Ogni domenica il quartiere di Wazemmes, a Lille, si trasforma in uno dei luoghi simbolo del melting pot in Francia. Contraddice le tesi xenofobe del Front National di Marine Le Pen
testo e foto di Samuele Bregolin
@Samuelbregolin
21 ottobre 2014 – Il Front National è il partito francese di estrema destra guidato da Marine Le Pen. Alle elezioni europee del 2014 si è posizionato al primo posto tra i partiti con il 24,86% dei voti. Questo dopo aver ottenuto il 17,9% alle presidenziali del 2012, quelle vinte dal socialista François Hollande. Una delle linee guida del Front National, assieme all’uscita dall’Euro e dalla zona Schengen, è quella del controllo dell’immigrazione.
Secondo Marine Le Pen la Francia deve essere dei francesi, eppure le sue dichiarazioni sono fatte in quest’epoca in cui, più che mai, è difficile dire chi sia o chi non sia francese. Un quinto della popolazione transalpina ha origini straniere: polacchi, spagnoli, italiani, magrebini, senegalesi, indiani, pakistani. Nel corso del Novecento e ancora fino a oggi sono numerose e con i motivi più disparati le etnie che sono sbarcate in Francia.
Quella francese è una società cosmopolita e multiculturale. C’è l’eredità dell’impero coloniale: Maghreb, Africa Occidentale, Madagascar, Vietnam, Thailandia, Laos e Cambogia. Tutti paesi dove una parte della popolazione oggi parla francese e che da più di mezzo secolo emigra verso la Francia metropolitana in cerca di lavoro e condizioni di vita migliori. Ci sono le numerose ondate di immigrati in cerca di lavoro, quando dalla fine della prima guerra mondiale e fino a pochi anni fa le industrie francesi avevano un estremo bisogno di operai e le campagne di assunzione venivano fatte prevalentemente all’estero: minatori italiani e polacchi, muratori portoghesi, meccanici serbi, assemblatori algerini. Fino a chi è fuggito dalla dittatura o dalla repressione, come gli spagnoli con Franco o gli ungheresi dopo il 1956.
Tutte minoranze che sono giunte oggi alla seconda, terza o quarta generazione. Giovani francesi in tutto e per tutto: cultura, istruzione, abbigliamento, tranne che per il colore della pelle e le origini.
Per rendersi conto della multiculturalità della società francese basta camminare per le strade di qualsiasi centro cittadino il sabato o la domenica pomeriggio. Oppure inoltrarsi nei mercati rionali dei quartieri popolari. Un esempio tra i molti è il mercato di Wazemmes a Lille.
Appena usciti dalla stazione della metropolitana si è invasi dalla confusione, la domenica mattina a Wazemmes è giorno di mercato e si fa fatica a trovare lo spazio per camminare, venditori di tutte le nazionalità espongono merce d’occasione su scatole di cartone capovolte, poco più in là un anziano signore arabo con il caffettano vende menta fresca, ne ha un carrello con grandi sacchi di plastica bianca pieni dietro di lui.
Il cuore del mercato è la Place de la Nouvelle Avventure, una grande piazza contornata da edifici di mattoni rossi di inizio secolo. Fino alla seconda guerra mondiale il quartiere era abitato prevalentemente da operai tessili e minatori, poi è passato agli emigranti. Basta inoltrarsi nella prima fila di bancarelle per aver l’impressione di trovarsi in un suq arabo, si fa fatica ad avanzare, i venditori gridano le offerte del giorno, c’è chi mercanteggia sul prezzo, donne arabe con il velo cercano di farsi largo con le borse della spesa, i banchi della frutta e verdura espongono fichi d’india, melograni, spezie, banane, clementine, harissa.
Donne turche preparano il Lahmacun, la pizza turca, che vendono per pochi euro. Si trovano dolcetti al miele, baklava, loukoum, pane per tajine, burek e focacce. Il mercato è formato anche dall’angolo degli animali con volatili di ogni tipo e dalle halles al coperto, installate nell’edificio di ferro e vetro che agli inizi del secolo scorso fu una delle guinguette danzanti più famose di Lille, oggi ospita negozi di formaggi, pane, pesce e prodotti biologici.
