I brasiliani hanno mandato al ballottaggio Dilma Rousseff e Aécio Neves, ma il malessere generale è diffuso e le operazioni di voto complicate. E sul problema droga tutti propongono le vecchie e inefficaci soluzioni
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/1015058_4778608114201_571572631_o.jpg[/author_image] [author_info]di Elena Esposto, da Rio de Janeiro. @loveSleepless. Nata in una ridente cittadina tra i monti trentini chiamata Rovereto, scappa di casa per la prima volta di casa a sedici anni, destinazione Ungheria. Ha frequentato l’Università Cattolica a Milano e si è laureata in Politiche per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo. Ha vissuto per nove mesi a Rio de Janeiro durante l’università per studiare le favelas, le loro dinamiche socio-economiche, il traffico di droga e le politiche di controllo alla criminalità ed è rimasta decisamente segnata dalla saudade. Folle viaggiatrice, poliglotta, bevitrice di birra, mediamente cattolica e amante del bel tempo. Attualmente fa la spola tra Rovereto e Milano[/author_info] [/author]
9 ottobre 2014 – Dilma e Aécio sono al secondo turno, in barba a tutte le previsioni che davano Marina come la seconda più votata.
Ora la città è più calma. La campagna elettorale che ha imperato ferocemente in questi mesi si è fermata. Le gigantografie dei politici prima ovunque, sotto i ponti, sui marciapiedi, appesi ai muri e stampati sulle carrozzerie delle macchine che passano in mezzo al traffico assordando con i loro jingle elettorali a ritmo di samba, funk o chissà che altra geniale trovata sono quasi completamente scomparsi.
I candidati guardavano i passanti dal loro trono di carta plastificata, sorridendo sornioni. Sotto di loro risalta in colori sgargianti il numero da digitare per eleggerli; sembrava un enorme e comico reality show, di quelli della Rai, dove nello spazio pubblicitario i concorrenti appaiono con vicino il loro numero e implorano il pubblico “Votatemi!”.
Ciascun candidato cerca poi di mettersi in luce mostrando di avere il sostegno del tal candidato a governatore o a presidente con degli abbinamenti partitici che risulterebbero quantomeno bizzarri perfino ad un italiano.
Oggi quello che resta di tutti i soldi spesi nella campagna sono i piccoli santini con le facce dei politici che vorticano nel vento insieme alle foglie secche e le cartacce.
In questa babele elettorale nomi e numeri si accavallavano in un incredibile caos.
I brasiliani hanno votato per cinque cariche specifiche: deputato statale, governatore, deputato federale, senatore e presidente. Ciascuno con i suoi numeri, due per i candidati a presidente e governatore e quattro o più per deputati e senatori.
La situazione è davvero complicata da capire, specialmente per una straniera che non ha la TV e internet a casa.
Ho deciso così di chiedere in giro ai miei amici come hanno vissuto queste elezioni e quali sono state le motivazioni che li hanno spinti a votare un candidato piuttosto che un altro.
Tutti loro sono fortemente politicizzati, abbiamo spesso infuocate discussioni sulla politica estera degli USA in America Latina, sulla difficile posizione geopolitica di Cuba, sulla guerra tra Israele e Palestina, sulla politica delle quote per i neri, sulla legalizzazione dell’aborto e sulla liberalizzazione delle droghe. Mi rendo conto quindi che questo gruppo è un sample molto ridotto e molto particolare della popolazione brasiliana eppure partirò da esso per cercare di sbrogliare la matassa delle elezioni.
Luiz e José (i nomi sono tutti di finzione) hanno votato pragmaticamente, anche se per motivi diversi.
Luiz, nato nel Nordeste, ha votato Dilma perché vede che durante i dodici anni di governo petista il Brasile è cambiato radicalmente. Nel suo villaggio fino al ’95 non c’era elettricità e oggi l’energia raggiunge praticamente tutte le regioni del Paese. Il suo voto riconosce un cambiamento, cambiamento che vuole continuare a vedere anche per le generazioni future.
Anche José riconosce il cambiamento del Brasile, ma lo vive come una minaccia. Bianco di classe media ha un figlio che non riesce ad entrare all’università e che si vede passare davanti in graduatoria studenti di colore che entrano grazie alla politica delle quote. Non gli piace neanche l’“importazione” dei medici cubani o le politiche sociali. Non avrebbe votato Dilma, neanche se fosse stata l’ultima candidata rimasta sulla faccia della terra.
