Vi proponiamo un testo approfondito che sarà alla base di un incontro che si svolgerà giovedì 30 ottobre a Bologna, in via del Piombo 5 al Centro delle Donne, con inizio alle 20.30. Patrocinato da Q Code Mag, Inchiesta e Libreria Ubik Irnerio con la partcipazione di Bruno Giorgini e Silvio Bergia.
È cosa inesplicabile, come da cose triviali, quotidiane e sotto gli occhi di tutti, V:S: Ecc. osservi gli effetti della natura, e si alzi a speculationi profundissime
di Bruno Giorgini
28 ottobre 2014 – L’estate piovosa concilia le buone letture. Per me è stata quella del libro “Galileo” di John L. Heilbron, che racconta non solo Galileo (d’ora in poi spesso G.) ma, attraverso lui, vita morte e miracoli della rivoluzione scientifica. G. è in Italia poco più di una icona spesso dimenticata in un angolo Nonostante sia un grandissimo scrittore, che inventa quasi dal nulla la lingua italiana scientifica, non si legge a scuola mentre il libro di Heilbron, uno dei maggiori storici della scienza al mondo, è corredato da una amplissima bibliografia dove si stenta a trovare nomi e opere di autori italici. Il mio primo incontro con Galileo avvenne al Piccolo di Milano: eravamo andati ragazzi di provincia in gita scolastica nella grande Milano a vedere “Vita di Galileo” di Bertolt Brechtrecitato da Tino Buazzelli per la regia di Giorgio Streheler.
Così anni dopo mi iscrissi a Fisica, e in aula magna campeggiava una scritta del nostro, ma fu tutto. Anche studiando Fisica, G. si rinchiude nel principio d’inerzia e in quello di relatività galileiana, con qualcosa sulla caduta dei gravi e la famosa isocronia del pendolo, poi il metodo galileiano abbastanza ridotto all’osso Nel corso del tempo lessi il Dialogo sopra i Due Massimi Sistemi del Mondo Tolemaico e Copernicano, un libro d’avventure scientifiche bello e avvincente quanto I Tre Moschettieri. Ma il nostro avrebbe preferito: bello e avvincente comeL’Orlando Furioso, il poema cavalleresco che amava. Scrive qualcuno a proposito del suo stile polemico che come i cavalieri del poema “Egli non prende mai di fronte l’avversario con assalto violento, ma, dopo averlo cavallerescamente salutato e essersi messo in guardia, attende da lui i primi colpi e, limitandosi a una prodente difesa, lo alletta ad avanzarsi; poi d’improvviso con rapido movimento assale e colpisce dove l’altro non l’aspetta e, profittando della sorpresa, gli si serra addosso, lo incalza, lo riduce all’impotenza e poi l’abbandona senza curarsene”.
Ariosto è anche, ci racconta Heilbron, un maestro in particolare nell’uso dell’analogia e dell’arte dell’immaginazione. Per Galileo la poesia non è uno sfizio ma costituente la ricerca sui fenomeni naturali. Le prime lezioni pubbliche che nel 1587 G. tiene, per conto dell’Accademia Fiorentina, sono su scienza e poesia in Dante. Nel libro di Heilbron il Dialogo sopra i Due Massimi Sistemi lo incontriamo a pagina 281, quando Galileo ha ben 58 anni, il dialogo fu infatti pubblicato nel 1632, Galilei essendo nato nel 1564, alla fin fine il testo che lo porterà nelle carceri dell’Inquisizione.
La sua esplosione scientifica pubblica avviene quando egli ne ha 45 di anni, Galileo accumula scoperte che non pubblica fin quando non vanno a definire un quadro complessivo, mettendo in pratica il suo paradigma secondo cui la conoscenza della verità cammina sulle sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni. Intanto studia astrologia, approfondisce i filosofi naturali antichi, in specie Archimede, incontra i suoi due primi maestri del libero pensiero, Buonamici e Borro, si iscrive alla facoltà di medicina che abbandona per matematica senza laurearsi.
Quindi cerca un posto di professore, prima a Bolognaa 23 anni dichiarandone 26, che lo rifiuta, poi a Pisa, dove viene assunto (1589). E’ il periodo in cui scopre l’isocronia del pendolo – usando come orologio i battiti del cuore, riflette sul concetto di vuoto come limite archimedeo di mezzi sempre più fini, enuncia la proposizione che il moto verso l’alto deve essere forzato e il solo moto naturale è quello diretto verso il centro dell’universo. Da qui – la fisica terrestre dei pendoli e della caduta dei gravi – comincia la rivoluzione scientifica, ma nessuno per ora se ne accorge, forse neppure Galileo.
