Lo scrittore dell’esilio

Lo scrittore bosniaco Aleksandar Hemon al Festival della letteratura di Mantova

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-15-alle-20.39.17.png[/author_image] [author_info]di Francesca Rolandi. @FrancescaRoland. Storica, ha portato a termine un dottorato in Slavistica e si occupa di studi sulla Jugoslavia socialista. Ha vissuto a Belgrado, Sarajevo, Zagabria e Lubiana e ha provato a raccontarle per PeaceReporter, Osservatorio Balcani Caucaso, Cafebabel e Profili dell’Est[/author_info] [/author]

14 settembre 2014 – Inizia così, con un estratto tratto da un suo libro, l’intervento di Aleksandar Hemon al festival di Mantova, dove dialoga con la scrittrice Chiara Valerio.

Ci sono Sujo e Mujo, i personaggi che affollano ogni barzelletta bosniaca. Sujo è emigrato in America e, quando Mujo lo va a trovare, gli mostra tutto quello che possiede: automobili costosissime, ville con piscina, una moglie bellissima e degli splendidi bambini. Un incanto che sparisce quando Mujo chiede chi sia il giovanotto che massaggia sua moglie in piscina. Sono io! – risponde Sujo. E proprio da questa frattura tra la vita immaginata e la vita reale prende il via la narrazione di Hemon, che ruota attorno a due perni: il binomio realtà-immaginazione e la scrittura dell’esilio.

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Aleksandar Hemon nasce a Sarajevo nel 1964, ma la vita lo porta lontano dalla sua città natale. Nel 1992, come giovane giornalista, vince una borsa di studio di un mese per un soggiorno negli Stati Uniti nell’ambito di un programma di scambi internazionali. Si ferma un paio di mesi in più e negli stessi giorni del suo previsto rientro a casa la sua città viene cinta d’assedio dalle forze dell’esercito serbo-bosniaco e il ritorno si fa impossibile. Inizia così la sua vicenda da esule, che segna uno spartiacque nella sua parabola esistenziale ed emerge in tutti i suoi libri. Uno dei suoi primi romanzi porta già in sé nel titolo l’essenza dello sradicamento: Nowhere man, l’uomo a cavallo tra due esistenze, che non è parte né dell’una né dell’altra. Un’esistenza binaria che caratterizza tutti i libri di Hemon.

La questione identitaria emerge nella conversazione al festival, riferita all’essenza transculturale dell’emigrante e si intreccia con quella della lingua. Hemon scrive il suo primo romanzo in inglese nel 1995, solo tre anni dopo essersi trasferito nel Paese. Qualcosa era scattato nel suo subconscio: come lui stesso racconta, aveva iniziato a sognare in inglese ed anche nei sogni riguardanti Sarajevo i personaggi parlavano in inglese. Che si sia trattato di una reazione inconscia alla tragedia che colpiva la sua città, che si sia trattato di un escamotage per sfuggire all’associazione che veniva inevitabilmente fatta dall’esterno tra lui, come individuo, e la guerra in corso, questo è stato l’inizio di una carriera folgorante, che lo ha visto pubblicare cinque libri di successo – Spie di dio, Nowhere man, Il progetto Lazarus, Amore e ostacoli, Il libro delle mie vite, tutti usciti dal 2000 a oggi per i tipi di Einaudi –, arrivare finalista in numerosi premi letterari e recepire con entusiasmo dalla critica.

In tutti i suoi libri l’elemento autobiografico è preponderante; come Hemon racconta, la situazione reale è il punto di partenza, al quale si aggiungono via via nuovi dettagli, fino a diventare una narrazione. La vita di ognuno è lo spazio attraverso cui vediamo il mondo e dunque rappresenta un filtro per raccontare storie, che poi diventano elementi dotati di vita propria. È difficile ora per il lettore riconoscere il vero Hemon che si nasconde tra i suoi mille alter ego.

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