Dalla parte opposta del mercato e della piazza Nouvelle avventure l’area è principalmente dedicata all’Africa e all’Asia, banchetti con maschere di legno dal Senegal si mescolano a camion che vendono nems e triangoli di somosa fritti sul momento. Gruppi misti di berberi e studenti vendono thé alla menta o harira fatti in casa. Per strada si possono sentire numerose lingue, dal turco al pakistano passando per l’arabo, il tedesco e lo spagnolo degli studenti Erasmus, il sanscritto quando si incrociano gli zingari, il cinese, il vietnamita e ovviamente il francese.
In un angolo della piazza, tra un ristorante di cous cous e una brasserie ci sono i sostenitori di Union pour la Tunisie, l’unione di sinistra che si è presentata per le prossime elezioni in Tunisia, il voto è tra poche settimane. Più che di politica tra i tunisini si parla dei problemi del Paese, lo Stato che si sta sbriciolando prima ancora che la costituente sia finita, il debito estero, che molti vorrebbero non pagare, la povertà e la disoccupazione. La discussione su di un intero paese da ricostruire passa anche per la voce dei residenti all’estero, che a Wazemmes possono parlare liberamente.
I tavolini delle terrazze dei bar che contornano la piazza sono un momento di relax per tutti, non è difficile incontrare uno accanto all’altro un gruppo di francesi che bevono birra belga accompagnata da un tagliere di insaccati di maiale e signori arabi che bevono thé alla menta dalla classica teiera marocchina. Qui a Wazemmes, il giorno del mercato così come durante tutta la settimana la multiculturalità e la condivisione tra etnie diverse è una realtà di fatto. Secondo i dati INSEE, l’institut national de la statistique et des études économiques, nel 2011 su una popolazione totale di 10416 persone nel quartiere 2623 erano stranieri e immigrati. Ma le statistiche non tengono conto dei numerosi immigrati di seconda o terza generazione che hanno oggi una carta d’identità francese.
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Nonostante la coesione del tessuto sociale i livelli di disoccupazione nel quartiere restano più alti che nel resto della città. 1468 disoccupati su una popolazione attiva di 4704 persone nel 2012, di questi più del 68% ha richiesto più volte gli aiuti sulla disoccupazione del Pole Emploi. Nonostante il comune si sia attivato per trasformare una vecchia fabbrica tessile in uno spazio culturale, la Maison des follies, questo non ha fatto aumentare i posti di lavoro, ne avanzare le condizioni degli abitanti. La speculazione edilizia vorrebbe abbattere alcuni vecchi edifici di inizio secolo e con loro le courées: i passaggi e le corti interne che rendono caratteristico il quartiere. I residenti si sono costituiti in associazione per opporsi e resistere in maniera compatta.
Wazemmes, come detto all’inizio, non è che un esempio tra i molti, ma si potrebbero citare anche il quartiere di Belleville a Parigi, la comunità polacca in Nord Pas-de-Calais, quella serba a Besancon, magrebina a Marsiglia, la minoranza linguistica tedesca in Alsazia e Lorena, fiamminga tra Cassel e Dunkerque, senza contare i baschi, i catalani, i bretoni e i corsi. Sempre secondo le ultime statistiche dell’INSEE nel 2008 il 19% della popolazione di cittadinanza francese era composta da immigrati di prima o seconda generazione. Il 40% dei bambini nati tra il 2006 e il 2008 sono figli di coppie miste e hanno uno o più nonni nati in un paese straniero.
Le influenze sulla cultura transalpina di un secolo d’immigrazione sono enormi, dalla gastronomia all’edilizia, dal linguaggio al cinema e alla letteratura: ovunque si possono rintracciare gli scambi e i contagi più vari. Non resta che chiedere a Marine Le Pen, e ancor più ai francesi che l’hanno votata ancora una volta, cosa intendano esattamente per Francia Paese dei francesi.
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