Viaggio a Stamford Hill, borgo di Londra che ospita la più grande comunità di ebrei ortodossi d’Europa, alla ricerca del significato di sionismo
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/05/brecciaroli.jpg[/author_image] [author_info]Di Marcello Brecciaroli. Brasiliano di famiglia, romano di adozione e fondamentalmente marchigiano. Si dedica al videogiornalismo dopo aver sbattuto per sbaglio contro una telecamera in tenera età. Ha lavorato per Current TV, La7 e altre amenità. Ha scritto e diretto documentari e format televisivi. Lavora tra Roma e Rio de Janeiro. Funzioni vitali nella norma, reagisce agli stimoli.[/author_info] [/author]
22 settembre 2014 – Stamford Hill è un borgo pieno di viali alberati, parchi, salici piangenti e cielo bianco a creare quell’immobilità grigioverde che è marchio di fabbrica delle periferie di questa città.
Ai bordi della strada sfilano negozi Kosher e sartorie stracolme di lunghi cappotti neri. Sul marciapiede sfrecciano sui monopattini ragazzini con la Kippa in testa e indugiano donne dietro carrozzine nere decisamente retrò.
La più grande comunità di ebrei ortodossi d’Europa fiorisce qui fin dal diciannovesimo secolo e nonostante i nuovissimi autobus a due piani londinesi sfreccino silenziosi per le strade, sembra che il tempo sia rimasto più o meno li.
Mi ritrovo a girare per queste strade perché ho litigato con un collega giornalista durante una cena a casa di amici. Lui sosteneva che un ebreo non può essere contrario al sionismo e che se ne esiste qualcuno che lo è, deve avere qualche problema. Deve essere un “self hating jew”, colpito da una strana mutazione genetica che spinge alcuni ebrei a odiarsi da soli.
Ovviamente non ho preso un aereo e affrontato le spese di soggiorno nella carissima Londra per dimostrare qualcosa a quel collega, ma quel “litigio” mi ha fatto capire che la discussione sulla differenza tra ebraismo e sionismo in Italia o non esiste o è indietro di trent’anni. Penso quindi che sarebbe bello girare un documentario su questo tema e che voglio vedere se trovo la storia giusta per farlo.
Qualche giorno dopo quella cena, a Roma, contatto l’associazione Rete ECO (Ebrei Contro l’Occupazione) e loro mi suggeriscono di attraversare la Manica e andare a tastare con mano quanto articolato e fiorente sia il dibattito nella capitale inglese.
Molte delle persone che mi consigliano di incontrare vivono a Stamford Hill o nei quarieri limitrofi: in generale la zona Nord della città è la preferita dagli ebrei londinesi.
Una delle prime persone che incontro è Brian Klug, professore ad Oxford di studi sociali sull’ebraismo e columnist di The Guardian. Incontro poi Mr.Ronald Rance, uno dei Jewish leftists di più lunga militanza, che mi racconta la storia dell’opposizione ebraica al sionismo negli anni sessanta e settanta.
Incontro anche una ragazza italo-inglese che fa parte di un movimento di giovani ebrei antisionisti la quale mi dà qualche buon consiglio su come muovermi nel marasma di opinioni e sfumature ideologiche che sto per trovarmi davanti. Mi rendo conto che c’è una grande apertura all’argomento e che nessuno di loro si sente un alieno, un reietto o un traditore.
Quello che accomuna queste persone è che tutti si sentono derubati di qualcosa.
La ragazza, di cui non dico il nome, mi spiega che a lei di Israele non importa assolutamente niente e che vorrebbe semplicemente essere un’inglese ebrea. La sua vita, racconta, è impregnata di Israele molto più di quanto lei vorrebbe. L’essere ebrea secondo lei non dovrebbe vincolarla a provare un qualsiasi sentimento di appartenenza verso Israele ma neanche obbligarla a giustificarsi. Al contrario invece è questo che la società si aspetta da lei. Lei in Israele c’è stata, molte volte, ma come attivista per la causa palestinese, formando gli attivisti internazionali su come relazionarsi con gli ebrei.
Il professor Klug e Mr. Rance invece si sentono derubati della loro identità ebraica. Mi spiegano, ognuno a modo suo, che definire la propria identità di ebrei contrari al sionismo, in un mondo che ha praticamente sovrapposto il significato dei due termini, è stato e continua a essere molto difficile. Entrambi non nascondono di aver ricevuto minacce e pressioni di vario genere negli anni.
Coloro che più di tutti si sentono derubati da Israele però sono alcuni gruppi di ebrei ortodossi e ultraortodossi. Gli Haredim e gli Hasidim, i due gruppi maggiori di ebrei ultra ortodossi, non riconoscono Israele per motivi religiosi. Secondo loro Israele non solo è fautore della secolarizzazione degli ebrei ma è addirittura un abominio eretico, in quanto nella Torah è scritto che solo con l’avvento del Messiah il popolo ebraico potrà tornare in Israele.
