La seconda puntata della ricerca multimediale Doorothy, oggi dedicata a chi vive in barca
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/10/silvia.jpg[/author_image] [author_info]di Silvia Sitton. Convinta che per spiegare l’economia sia più utile raccontare storie piuttosto che disegnare grafici e risolvere equazioni, sta lavorando a un progetto per raccontare l’economia dell’abitare partendo dalle storie degli abitanti. Il suo blog è irughegia.[/author_info] [/author]
20 ottobre 2014 – A Londra le case sono carissime, e così c’è chi, per risparmiare, va a vivere in barca. Pagando una licenza annuale di 700 sterline puoi abitare nelle zone più cool della città, dove le case intorno hanno prezzi proibitivi. L’unico inconveniente è che ogni due settimane bisogna levare l’ancora e spostarsi in un’altra zona. Infatti una licenza per ormeggiare stabimente la barca è difficilissima da trovare e, se la si trova, può costare anche 10mila sterline all’anno.
Così le sempre più persone che per combattere il caro affitti decidono di andare ad abitare in una houseboat – le stime dicono che si tratti di circa 10mila persone corrispondenti a 4 o 5000 mila houseboat ormeggiate lungo le 100 miglia di canali che attraversano la città – lo fanno con una licenza di navigazione continua, che in teoria viene concessa solo a chi è di passaggio.
Nei fatti invece è l’unico modo che hanno i barcaioli di ultima generazione per avere un ormeggio e, per essere in regola, devono spostarsi periodicamente, rinunciando a un indirizzo stabile e al capitale di relazioni che si costruisce intorno alla zona in cui si abita, per aderire alla comunità dei “nomadi acquatici”.
Questa cosa del vivere in barca è la storia anche di Giulia, 24 anni, vena artistica e lavoro precario, che dopo qualche anno passato a Londra cambiando diverse shared houses, si sposta sulla barca di un’amica, a cui paga 200 euro al mese, meno della metà dell’affitto della camera in cui viveva prima. In otto mesi in barca è stata a Little Venice, Angel, Limehouse, Broadway Market ed ora è ferma a Victoria Park, tutte zone che le houseboat e chi ci abita hanno contribuito a rendere cool e vibranti.
Anche se piccola, la houseboat di Giulia è molto accogliente, con le pareti di legno tappezzate di poster e libri, le tendine alle finestre e i fiori sul tetto. A prua c’è la camera di Giulia, a poppa, da dove si entra passando per una porticina minuscola, quella della sua amica Elena, in mezzo la cucina con una vecchia stufa a legna al centro e la moka sul fornello.
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Sembra un puzzle questa casa barca, dove tutto è incastrato magicamente e non manca proprio niente, né la chitarra per le cantate notturne nelle serate d’estate, né il mappamondo per fantasticare su dove andare a vivere il prossimo anno, né le biciclette che la sera vengono legate in orizzontale sul tetto della barca e la mattina tirate giù e portate a riva attraversando le barche dei vicini che hanno il posto in prima fila.
A proposito dei vicini, quando viveva in casa Giulia faceva fatica a riconoscere le facce di chi le abitava a fianco, adesso invece è super inserita nella comunità dei “barcaioli”: ragazzi giovani, ma anche coppie di anziani e qualche famigliola, hipster e moderni hippy, tutti attratti da un modo di vivere un po’ eccentrico e dal senso di libertà che si porta dietro il vivere in barca.
Quest’anno Giulia ha festeggiato il Natale insieme ad una tavolata di sconosciuti, visto che era arrivata da pochi giorni nel nuovo ormeggio e non conosceva ancora gli altri houseboater, spesso al pomeriggio quando torna dal lavoro va a prendere il tè sul tetto-giardino della barca del vicino o gli bussa alla porta della barca se le manca il pane o ha cotto troppo riso, e poi insieme vanno in giro per il quartiere a caccia di legna, indispensabile per riscaldarsi.
In barca infatti non c’è il riscaldamento e d’inverno si gela anche con la stufa a legna accesa, per avere la luce bisogna accendere il motore e buttargli dentro carbone, l’acqua la si va a prendere con le taniche al water point ed è sempre poca, così per farsi la doccia Giulia ha fatto un abbonamento speciale nella palestra vicina.
Perché vivere in barca non è facile, non ci si rilassa mai, c’è sempre qualcosa da fare e lo devi fare in spazi molto piccoli, stretti e bassi. Oltre al fatto che i servizi sono sempre meno (gli ormeggi, i punti in cui rifornirsi di acqua, le docce, i contenitori per l’immondizia) mentre il numero di chi vive in barca sale di giorno in giorno, tanto che nei canali più richiesti le barche sono ormeggiate non in doppia ma in quadrupla fila.
Ma nonostante tutto la houseboat è forse l’unico modo, a parte essere miliardari o squatter, per vivere a Londra in zone centrali e in mezzo alla natura. Abitare in barca, secondo Giulia, consente di vivere in modo alternativo, costringe a eliminare il superfluo e aiuta a capire quanto è abbastanza. Per questo è un modello abitativo che deve essere salvaguarsato e non può diventare l’unica possibilità per chi non può permettersi altro. Perché barcaioli si nasce e difficilmente lo si diventa.
[Continua]
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