Paula ha votato per affetto e per simpatia. Ha votato Dilma perché crede nella sua forza, perché sa quello che può fare, per la sua storia di militanza contro la dittatura militare e perché è una donna.
Antonio è pernambucano, ha fatto parte dei movimenti di protesta quando il Brasile era ancora sotto il controllo dei militari e ha iniziato a militare nelle file del PT quando era appena un sindacato, il suo voto è ideologico e di appartenenza. Anche Fernando ha votato Dilma perché il PT ha dato un’altra postura al Brasile sullo scenario internazionale.
Carlos invece ha votato Marina, per la politica ambientale, ma è rimasto deluso dal risultato.
Il voto di Iarley è un voto di difesa. Nero come il carbone ha sofferto una vita intera il pregiudizio e il razzismo. Ricorda quella volta che è stato fermato dalla polizia in nome della legge del vagabondaggio, applicata a tutti coloro che si trovano per strada in “orari poco consoni” e senza la carteira de trabalho. Tempo fa suo padre e suo nonno vennero arrestati mentre lui se l’è cavata con una “lezioncina” da parte dei poliziotti. Non è il massimo ma è meglio di quello che hanno sofferto gli uomini della sua famiglia prima di lui. Non mi dice chi ha votato ma afferma con sicurezza che vota per difendersi, per difendere sua figlia, per difendere il Brasile perché non torni ad essere quello che era prima.
Felipe ha votato il meno peggio. Nato e cresciuto nel Compexo do Alemão vuole pace per la sua favela, vuole la libertà di andare e venire senza essere fermato e rovistato arbitrariamente dalla polizia e vuole poter vivere in luogo dove non ci sono sparatorie e dove non muore qualcuno ogni settimana.
Luiza e Marcos sono i disillusi del gruppo, hanno votato perché in Brasile il voto è obbligatorio ma sono convinti che i candidati siano tutti uguali, todos a mesma merda.
Mariana lavora al seggio elettorale da anni ormai. Mi racconta dell’urna elettronica, di come essa dovrebbe scongiurare i brogli e di come invece è facilmente manomettibile, quasi come le schede di carta.
La mattina delle elezioni ogni presidente del seggio dovrebbe stampare un documento che riporta se esistono già voti registrati per qualche candidato in quell’urna e poi scorrere i nomi uno ad uno per assicurarsi che il numero di voi affianco al nome sia zero. Ma non tutti lo fanno, ovviamente.
Un’altra cosa che succede frequentemente è che il cittadino si dimentichi di dare l’ok con il pulsante verde dopo aver votato. Compito del presidente del seggio è correre dietro alla persona in questione, riportarla all’urna e farle premere il verde. Quello che frequentemente succede invece è che il presidente cambia il voto e dà la conferma per il proprio candidato.
Per passare ora ad una mini analisi della situazione a livello nazionale vorrei proporvi una piccola presentazione di quelli che erano i tre principali candidati alla presidenza della Repubblica.
Dilma Rousseff, attuale presidentessa, del PT (Partido dos Trablhadores), un partito che nasce come sindacato di spiccate tendenze a sinistra. Dilma ha combattuto contro la dittatura militare, è stata arrestata e torturata.
Aécio Neves viene da una famiglia di politici, nipote del molto più famoso Tancredo Neves corre per il PSDB (Partido da Social Democracia Brasileira) orientato al liberismo economico e orientato a centro-sinistra, lo stesso partito del sociologo ed ex presidente della repubblica Fernando Henrique Cardoso, uno degli teorici dello sviluppo che contribuì alla nascita della CEPAL (Commissión Economica para America Latina).
Marina Silva, piombata sulla scena politica dopo la tragica morte di Eduardo Campos, ex governatore di Pernambuco, deceduto in un disastro aereo il 13 agosto 2014, corre per il PSB (Pardido Socialista Brasileiro). Ha iniziato la sua carriera con il PT, è stata ministro dell’Ambiente nel Governo Lula e durante le elezioni del 2010 aveva concorso alla presidenza con il PV (Partido Verde). Nata cattolica oggi è schierata dalla parte dei movimenti neo pentecostali, una strategia molto comune tra i politici brasiliani per acchiappare più voti. La barzelletta dell’anno è che Marina ha cambiato talmente tante bandiere nella sua vita che da qui alla fine della campagna elettorale cambierà anche sesso.
