Paesi geograficamente lontani ma in un certo qual modo uniti sotto il periodo del nazionalismo arabo negli anni ’70. Paesi che si sono poi ritrovati sotto il comune denominatore di ‘Primavera Araba’ ma che hanno intrapreso strade diverse. Paesi che hanno visto nuovamente intrecciare il loro destino tramite l’esodo dei profughi siriani attraverso la Libia e da lì verso l’Europa. Libia e Siria. Così lontani, così vicini
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/05/420123_10151175537452702_1483123099_n.jpg[/author_image] [author_info]di Cristiano Tinazzi. @tincazzi. Classe ’72, giornalista, da circa dieci anni segue gli eventi in Nordafrica e Medioriente. Ha vissuto gran parte della ‘Primavera araba’ tra Tunisi e Tripoli. Ha lavorato per tv, radio, agenzie e carta stampata. Ha un blog, ildottorgonzo.wordpress.com, che aggiorna quando gli pare. Odia Twitter e ha due gatti: Tongo e una profuga siriana presa ad Aleppo. Siria (Hurryia, appunto…)[/author_info] [/author]
24 settembre 2014 – A leggere giornali e riviste, a sentir parlare la gente, sembra di essere finiti in una grande psicosi internazionale. Sì, è vero, L’Isis fa paura, taglia le teste e ammazza la gente. Sì, è vero, c’è un problema di stabilità di una intera regione Mediorientale. E non solo. La Libia è diventata un parco divertimenti per il tiro a segno con un parlamento costretto a stare su un traghetto greco ancorato al porto di Tobruk per motivi di sicurezza. Altri Paesi africani non se la passano proprio bene.
E quindi? La risposta è stata data alle armi e alla paura. Bombardamenti, invii di munizionamenti e consiglieri militari all’estero, isteria collettiva sull’Islam in Italia. Tutto lì? Forse sarebbe utile capire come mai larga parte della popolazione sunnita in Iraq si è messa sotto l’Isis piuttosto che sotto il tallone sciita?
Questi gruppi baathisti che piacciono un sacco a tanti antimperialisti in Siria, baluardo della ‘laicità’ di un regime criminale e torturatore sostenuto dai non laici iraniani e dai non laici Hezbollah, che dicono in merito al fatto che gli uomini del Naqshbandi Army, dell’ex vicepresidente Izzat Ibrahim al-Douri, fedelissimo di Saddam Hussein, hanno collaborato (pentendosene) con l’Isis nella sua avanzata in Iraq? E come mai per gli sciiti che hanno liberato la cittadina di Amerli dall’assedio dell’Isis non si usa il termine ‘tagliagole’ anche se tagliano teste ai prigionieri sunniti?
Dov’è finito l’uso della ragione in questa porcheria internazionale mediatica? Quando abbiamo scelto di far rappresentare la cristianità a un personaggio controverso come Magdi Allam? Abbiamo perso la lucidità. La psicosi del terrore ha invaso le nostre case, i nostri telegionali, le nostre riviste. Le chiacchiere nei bar. I musulmani da troppi, molti, vengono associati ai fanatici del Califfato, si chiama all’unità cristiana, si invoca una espulsione di massa, come ha scritto vergognosamente Vittorio Feltri sul Giornale, quotidiano in testa ai fomentatori di odio e discriminazione verso l’altro.
Non ci sono analisi, non c’è approfondimento, solo psicosi. Eppure i musulmani siriani e sunniti sono per la maggior parte contro l’estremismo. Non accettano imposizioni radicali, non vogliono essere assimilati ai jihadisti dell’Isis. I libanesi hanno fatto manifestazioni contro l’Isis e alla Moschea di Roma, venerdì scorso è stata organizzata la mianfestazione aperta a tutti: L’Isis non è l’Islam. Ma nessuno li ascolta. Non fanno notizia o ne fanno poca.
A Milano si fa polemica su una fotografia di una bambina siriana che dorme per terra alla stazione Centrale dimenticandosi del fatto che quei siriani, musulmani, sunniti, sono scappati a milioni dai bombardamenti e dalla guerra. Ogni settimana muoiono centinaia di persone, molti bambini e donne, civili, fatti a pezzi dalle bombe lanciate dal regime ‘laico’ di Assad. Decine di migliaia di loro sono scappati in Italia per poi ripartire verso il nord Europa.
Solo nel capoluogo lombardo sono almeno 20mila le persone transitate. Schiacciati tra l’incudine e il martello, tra un regime brutale e sanguinario e dei fanatici che hanno sconvolto la rivoluzione siriana uccidendo più ribelli che soldati governativi. Oggi ci fanno paura, quelli che banalmente chiamiamo ‘tagliagole’ ma non è mai stato fatto niente per fermarli quando si poteva. I recenti attacchi dell’Isis contro le enclave curde del Rojava in Siria, con la fuga verso la Turchia di oltre centomila persone, sono la prova del nove su quanto siamo poco interessati a combattere il regime.
Prima hanno massacrato i ribelli del Fsa e le brigate islamiste concorrenti, oggi i curdi. Con un breve intermezzo contro gli uomini di Assad, giusto per togliersi dalle scatole le ultime basi governative rimaste nella zona. I caccia di Assad però non bombardano, se non raramente, le posizioni dell’Isis.
Ansa, 22/09/2014: “È salito a 42 morti, tra cui 16 bambini, il bilancio delle vittime dei bombardamenti aerei del regime di Damasco ieri sera su alcune località del Paese solidali con la rivolta, nella regione di Idlib. Lo ha riferito l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria”. Ma non fa notizia. Non si chiama Isis.
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