Analisi sui conflitti globali. Quando la guerra prende il posto della politica
di Bruno Giorgini
13 ottobre 2014 – L’ultima guerra ancorata all’antica legalità fondata sul rispetto dei confini e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza è quella che Bush senior intraprende, appunto sotto l’egida dell’ONU, per difendere l’integrità territoriale del Kuwait invaso dalle truppe di Saddam Hussein (1990-91). Respinto l’attacco iracheno e penetrate le truppe occidentali in Iraq per evitare il rischio di controffensive, Bush senior interrompe l’avanzata seppure la strada per Baghdad sia spianata, dichiarando la missione compiuta.
È anche l’ultima guerra che limpidamente le armate occidentali vincono; dopo verranno la seconda guerra del golfo col disastro oggi sotto gli occhi di tutti; l’intervento in Afghanistan da cui la più grande coalizione militare della storia, come si ebbe a dire, deve scappare anche lì lasciando soltanto macerie politiche, sociali, materiali, di vite umane distrutte e talebani più forti che mai; la catastrofica toccata e fuga dei marines in Somalia e tutto il resto.
Perché nel frattempo emerge la jihad islamica, un movimento multiforme contro gli infedeli, che maneggia il terrorismo –al culmine la distruzione delle Twin Towers a New York con migliaia di morti – tanto quanto la guerriglia, ma anche costruisce una interpretazione fondamentalista del Corano, svolge una intensa attività di proselitismo e per la formazione religiosa dei giovani, si impegna in numerose attività sociali di sostegno alla popolazione. Un movimento alimentato pure dagli interventi militari occidentali e da teorie come quella dello scontro di civiltà enunciata da Samuel Phillips Huntington deceduto nel 2008, già consigliere dell’amministrazione americana ai tempi di Jimmy Carter, direttore degli Studi strategici e internazionali di Harvard, fondatore di Foreign Policy e autore di molti saggi geopolitici di ispirazione neoconservatrice.
La mappa della Jihad copre l’Algeria e l’Egitto, il Centrafrica e la Nigeria, il Medio Oriente e la banlieu parigina, il Caucaso e la Somalia, con parecchi altri luoghi del mondo fino alla attuale insorgenza di un vero e proprio stato, coi suoi ministeri le sue leggi il suo esercito, l’Isis (stato islamico dell’Iraq e della Siria) o califfato che dir si voglia, costituito occupando una parte non piccola della Mesopotamia.
Califfato che, con le armi occidentali, i soldi sauditi e degli altri Stati feudali dell’area, l’aiuto della Turchia, paese della NATO, nella guerra di Siria, ora dichiara guerra agli Stati Uniti, o piuttosto li sfida alla guerra, mettendo in scena il nero tagliatore di teste dall’accento inglese. Insorgenza di uno stato che oltre a tutti gli altri paradossi che lo hanno nutrito e allevato, si incrocia infine con la guerra civile interna all’Islam tra sciiti e sunniti, ma arriva anche al conflitto tra Israele e Palestinesi. Sullo sfondo campeggia poi l’Iran col suo programma nucleare, oggi inedito alleato degli USA.
È evidente quanta totale feroce determinazione ci voglia per decapitare un uomo con un coltello rispetto al colpo d’arma da fuoco sparato da lontano o all’omicidio compiuto da un drone guidato a distanza da un asettico tecnico.
Il drone può ucciderti ma non ti spaventa. Invece l’uomo nero esprime una crudeltà fuori portata, una malvagità delle sue mani che tengono il coltello oltre la misura umana, eppure egli appartiene alla specie degli umani come te, addirittura parla inglese londoniano mentre diventa protagonista di un realissimo film dell’orrore.
Questa dismisura vuole fare paura, e ci riesce, una paura che può rovesciarsi in una altrettanto dura determinazione a non cedere. Più precisamente, ad abbattere il califfato, cancellandone le pratiche con tutta la forza necessaria. Ovunque, nel deserto siriano come nelle città europee o arabe o altro che siano. Il che ovviamente non ha niente a che vedere con la libertà di culto per le persone di fede mussulmana che va rigorosamente rispettata, così come va rispettata la loro libertà di circolazione e presenza nella vita associata, ovunque.
A questo punto va ricordato la sconfitta di Obama, quando promise di chiudere l’orrendo carcere di Guantanamo, e invece questo è ancora aperto e attivo, col suo carico di violazioni dei diritti umani.
Quello sarebbe stato un gesto di pace che avrebbe anche messo gli USA nelle condizioni migliori per vincere la guerra eventuale. Invece non avvenne, sembrando che il pensiero strategico occidentale, e americano in particolare, fosse modellato dall’assurda parola d’ordine: bisogna terrificare i terroristi. E stiamo vedendo in diretta con quali risultati.
