Terra ricca di acqua, il governo studia le potenzialità economiche dell’utilizzo della risorsa, ma non è chiaro lo stato di salute delle falde
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/05/Schermata-2014-05-27-alle-18.40.52.png[/author_image] [author_info]di Nicola Dotto, da Belgrado. Laureato in lingua e letteratura russa vive da più di 4 anni in Serbia dove insegna lingua italiana. Collabora con il quotidiano di informazione sulle politiche sociali WEST[/author_info] [/author]
27 settembre 2014 – La Serbia è una terra ricchissima di acqua. Solcata da grandi fiumi europei (qui si troverebbero il 20% delle riserve d’acqua dolce del mondo) e attraversata da un’estesa rete sotterranea di rigagnoli e sorgenti di acqua, il Paese balcanico si colloca al 47° posto al mondo per numero di risorse d’acqua. La propaganda governativa già prevede future guerre a difesa di questa fonte di introiti (in milioni di dollari) grazie alla sua esportazione a Paesi assetati, arabi e africani in primis. Ma esiste nella cittadinanza una diffusa coscienza civica e ambientalista unita alla consapevolezza di questa ricchezza? E com’è effettivamente lo stato delle acque?
L’organizzazione serba “Ecotopia”, che si occupa della salvaguardia e protezione dell’ambiente, pur riconoscendo l’importanza nel campo idrico del Paese, collocandolo al 47° posto tra le nazioni al mondo per numero di risorse d’acqua e quantità di riserve e sorgenti minerarie, non manca però di segnalarne alcune criticità. La prima è la qualità dell’approvvigionamento, punto dolente poiché un terzo è “acqua contaminata”, cioè microbiologicamente e chimicamente al di sotto del livello minimo di qualità. Il rischio aumenta se si considera che un terzo della popolazione attinge ancora oggi da sorgenti, pozzi e canali di campagna, che non sono mai stati controllati e diventano quindi veicolo di pericolose malattie.
Il grande potenziale delle acque sotterranee viene infatti inficiato e danneggiato dal settore agricolo attraverso un uso massiccio e indiscriminato di fertilizzanti artificiali. Non solo, il numero di agricoltori che utilizzano pesticidi nocivi e sostanze tossiche in natura risulterebbe in costante aumento e le sostanze pericolose, come un flusso sanguigno, arrivano ai bacini fluviali e ai fiumi che si allungano in tutto il paese. Preoccupa inoltre l’Unione europea che delle acque reflue provenienti da insediamenti industriali (il 50%) e rurali, solo una minima parte (il 10%) venga trattata prima dello scarico diretto nell’ambiente. Pesano, per una delle nazioni del vecchio continente maggiormente responsabili dell’inquinamento dei terreni agricoli, la mancanza di leggi ferree e la cronica assenza di adeguate infrastrutture, strutture costose ma indispensabili per un’adeguata salvaguardia ambientale.
Un articolo dell’autorevole portale “Peščanik” getta però le ombre più lunghe sulla questione. Un’attenta riflessione, che si apre con un’esamina del valore altamente inquinante riscontrato nelle acque di alcune città e sul conseguente divieto di farne uso domestico (da Novi Sad e Sombor a Užice, da Zaječar e Zrenjanin fino a Vranje), indica come causa principale di tale dissesto ecologico il “fattore umano”. Televisori, lavatrici e spazzatura gettati nei fiumi o lasciati vicino alle sorgenti di acqua certificano l’assenza nella cittadinanza di una pur minima coscienza ambientalista.
Per chi ci abita, bottiglie di plastica, sacchi d’immondizia e rifiuti industriali d’ogni specie che galleggiano nei fiumi delle città sono una triste quotidianità, così come un nauseante odore di fogna e marciume nei pressi delle rive. La metà dei 2,5 milioni di famiglie serbe non è collegata alla rete fognaria e smaltisce di conseguenza le proprie acque nere (e non solo) nei terreni e nelle falde circostanti. È sufficiente dare un occhio a qualche video su internet (qui) per rendersi conto della catastrofica situazione dei corsi d’acqua.
Da sottolineare che in generale la popolazione non si sente in colpa per la contaminazione dell’ambiente, considerato oltretutto un non-problema, e getta eventuali responsabilità addosso ad altri – Stato, enti locali, industria, imprese multinazionali, vicini di casa…Il fatto poi che la raccolta differenziata dei rifiuti sia non solo un lontano miraggio (praticamente ancora agli albori) ma un argomento quasi tabù, è un segnale chiaro della lunghezza del percorso ancora da fare.
Da un’inchiesta risulta addirittura che in nessuna cittadina o paese di campagna l’acqua è sicura ed esente da effetti tossici, e che più di 700mila persone della regione nord-orientale del Banato bevono quotidianamente a proprio rischio e pericolo. L’elevata presenza di metalli pesanti, come cadmio, arsenico, manganese e altre sostanze chimiche provenienti da grandi miniere di carbone minacciano pericolosamente i fiumi Sava e Drina, e anche il grande Danubio sarebbe a grave rischio inquinamento al confine rumeno. I disastri ambientali della primavera scorsa, con lo straripamento di molti fiumi e il conseguente allagamento di buona parte delle città, hanno aggravato di certo una situazione, alla luce dei dati, già molto critica.
Un altro buco nero ambientale risultano essere infine le migliaia di discariche a cielo aperto o non regolamentate disseminate ovunque. Recenti studi attestano infatti la presenza di più di 4.000 discariche illegali o non controllate, la maggior parte vicine a fonti di acqua potabile o in prossimità di corsi d’acqua e fiumi. Acqua e rifiuti sono legati indissolubilmente e ogni rifiuto raggiunge prima o poi le falde, inquinandole. In fin dei conti se sommiamo a tutto questo la proverbiale arroganza e incuria balcanica, un certo menefreghismo e ignoranza su una questione tanto delicata, nessuno si stupisce che la Serbia sia uno dei paesi più inquinati d’Europa.
Anche la politica risponde assente e fa finta di ignorare la minaccia; impegnata nel percorso di avvicinamento all’UE e concentrata a far rispettare dei parametri economici sullo stato del benessere sociale e della ricchezza del Paese, non si cura invece del suo crescente degrado. I politici stessi sono un cattivo esempio, permettendo la costruzione di case a ridosso di sorgenti di acqua potabile, anche se questo è severamente vietato dalla legge.
A causa di ciò che è stato fatto al Paese in questi anni, impegni difficili e gravosi sono quindi previsti nei negoziati con l’Unione europea sul capitolo “protezione dell’ambiente”. Le leggi, facili magari da scrivere, devono poi essere rispettate. Secondo le ultime stime, per riparare ai danni provocati all’ambiente acqueo negli ultimi anni e consentire un ripristino delle fonti di acqua pulita, sarebbero necessari 10,5 miliardi di euro. Soldi assenti nelle casse statali che richiederanno un contributo dei cittadini dell’Unione Europea.