parole il rappresentante del governo. Minniti fa attenzione: parla di conoscenza storica e non usa mai la parola “verità”. Ma chi ascolta non può non pretendere più informazioni. Davvero troppo poco il tempo dedicato alle domande dal pubblico, purtroppo, che pure ne avrebbe eccome. Sedevano in platea molti giornalisti preparati in materia, pronti a esigere informazioni più precise.
Si alza subito Benedetta Tobagi, che da anni si divincola tra gli archivi della repubblica nel tentativo di narrare la storia degli anni ’70. Una che ha toccato con mano i problemi relativi all’accesso alle fonti, e che conosce bene le tortuose strade dell’accesso alle fonti archivistiche italiane. Vuole sapere con quale criterio si sta procedendo e soprattutto come si fa a essere sicuri che 70 metri di carte contengano davvero tutta la documentazione dei servizi segreti relativa alle stragi. Nel 2011, Massimo D’Alema, allora presidente del Copasir, riferì in un convegno scientifico l’esistenza di decine di archivi dei servizi segreti disseminati su tutto il territorio italiano. Archivi che egli stesso, disse, era riuscito a individuare a fatica dopo lunghe ricerche. La domanda di Tobagi non nasce da scetticismo preconcetto, quindi, ma dalla conoscenza di una situazione molto complessa. Minniti, però, accoglie il legittimo scetticismo come dimostrazione di scarsa fiducia, e risponde, non senza risentimento, che sarà lui stesso a garantire la completezza dell’operazione. Più tardi, Tobagi commenta lo scambio con un post su facebook.
Iniziative virtuose
Come spesso accade, spenti i riflettori si ha spazio per sottolineare le criticità. Boldrini e Minniti lasciano Riccione, spariscono i poliziotti in borghese e le telecamere. Il lavori, però, vanno avanti, con un secondo incontro, moderato dal co-direttore di Q Code Mag Angelo Miotto, dal titolo “Da Wikileaks alle fonti repubblicane. Lavorare con i dati, i numeri e i documenti storici”. Relatori: Benedetta Tobagi, Ilaria Moroni (coordinatrice della Rete degli Archivi per non dimenticare), Andrea Palladino (giornalista ideatore di Toxic Leaks) e Guido Romeo (data&business editor di Wired Italia).
Persone che lavorano sui documenti in modo diverso, chi per lo studio della storia, chi per condurre inchieste giornalistiche. Ma il problema di fondo resta lo stesso: in Italia non abbiamo una cultura dell’accesso alla documentazione, sia che si tratti degli archivi storici sia che si tratti dei dati della pubblica amministrazione. Nel deserto, però, e soprattutto grazie alle nuove tecnologie, sono nate iniziative lodevoli che hanno permesso di scardinare in parte questa situazione e di rendere accessibili ai cittadini una grande quantità di dati e documenti. Ancora una volta, dalla società civile organizzata e dal mondo del giornalismo d’inchiesta arrivano le risposte più concrete.
La Rete degli Archivi per non dimenticare, presentata da Ilaria Moroni, è un portale on-line che raccoglie un’enorme quantità di documentazione archivistica digitalizzata e resa facilmente accessibile grazie a un funzionale software che permette di effettuare la ricerca anche per parole. Attraverso il portale sono consultabili fondi degli archivi dello Stato e di archivi privati. Per esempio, è possibile consultare comodamente dal computer di casa gli atti della commissione d’inchiesta sulla P2. In mancanza di luoghi idonei alla consultazione delle carte, il portale rappresenta un “luogo di supplenza istituzionale”.
ToxicLeaks, invece, è una piattaforma per aggregare contenuti e data journalism sulle rotte dei veleni: dalle navi a perdere alla terra dei fuochi. È un progetto dei due giornalisti Andrea Palladino e Andrea Tornago che produce e raccoglie inchieste sul traffico dei rifiuti e vigila sulla desecretazione dei documenti riservati avviata dalla Presidenza della Camera, oltre ad accoglie denunce in forma anonima e riservata.
A proposito di data journalism, un altro ottimo esempio è quello fornito dalle inchieste di Wired Italia, presentata da Guido Romeo, che lavora su fonti digitalizzate, riuscendo – non senza difficoltà, a causa dei problemi di accesso – a elaborare i dati attraverso visualizzazioni grafiche molto efficaci. Qualche esempio: The Upshot / FiveThirtyEight / Vox /Data Journalism Awards / The Migrant Files / Expected Losses. Inchiesta sulle slot machine in Italia di wired / La campagna “dove ti curi”. Lo scoop su vendita armi italiane alle Siria. Mappa sulle scuole a rischio sismico in Italia.
Morale: servono regole chiare
Da un lato promesse di declassificazione e trasparenza, dall’altro un quadro ostico e complesso costellato di iniziative che cercano, per quel che possono, di rendere i dati accessibili ai cittadini. Più che la fiducia sulle buone intenzioni, quel che manca in Italia è una legge simile al Freedom of Information Act americano. Una legge sulla libertà di informazione che stabilisca il versamento dei documenti per legge, e “non per spot politici”, come ha sottolineato Ilaria Moroni.
Un’iniziativa in tal senso è #FOIA4ITALY, un sito che contiene una proposta di legge da presentare al governo e al Parlamento. In “campagna elettorale”, Renzi ha più volte promesso il varo di un Foia per l’Italia. Da Riccione, ieri, l’auspicio che quella promessa venga presto mantenuta.
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