Cento tonnellate di aiuti non sono solo un carico umanitario, contengono il cuore e la solidarietà di 100mila persone
di Stefano Rebora, Music for Peace – Creativi della notte, tratto da NenaNews
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28 settembre 2014 – Cento tonnellate di medicine, alimenti e materiale scolastico, 2 ambulanze e 7 container: è il carico con cui Music for Peace è entrata a Gaza il 16 Settembre. Al momento siamo il primo e l’unico convoglio umanitario proveniente dall’Italia per la Striscia.
È sempre stato difficile arrivare in questa terra martoriata da guerra e assedio, quest’anno più che mai. Siamo stati bloccati 50 giorni in Italia in attesa dei permessi di transito e valico dei confini. Nel frattempo c’è stata l’Operazione Margine Protettivo, i morti, i feriti, gli sfollati, la brutalità di una guerra feroce. Durante gli ultimi giorni di attacchi alla Striscia ci sono stati rilasciati i permessi di transito sul suolo egiziano.
Abbiamo dunque lasciato l’Italia il 26 agosto. Per le procedure del ministero degli esteri egiziano il convoglio sarebbe dovuto entrare a Gaza dopo appena 72 ore. Ma la tensione nel Sinai, le attività militari nel nord della regione e la macchinosa burocrazia egiziana hanno bloccato la carovana per altri 22 giorni. Ma il 16 Settembre, dopo 72 gironi di stop, il primo convoglio umanitario italiano è entrato a Gaza. Si tratta della sesta missione nella Striscia di Gaza. La prima fu nel 2009, con un grande amico ad attenderci oltre il valico: Vittorio Arrigoni.
In questi giorni stiamo distribuendo personalmente il materiale agli ospedali e alle famiglie più colpite dall’ultimo attacco, percorrendo in lungo e in largo tutta la Striscia. Ci imbattiamo così nel quartiere di Shejaya, dove la gente è tornata a vivere nelle proprie case sventrate oppure nelle tende montate sopra le macerie (nella foto reuters). È un quartiere raso al suolo: la moschea, l’ospedale Al Wafa, il centro per ragazzi down, non c’è più nulla.
Lì conosciamo Ahmed, due grandi cicatrici solcano il suo ventre in lungo e in orizzontale. È stato ferito da un bombardamento, ha atteso i soccorsi per circa tre ore. I familiari lo credevano morto, attendevano il suo corpo nel cimitero. Invece ha resistito, hanno dovuto asportargli un polmone e operarlo altre 4 volte a Gerusalemme. Conosciamo anche Somud, una ragazza dagli occhi grandi che terrorizzata ci dice «Il 25 terminerà la tregua, forse la guerra ricomincerà». Questa è Gaza. Si ha certezza del qui e adesso, non del futuro, non del domani. La situazione è appena meno grave, ma ugualmente terribile a Khan Younis, Nuseirat, Jabalya, Rafah, Zytoon: macerie. Case, vite, esistenze che non torneranno. Le scuole dell’Unrwa pullulano di famiglie sfollate, mentre non ci sono piani per la ricostruzione.
Distribuiamo alimenti, kit scolastici, materassi, coperte, giocattoli, le medicine solo agli ospedali. Sappiamo che cento carovane non serviranno a risolvere i problemi dei Gazawi. Infatti, ancor più del materiale è importante il messaggio contenuto in esso. Non raccogliamo denaro, ma direttamente materiale, sensibilizziamo gli studenti e puntiamo a coinvolgere le persone: quando saremo in tanti a camminare verso la giusta direzione, potremmo cambiare le cose.
Cento tonnellate di aiuti non sono solo un carico umanitario, ma contengono il cuore e la solidarietà di 100.000 persone. È necessario smetterla con le parole e la filosofia fine a se stessa, è importante continuare a parlare di Palestina, ma combinare le parole ai fatti, perché questo è quello che la gente ci chiede, in Italia come a Gaza.
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