Uno dei gruppi più attivi nella contestazione del sionismo si chiama Neturei Karta. È un gruppo molto controverso per alcune posizioni piuttosto eccentriche che arrivano perfino al revisionismo sull’olocausto (furono aspramente criticati quando parteciparono a una conferenza sul tema promossa da Mahmoud Ahmadinejad a Theran). Anche loro sono presenti a Stamford Hill ma non è facile trovarli: gli ortodossi non hanno un gran rapporto con la tecnologia e quindi sul web non è presente alcuna informazione su questo gruppo.
Dopo un paio di giorni di ricerche vengo accompagnato da una gentile signora lungo una via interna del quartiere su cui si affacciano decine di villette a schiera inglesi con la tipica finestrata a prisma. Su di una campeggia una scritta in ebraico e Inglese: “Judaism and Zionism are too opposite things”, è la sede dei Neturei Karta di Londra.
La signora che mi accompagna mi saluta e si allontana prima che io possa suonare il campanello, non vuole essere vista alla porta di “quella gente”.
Un corpulento signore sulla cinquantina apre la porta ed esce a parlare con me. Ha la carnagione scura, la barba lunga e arruffata e le mani ruvide e nonostante indossi il tipico completo nero degli ortodossi non sembra affatto ingessato. Gli spiego chi sono e che vorrei poter fissare un appuntamento con qualche membro dei Neturei karta. Lui parla un inglese molto stentato con un forte accento israeliano (gli ortodossi tra di loro parlano solo Yddish e ebraico), ma mi invita a tornare il giorno seguente e sembra lusingato dal mio interesse.
La casa dove mi aspetta il giorno seguente non è la sua. Mr. Rubkin, questo è il suo nome, ha chiesto a un rabbino del gruppo di ospitare il nostro incontro perché si vergogna del suo inglese carente e vuole che ci sia qualcuno presente che possa tradurre dallo yddish. Rabbi Yacov è più giovane, avrà quarant’anni ed è più dubbioso nei miei confronti. Mi dice subito che in molti hanno provato a girare documentari su di loro ma si sono arresi davanti al divieto di filmare le loro donne, le loro preghiere, la quiete delle loro case. Mi spiega che c’è un livello di intimità che non si può superare e che se voglio avere la loro collaborazione dovrò rispettarlo.
Gli chiedo come mai, se le loro idee sono condivise da gran parte della comunità ortodossa, i Neturei Karta sono così pochi. Mi spiega che esprimere pubblicamente queste idee crea grandi problemi di relazioni con la comunità ebraica e che la maggior parte vuole solo vivere in pace. Esprimere certe idee toglie ogni possibilità di relazionarsi con tutta quella parte di ebrei, maggioritaria, che invece appoggia il sionismo e Israele.
Parliamo per circa due ore ma il fulcro di tutto è che loro si sentono derubati della loro religione: “Israele ha sequestrato l’ebraismo per usarlo come scudo e arma per i propri scopi. Scopi che ovviamente non hanno nulla a che fare con l’ebraismo. A noi è proibito fare del male a qualsiasi essere vivente. Anche gli animali che mangiamo devono essere uccisi nel modo meno doloroso possibile. L’ebraismo è una religione estremamente pacifica e non puoi capire quanto sia doloroso per noi vedere ciò che viene fatto ai palestinesi in nostro nome.”
Mr. Rubkin mi spiega che lui è nato a Gerusalemme e è vissuto per metà della sua vita convinto di essere circondato da nemici, gli arabi: “Fin da bambini la propaganda ti assale, ne sei immerso. Pensa a quanto erano succubi della propaganda gli italiani durante il fascismo:eppure quella macchina di indottrinamento aveva funzionato per soli venti anni. Immagina quanto profonda possa essere radicata una paura che viene coltivata da tre generazioni!”
Mr. Rubkin mi spiega che a un certo punto gli capitò di leggere gli scritti di Rabbi Amram Blau, fondatore dei Neturei Karta, e che la sua vita cambiò radicalmente. In quei libri lesse che lo Stato di Israele si stava approfittando della presenza degli ortodossi e del loro sostegno per legittimarsi come stato ebraico. Mr. Rubkin prese dunque la decisione di lasciare Israele e trasferirsi a Londra.
I Neturei Karta hanno però anche delle strane teorie revisioniste sull’Olocausto e secondo loro i sionisti collaborarono con i nazisti nel comune scopo di eliminare dall’Europa tutti gli ebrei che non concordavano con l’idea sionista. Sostengono che i sionisti hanno distrutto le comunità ebraiche che vivevano in pace in molti paesi arabi per portarli in Israele, in quanto l’esistenza stessa di quelle comunità metteva in dubbio la necessità di uno stato ebraico.
Dopo due ore di conversazione sento che mi si sta aprendo una porta misteriosa, l’accesso a un mondo di idee completamente diverso da quanto mi aspetto e che la strada per trovare la mia storia è ancora lunga. Due settimane sono passate da quella litigata con un collega a casa di amici. Finora ciò che ho capito è che gli ebrei che si oppongono a Israele e al sionismo sono una galassia di idee e opinioni diverse ma che né io né il mio collega avevamo realmente idea di ciò che stavamo dicendo.
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