La funzione di garanti della legalità internazionale che gli USA vogliono incarnare dopo la scomparsa dell’URSS, si trasforma nella dottrina del Democratic Nation Bulding, l’edificazione di una nazione democratica. Significa che si agisce militarmente non per preservare i confini ma per limitare o annullare fenomeni massivi di violazioni dei diritti umani, la cosiddetta ingerenza umanitaria, e/o per distruggere armamenti “impropri”, le cosiddette armi di distruzione di massa, chimiche, nucleari e quant’altro, e/o per destituire un capo di Stato dittatore, spesso tutte queste cose andando insieme. Inoltre quando il regime sia stato abbattuto, deve cominciare un processo destinato a culminare nella costruzione di una moderna democrazia fondata su libere elezioni. Ma il tentativo di esportare la democrazia sulla punta delle baionette non è riuscito, anzi è in parte responsabile dello scatafascio attuale partorendo dei mostri. Così interi Paesi sono preda di guerre civili e/o tribali e/o etniche senza più alcuna certezza né dei confini né del diritto. Avviene in Africa, avviene in Medio Oriente, ma avviene anche in Cina.
I cartografi cinesi hanno disegnato una nuova mappa della Cina, verticale questa volta rispetto alle carte tradizionali che si estendono da Est a Ovest. La nuova carta “mostra tutta l’estensione del territorio cinese” (Global Times, giornale cinese in lingua inglese). In specifico sono tracciati i confini marini. Il Mare cinese meridionale misura circa tre milioni e mezzo di chilometri quadrati, con duecento isole, isolotti, scogli, disabitati e che non celano, allo stato attuale delle conoscenze, tesori nascosti, siano materie prime, fonti energetiche o quant’altro. Però la loro sovranità regola i diritti di navigazione e quelli di pesca, nonché di sfruttamento dei fondali marini che potrebbero riposare su giacimenti di petrolio e/o gas. Quindi più paesi,
Filippine, Taiwan, Vietnam, Malaysia, Brunei oscuro sultanato nell’isola del Borneo, e Cina, se li contendono. Però le nuove carte cinesi appena ieri tracciate le inglobano dentro i confini della Cina, la cosiddetta “linea dei nove tratti”, come fosse un fatto assodato e incontestabile, mentre le loro piattaforme di ricerca e trivellazione già sono al lavoro al largo delle coste vietnamite con continui incidenti, per ora limitati all’utilizzo di cannoni a acqua, speronamenti, qualche abbordaggio dimostrativo, mentre in Vietnam una fiammata nazionalista ha portato la folla a attaccare e incendiare le fabbriche cinesi, con una ventina di morti e centinaia di feriti. Così recentemente il capo di stato maggiore della difesa USA generale Martin Dempsey è volato in Vietnam offrendo in funzione anticinese armi e tecnologie al governo comunista, che circa cinquanta anni fa i B52 USA bombardarono in lungo e in largo. L’ennesima contraddizione di una amministrazione americana sempre più contorta e in difficoltà su ogni fronte.
A proposito di fronti, non molto tempo fa le forze armate russe e quelle cinesi hanno fatto manovre congiunte a ampio raggio lungo la frontiera tra i due paesi. Inoltre Cina e Russia hanno appena deciso di costituire una agenzia di rating comune per affrontare la guerra finanziaria in corso. Terzo passo, la firma recentissima di un contratto per la fornitura di gas russo alla Cina che abbisogna di energia come il pane, il che già di per se rende infimo il peso delle sventolate sanzioni europee.
Ovvero l’asse Cina Russia che si è, per ora, costituito, sbilancia gli equilibri tra Eurasia e America a favore della prima. Come se non bastasse la capacità balistica cinese nel campo dei missili intercontinentali a testata nucleare, singola o multipla, si è molto accresciuta nel giro di pochi anni. Prima l’armata rossa cinese era in grado di spedire sul territorio USA missili con cospicue testate nucleari, però a bassa precisione d’impatto, dell’ordine di dieci/cento chilometri, mentre i missili americani potevano colpire un tombino distante migliaia di chilometri, la precisione maggiore costituendo un vantaggio strategico considerevole, vuoi decisivo. Adesso i missili cinesi possono, come i loro confratelli USA, centrare bersagli su un’area di pochi metri quadri, tra dieci e cento, e quindi esiste una sostanziale parità nell’efficacia distruttiva, cioè la deterrenza è tal quale da una parte e dall’altra. Last but not least, le tecnologie e la produzione cinese nel campo della telefonia mobile e intelligente, sta diventando la prima al mondo, il che significa che sul piano strategico gli USA hanno perso, o stanno perdendo, la superiorità nel campo della rilevazione, informazione e comunicazione, fondamentali in qualunque conflitto e/o guerra, virtuale o reale, minacciata o combattuta, psicologica o materiale, ecc…
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