Napoli fuori controllo

L’omicidio del giovane Davide Bifolco pone una serie d’interrogativi sulla sicurezza in città e sui metodi di repressione adottati dalle forze dell’ordine. Ora c’è chi teme che l’ondata di proteste dia spazio alla camorra nel Rione

di Pierre Cambronne

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16 settembre 2014 – «Per 11 anni ho costruito ascensori nelle città del nord, anche nei cantieri innevati nel veronese, poi sono stato licenziato. Mi hanno arrestato per un furto in un appartamento, lo facevo per comprare i plasmon e il latte a mia figlia. Mi hanno dato sei anni. Scommettiamo che al carabiniere che ha ammazzato mio fratello, se pur dovesse entrare per un momento in carcere, gli danno molto meno?»

Il fratello di Tommaso, Davide, è stato ammazzato a 17 anni in un inseguimento che la stampa locale definisce “concitato”. Nel quartiere invece si fatica a definire l’accaduto come un inseguimento. Piuttosto riferiscono di una squadra di carabinieri eccessivamente disinvolta negli atteggiamenti, appartenente non al comando del quartiere, ma proveniente dalla stazione di una zona limitrofa, dal Corso Vittorio Emanuele. «Giravano per le strade del rione con la pistola puntata fuori dal finestrino, intimando a chi avesse il casco di toglierselo per vedere bene chi fosse», racconta un ragazzo del quartiere.
Atteggiamento che vorrebbe la propria giustificazione nella ricerca di un latitante. Si tratta di Arturo Equabile, sottoposto a misure cautelari per un presunto reato al patrimonio ed ha evaso i domiciliari. Cercatelo voi su facebook, scoprirete che per tutto il mese di agosto ha postato foto di sè dalle strade del quartiere e dal mare in Sardegna dove era in compagnia della fidanzata. In Sardegna si è recato con un aereo con un biglietto a suo nome. Anche la stampa locale lo definisce come un “bulletto” dedito a mostrarsi in atteggiamenti da “bella vita”. È per la caccia ad Arturo Equabile che ha perso la vita Davide Bifolco.

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«Aveva lasciato casa cinque minuti prima per andare nella sala giochi», racconta la madre di Davide. «Poi una signora mi ha chiamato dicendomi che era stato fermato dai carabinieri e che dovevo accorrere con i documenti. L’ho trovato morto. Morto e ammanettato». La macchina dei carabinieri aveva speronato il motorino dove Davide sedeva fra due. I tre erano caduti e avevano provato a scappare. Un carabinieri tratteneva il conducente e con un braccio e con l’altro ha sparato a Davide che da terra tentava di rialzarsi. Il militare sostiene di essere inciampato e che il colpo è partito accidentalmente, chi era sul posto parla di omicidio volontario, nessun inciampo.

Qualcuno riferisce che il carabiniere inveisse contro Davide appena colpito al petto: «Credevi che non ti prendevo?». Appena dopo l’accaduto un secondo carabiniere intimava, puntando la pistola, i ragazzi affacciati sulla soglia della sala giochi di entrare all’interno con le mani alzate. Fuori diminuiva il numero di testimoni oculari.

Davide Bifolco era incensurato. Ma questo poco importa. «Scusate ma pure che fosse stato il latitante Equabile [per il quale Davide sarebbe stato confuso] lo cercano speronando un motorino, puntandogli la pistola e ammazzandolo?». È superfluo ricordare che non si tratta di Matteo Messina Denaro, ma di un ragazzo che per il mese di agosto ha postato su facebook le sue foto dal quartiere o dal mare con la fidanzata. Che sempre da latitante, e dal quartiere, ha concesso un’intervista ad Andrea Postiglione del Fatto Quotidiano.

La mamma e il conducente del motorino riferiscono che Davide era morto, forse da morto è stato ammanettato. Da morto è stato prelevato dall’ambulanza e portato in ospedale. «Aizz a cchista cca nterr o sinò m miett int ‘e guai [alza questo da terra altrimenti mi metti nei guai]», avrebbe intimato il militare a chi comandava l’ambulanza, compiendo l’ultimo reato di una serie ben più gravi delle infrazioni al codice della strada imputabili ai tre sul motorino.

A distanza quasi di una settimana dall’accaduto sappiamo tutto della famiglia Bifolco e niente del carabiniere. Sempre nel riferire l’inseguimento come “concitato” la giornalista del presunto quotidiano progressista, anch’essa Concita e moglie del massimo dirigente della mobile della Questura di Napoli, intervistando il militare indagato di omicidio colposo [atto dovuto] ricorre a un nome di fantasia. Chi invece ambisce a raccontare “la vita in diretta” intervistava la madre di Davide come se questo appartenesse alla camorra. «Ma secondo te se io ero camorrista entravo negli appartamenti per prendermi sei anni di condanna?» spiega Tommaso. Con l’occhio dell’antropologo il giornalista oggi entra nel rione Traiano come se studiasse le dinamiche di accoppiamento dell’ultima tribù non civilizzata dell’Amazzonia. Mischia le carte tra camorra, Ferguson e facile sociologia. Anche questo è occultamento delle prove.

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«Adesso l’importante è non lasciare spazio alla camorra nel Rione», spiega un carabiniere al bar che per ovvi motivi vuole restare anonimo. «Sarebbe fin troppo scontato per i ragazzi del quartiere vivere l’accaduto in chiave di anti-stato». Nonostante la stampa cittadina e nazionale pare che nessuno voglia cadere nella trappola. Gli scugnizzi del quartiere hanno incontrato il comandante provinciale dei carabinieri e hanno preteso che questo si togliesse il cappello nell’ennesimo minuto di silenzio inscenato in città. Il comandante è stato applaudito. In un infelice editoriale intitolato “Se lo Stato si scappella” Marco Demarco rivendica la pratica di guardare la città dal binocolo.

I ragazzi del quartiere hanno chiesto al parroco del rione di accompagnarli nelle proprie azioni di indignazioni, azioni pacifiche che sembrano un esercizio collettivo di elaborazione del lutto per una morte difficile da spiegare. Il parroco, con tono dimesso, ha declinato l’invito spiegando che il Cardinale Vescovo ha raccomandato di non rappresentare troppo il dolore della famiglia. Ancora una volta Crescenzio Sepe ha dimostrato la sua interposizione fra creatore e creature.

La famiglia Bifolco per la difesa si è affidata allo studio dell’avvocato Fabio Anselmo, già difensore delle famiglie Cucchi e Aldrovandi. «Napoli pare essere una torta millefoglie», spiegava l’artista beirutino Mazen Kerbaj in visita in città nel mese di luglio. Stratificata in ogni dove, ma l’importante è che la crema dello strato superiore non entri in contatto la base.

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