Marie Clémentine Dusabejambo ha 27 anni e due cortometraggi all’attivo. In uno di questi ha raccontato la brutalità della guerra civile che nel 1994 ha distrutto il suo Paese e la sua famiglia
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/05/giada-frana.jpg[/author_image] [author_info]Di Giada Frana, da Tunisi. Giornalista pubblicista, laureatasi a Bergamo in Lettere con la tesi “La questione migratoria nei mass media italiani”. La passione per il mondo arabo si è sviluppata nel tempo. Ama scovare storie che vadano contro i pregiudizi su migranti ed Islam. Attualmente vive a Tunisi e lavora come freelance. Collabora con l’Eco di Bergamo, La Città Nuova, Linkiesta, Vita e Santalessandro.org. [/author_info] [/author]
1o settembre 2014 – Si è avvicinata alla cinepresa per un caso fortuito ed ora è tra le pioniere del cinema ruandese. Marie Clémentine Dusabejambo, 27 anni, è stata tra gli ospiti d’onore della decima edizione degli Incontri cinematografici di Hergla (Tunisia). In occasione dei vent’anni trascorsi dal genocidio del Rwanda, sono stati proiettati due suoi cortometraggi: “Lyiza” (2011), il suo primo lavoro realizzato per un concorso del Tribeca Film Institute (Usa) e “Behind the world”, (2013).
Nata a Kigali nel 1987, la giovane cineasta è Ingegnere in elettronica e comunicazioni. In Tunisia “Lyiza” le è valso il Tanit di bronzo dei cortometraggi al Festival cinematografico di Carthage nel 2012, mentre nello stesso anno in Italia ha vinto il Premio Cinèforum durante il Festival del cinema d’Africa d’Asia e dell’America Latina a Milano.
La trama è semplice, ma riesce a toccare diverse tematiche e a mostrare la brutalità del genocidio e le conseguenze sulle giovani generazioni. “Lyiza”, che significa “l’intelligente”, prende il nome dalla protagonista: la giovane ha perduto i genitori durante il massacro e non riesce a dimenticare questo immenso dolore.
I ricordi dei genitori, in particolar modo del padre, che le sottolineava l’importanza dell’istruzione, si alternano alla sua vita di giovane studentessa ormai demotivata. Quando riconosce nel padre del compagno di classe il responsabile dell’omicidio dei suoi genitori, lo dichiara pubblicamente, creando non poca tensione e l’esclusione da ogni attività del giovane compagno. Ci penserà l’insegnante a riportare l’armonia, insistendo con la direzione nell’organizzare, nonostante i pochi fondi, una visita al museo delle memoria del genocidio e a guidare Lyiza verso la strada del perdono.
GUARDA IL TRAILER DI LYIZA
“Sui figli non devono ricadere le colpe dei padri”, dice uno dei genitori al proprio figlio, quando parla del ragazzino escluso da tutti dopo la scoperta che il padre era implicato nell’uccisione dei genitori della protagonista. Un messaggio semplice ma forte allo stesso tempo. Sempre la scuola è il luogo dove si svolge anche “Behind the world”, anche se questa volta le tematiche affrontate cambiano. Il contesto è infatti il concorso “Zero tolleranza contro le violenze fatte alle donne” organizzato dal Goethe Institute di Kigali.
Si parla di violenza sulle donne, con un occhio di riguardo sempre al Rwanda: il tutto è contestualizzato nel periodo in cui il Paese passava dal francese all’inglese come lingua ufficiale, come atto di rifiuto verso la Francia, ritenuta tra i responsabili del genocidio in quanto non ha fatto nulla affinché ciò accadesse.
La protagonista è sempre una giovane donna, che si trova a dovere subire le angherie dei propri compagni di classe e le avances di un professore. Grazie alla professoressa di arte, che capirà il suo dolore attraverso i suoi disegni, la giovane riuscirà a riscattarsi.
GUARDA IL CORTOMETRAGGIO BEHIND THE WORLD
«Nel 2008 ho cominciato l’università – spiega la giovane cineasta – e lì ho conosciuto un cineasta che stava girando un cortometraggio sul genocidio. Aveva bisogno di assistenti e così, dopo un corso di formazione, insieme ad altri giovani ho preso parte al suo progetto e dopo i riconoscimenti ho proseguito con la via del cinema: ora lavoro con Almond Tree Films». Nonostante i suoi lavori abbiano fatto il giro del mondo, in Rwanda la diffusione è difficile: «Solo il Goethe Institute organizza giornate di proiezioni – continua Dusabejambo -, in cui si può proporre le proprie produzioni. Il pubblico ruandese non ha perciò facilmente accesso alle produzioni dei suoi stessi connazionali: stiamo cercando di fare qualcosa per risolvere la situazione, ma non è semplice».
Così come ci sono problemi anche per il prossimo film in cantiere: «Sto girando un documentario sul ruolo delle donne nelle guerre, ma quando ho voluto intervistare una donna che lavorava alla radio durante il genocidio, mi hanno impedito di andare avanti». Un peccato, dato che i film non sono solo un modo per raccontare al mondo, soprattutto alle nuove generazioni, quello che è successo, ma anche un modo per aiutare gli stessi ruandesi a parlare del passato: «In Rwanda non abbiamo l’abitudine di parlare dei nostri problemi, dividendo il nostro fardello con gli altri. Oggi si assiste a una riconsiderazione delle due etnie tutsi e hutu. Nei villaggi convivono, ma dal mio punto di vista ci sono ancora dei problemi: è un percorso che ha bisogno di tempo, ci vorranno diverse generazioni».
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