Raccontare il mondo ai giovani: la sfida di Vice News

Intervista a Kevin Sutcliffe, coordinatore per l’Europa delle News di Vice: un nuovo progetto editoriale on-line che cerca di raccontare il mondo ai giovani

di Cora Ranci
@coraranci

 

11 settembre 2014 – In Italia, alcuni quotidiani on-line hanno abolito la voce “esteri” dal menù di navigazione della home page perché, pare, non attira abbastanza clic (a proposito, leggete l’intervista realizzata da Angelo Miotto al direttore de La Stampa Mario Calabresi). Negli USA, invece, è nato da pochi mesi un progetto editoriale sul web che ha puntato tutto sugli esteri. Adesso si sta espandendo anche in Europa, con grande successo di traffico. Si tratta di Vice News. Al Premio Ilaria Alpi di Riccione, nei giorni scorsi, abbiamo incontrato Kevin Sutcliffe, il responsabile della sezione europea del sito, e gli abbiamo fatto qualche domanda.

La sera stessa, Sutcliffe sarà sul palco accanto a Giulietto Chiesa, Giuliano Battiston e Gigi Riva per parlare del ruolo dei media nelle crisi internazionali. Verrà proiettata una clip di pochi minuti, un montato veloce che riassume in pochi fotogrammi lo stile di Vice News: sono immagini dall’Ucraina, immagini di guerra. L’inviato di Vice è giovanissimo: casco militare in testa, lo vediamo in prima linea accanto ai rivoltosi, che rischia la vita per raccontarci quello che vede. Poco dopo, dai giornalisti italiani le critiche: «il video descrive, non interpreta» – «c’è un voyerismo bellico» – «è un selfie prolungato». Che piaccia o no, quel modo di fare giornalismo lascia abbastanza sgomenti all’impatto, perché spezza i canoni tradizionali del giornalismo cui siamo abituati.

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Vice News è stato lanciato nel dicembre 2013, nove mesi fa. Al momento come stanno andando le cose?

«Stanno andando davvero molto bene. In pochissimo tempo siamo stati capaci di superare le decine di milioni di visualizzazioni sul sito. Il nostro canale di YouTube ha registrato la più alta crescita di utenti connessi al canale nella storia della sezione news del sito».

Il vostro canale parla di quello che succede nel mondo, al di là dei confini nazionali. Ma veramente c’è un così vasto pubblico interessato all’informazione sugli esteri?

«Assolutamente sì. La nostra esperienza è positiva e indica che soprattutto tra i giovani, cui ci rivolgiamo attraverso la rete, c’è un grande interesse per gli esteri. Cerchiamo di raccontare le storie cosiddette “unreported” attraverso uno stile documentaristico, con un ampio uso di video ad esempio. La nostra esperienza e il successo che registriamo indicano che tra i giovani c’è forte interesse per la forma del documentario».

Qual è lo stile di Vice e in cosa differisce dal giornalismo tradizionale?

«Anche se facciamo ampio uso di video, il nostro approccio è radicalmente diverso da quello televisivo. Viviamo e operiamo in un altro spazio, che è la rete. Trovo che l’informazione dei grandi canali tradizionali, come la BBC, sia “old fashioned”. Le formule delle “breaking news” e delle “rolling news”, 24 ore su 24, non funzionano più, perché non aiutano un giovane a comprendere di cosa si sta parlando. L’informazione della TV non parla al pubblico dei giovani. Noi abbiamo messo in atto una serie di tecniche comunicative che ci permettono di entrare in contatto con i giovani».

Come vi rivolgete al pubblico di giovani?

«Uno dei motivi del successo sta nella scelta di reporter giovanissimi, vicini per età al nostro target di riferimento. Abbiamo giornalisti e inviati di 23-24 anni, che si pongono sullo stesso livello del loro pubblico di riferimento, e che insieme al pubblico, e non per il pubblico, cercano di descrivere e interpretare il mondo. La differenza di stile passa anche attraverso l’uso di un linguaggio facile e accessibile. Il nostro modo di raccontare le storie è particolare, mostriamo anche come funziona la vita di un reporter in aree pericolose. Abbiamo scelto la strada dell’empatia, dell’identificazione, anche generazionale, coi lettori»

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Può farci un esempio di un servizio pubblicato da Vice News che ha funzionato particolarmente bene?

«Abbiamo pubblicato “The Islamic State”, un documentario di 30 minuti realizzato fra le fila degli uomini di Al Baghdadi dell’Isis. Un servizio che mostra chi sono, come vivono, cosa pensano queste persone tra Iraq e Siria. In poche settimane l’ha visto oltre un milione di persone. Un successo, se consideriamo che la durata media di permanenza sui video di YouTube è di 3 minuti»

Come vengono formati i vostri giornalisti? Lavorate anche con collaboratori esterni?

«I nostri giovani reporter di solito vengono formati dentro la redazione di Vice News. Lavoriamo anche con collaboratori esterni, chiunque può inviarci una proposta, riceverà sicuramente una risposta. I nostri collaboratori esterni, però, devono essere in sintonia col nostro stile di fare informazione»

Qual è stato il suo percorso professionale prima di arrivare a dirigere Vice Europa?

«Io vengo dalla TV. Sono stato per dieci anni il responsabile dell’informazione del canale televisivo britannico Channel 4 e del programma di giornalismo d’inchiesta “Dispatches”. Andavamo in onda in prima serata, partendo dall’idea che fosse importante coprire le storie internazionali. Realizzavamo 40 programmi all’anno, di cui almeno la metà su tematiche internazionali. Il pubblico ha reagito con entusiasmo a questa proposta»

 

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