Di seguito un riassunto stringato e figurato dei tre programmi elettorali:
Per elaborare queste tre figure è stato preso il programma elettorale ufficiale dei tre candidati ed elaborato con un programma di creazione dei tag clouds.
Come si può vedere ci sono alcune parole ricorrenti in tutti e tre i programmi come educação (educazione), saúde (salute), desenvolvimento (sviluppo), segurança (sicurezza) e acesso (accesso) e altre che richiamano al cambiamento come mudança (mutamento) e reforma (riforma).
Mentre nel programma di Aécio risuonano in maggior quantità parole legate alla sfera sociale come famiglia, società, diritti, persone, donne, integrazione, insegnamento… i programmi di Dilma e Marina presentano più termini di carattere economico.
Specialmente nel programma della candidata petista troviamo varie parole che si riferiscono a questo campo: petrolio, pré-sal, energia, mercato, rendita, investimenti, imprese, investimenti…
Nel caso di Marina ricorrono il termine sustentável (sostenibile) e participação (partecipazione).
Quello che in particolare è l’assenza di parole riferite all’ambito di problemi che si direbbero chiave per il Brasile contemporaneo.
Usando la funzione “cerca” nei testi dei programmi elettorali questi sono i risultati.
La parola “aborto” non appare in nessuno dei tre programmi sebbene circa 250.000 donne muoiano ogni anno in seguito ad aborti clandestini mal riusciti.
La parola “Amazzonia” essendo molto ricorrente nel programma di Marina appare appena 2 volte nel programma di Dilma e tre in quello di Aécio, nel contesto di ridurre la deforestazione e l’emissione di gas serra.
La parola “favela” non appare in nessun momento nel programma di Dilma mentre viene citata nel programma di Aécio in relazione all’urbanizzazione e in quello di Marina per quanto riguarda i processi di inclusione dei giovani.
Più citata anche se non quanto sembrerebbe necessario è la regolarizzazione fondiaria e la distribuzione della terra, la cui proprietà è ancora fortemente centralizzata, specialmente negli stati del nordest.
Ma quello che più colpisce è il risultato che emerge dalla ricerca della parola “droga”.
Sebbene vengano proposte politiche di sensibilizzazione e, come nel caso di Marina, supporto a coloro che ne fanno uso, in tutti e tre i programmi, viene rinforzata l’idea della necessità di combattere il traffico di droga e di prevenirne il consumo (Aécio cita anche l’alcol nella lista delle droghe) che continua ad essere trattato come un problema di pubblica sicurezza.
Insomma, la piaga che da decenni affligge il Brasile e gli altri Paesi dell’America Latina continua ad essere affrontato con i vecchi strumenti che il tempo e l’esperienza ci hanno insegnato che non funzionano.
E per concludere, dato quello che ho visto e sentito in questi ultimi due giorni la soddisfazione non è certo il sentimento derivante da questa elezione.
L’altissimo numero di schede nulle e bianche rappresenta un sintomo chiaro di quanto poco i brasiliani abbiano creduto in questa elezione.
E se da un lato il fatto che Dilma sia in testa (sebbene tutto possiamo aspettarci dal secondo turno) dimostra che il Brasile riconosce i miglioramenti che il PT ha apportato in termini di inclusione, uguaglianza e diritti di base per i segmenti meno favoriti della società e ha scelto di continuare su questa strada, dall’altro la vagonata di voti ricevuta dai candidati conservatori e di ispirazione neo-pentecostale per i congressi federale e statali non può non riportare alla memoria il ritornello “cambiare tutto perché niente cambi”.
Solo per dare un esempio il Pastor Feliciano, famoso per le sue uscite contro i gay, è stato il terzo candidato più eletto nello stato di São Paulo.
Del resto è vero che il Brasile è una repubblica presidenziale e che è il presidente (o il governatore nel caso degli Stati) che ha l’ultima parola sulle leggi, ma non dobbiamo dimenticare che chi scrive le leggi sono i congressi e di fronte ad una votazione a maggioranza perfino le alte cariche hanno le mani legate.
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