La versione di Bora

Milutinovic, il principe degli giramondo del pallone

di Christian Elia
@eliachr

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28 settembre 2014 – Un bell’articolo di Francesco Rizzo sulla Gazzetta dello Sport merita una citazione. Racconta la storia di Dan Ito, giocatore di calcio giapponese. Giramondo, per usare un eufemismo.

Ito, infatti, dal 1998 a oggi ha cambiato ventuno squadre, giocando in quindici paesi asiatici differenti, dal Vietnam alla Cambogia, dalle Filippine alla Mongolia. Un lavoro, certo, ma una passione. Quella di inseguire un pallone che rotola ai quattro angoli della terra.

Un peregrinare che Ito racconta in un blog molto seguito, dal quale traspare un amore vero per il gioco più bello del mondo. Ito, in realtà, nonostante la sua storia bizzarra, non è una rarità.

Con uno di quei termini diffusi, ma ormai desueti, in quanto non politicamente corretti, vengono definiti quelli come Ito nel mondo del calcio: zingari.

 

 

In passato, per lo più, se la parola non era urlata da qualche cialtrone allo stadio, veniva usata dai giornalisti per raccontare di personaggi che del girare il mondo appresso al calcio hanno fatto la ragione della loro vita.

In quella che è una mera classifica emotiva, senza alcuna spiegazione tecnica, il simbolo degli ‘zingari’ del pallone è Velibor Bora Milutinovic.

Classe ’44, jugoslavo di ferro, serbo di passaporto. Detiene il record di cinque nazionali differenti allenate ai Mondiali: Messico (1986), Costa Rica (1990), Stati Uniti (1994), Nigeria (1998), Cina (2002). Ha allenato in Usa, Italia, Argentina, Messico, Iraq, Giamaica, Honduras e Qatar.

A quelli che gli chiedevano cosa lo spingesse in giro per il mondo, rispondeva che “di sicuro non ci andrei gratis, ma credetemi: non lo farei neanche solo per soldi. E’ che guardando il campo da tutti i punti di vista del mondo, parlare di calcio in molte lingue differenti, mi ha reso un uomo ricco di storie, che una vita non mi basta per raccontarle”.

Milutinovic, sposato con una donna messicana, parla otto lingue. In fuga fin da giocatore, quando a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta lascia la Jugoslavia per giocare in Svizzera, Francia e arrivare fino in Messico.

Nel 2009 gli diedero del pazzo quando accettò la panchina della nazionale di calcio irachena. “A nessuno va negato il calcio, perchè anche quando la situazione è brutta davvero, un pallone porta un sorriso”, dichiarò Bora.

Che quell sorriso l’ha portato in giro per il mondo, anche adesso, che allena in Cina. Perché ci sono persone che nell’incontro con l’altro trovano il meglio di loro stessi.

 

 

 

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