Ma ecco che nell’autunno del 1592 G. lascia Pisa chiamato a Padova, dove passerà 16 anni, i migliori della sua vita ci dice lui stesso. Certo quelli più produttivi in tutti i sensi, scientifico filosofico umano. Non c’è solo uno stipendio triplicato ma anche una ampia libertà di ricerca, nella Serenissima l’Inquisizione ha un potere assai minore che nel Granducato di Toscana, nonchè un gruppo di studiosi e ricercatori di prim’ordine in molti campi. Il filosofo Cesare Cremonini inaugurando l’anno accademico di fronte al Doge e al Senato pronunciò una appassionata difesa dell’Università contro le intromissioni e appropriazioni dei Gesuiti che già avevano semidistrutto la Sapienza di Roma e la Scuola di Grammatica di Padova, in favore dei loro Studi confessionali, e le sue parole risuonarono in tutta Europa.
Più o meno Cremonini disse, volete consentire a un principe straniero – il Papa – di mettere in piedi un’università alternativa basata su scadenti prestazioni e insegnamento mnemonico a scapito della libera ricerca, invitando quindi il Senato a intervenire spostando gli oneri tra l’altro finanziari allo Stato. Un discorso che segna l’atto di nascita dell’Università pubblica contro cui i Gesuiti battagliarono fino al 1606, quando il Senato li espulse da tutti i territori delle Repubblica, tenendoli fuori dai confini per 50 anni. Fa impressione constatare quanto questo scontro sia a tutt’oggi aperto, seppure non si veda all’orizzonte qualcuno che prenda la parola per scacciare non i Gesuiti, ma il gesuitismo che impera nei nostri atenei. L’ultimo limpido episodio di indipendenza e libertà laica fu la presa di posizione di 67 docenti della Sapienza, specie di parte scientifica, quando nel 2009 rifiutarono la visita e la prolusione di Papa Ratzinger all’inaugurazione dell’anno accademico, materia del contendere essendo in primis Galileo e il processo con condanna che subì dalla Chiesa Cattolica.
In questo clima arriva a Padova orsono molti secoli Galileo con la sua nuova scienza ancora in nuce. Comincia così un periodo insieme tumultuoso e felice per Galileo. Trova una grande casa che riempie di allievi- ben 16 con 17 servi – , amici, artigiani che lavorano alle sue invenzioni come il compasso geometrico e militare – una sorta di calcolatore tascabile – oppure migliorano quelle venute da fuori come il cannocchiale.Ha due figlie e un figlio da Marina Gamba che probabilmente esercitava il mestiere di cortigiana “onesta”, come in Venezia venivano chiamate le signore che oltre al piacere erotico elargivano anche dotte conversazioni, teoremi, musiche, poemi, lasciando stupefatto Montaigne perchè si facevano pagare per la conversazione “quanto per l’intero affare”.
Incontra molti amici, una mattina del 1593 si trovano da lui fra’ Paolo Sarpi, Tommaso Campanella, Giovan Battista Della Porta per quella che Heilbron chiama una colazione di lavoro tra eretici. Fra Paolo Sarpi è certamente la personalità più rilevante, lavora sulle maree, sull’ottica, sulla caduta dei gravi, e in molti casi è difficile districare la paternità di una proposizione attinente la filosofia naturale e i fenomeni in studio che corre da Galileo a Sarpi e viceversa, non essendo tempi di diritto d’autore ma cementati dalla comune e rischiosa ricerca della verità. L’Inquisizione tenta più volte di mettere le mani su Sarpi, e poichè non riesce per vie “legali”, Sarpi essendo il teologo ufficiale della Serenissima, ci prova inviando cinque sicari per ucciderlo, ma non tengono in conto la tempra di fra Paolo che seppur ferito dai pugnali reagisce, chiama a raccolta un gruppo di cittadini mentre gli assalitori si rifugiano nella sede della legazione pontificia. Nel 1604 tal Pagnoni, uno dei servi di casa Galilei che la madre paga perchè sorvegli il figlio, denuncia Galileo all’ Inquisizione. Una denuncia che rimane lì sospesa, ma che non poteva non inquietare il nostro, cattolico praticante.
Comunque Galileo non si nega il piacere di scrivere un poemetto amoroso dove gli uomini preferiscono le bionde, come nel Furioso ariosteo e nei dipinti che ritraggono le cortigiane. Invece sul piano scientifico comincia o occuparsi del magnetismo, probabilmente discutendone con Sarpi interessato al magnetismo come esempio della difficoltà epistemologica di ragionare su entità fisiche che non possiamo direttamente osservare. A questo punto comincia la cavalcata galileiana verso una adesione pubblica, sostenuta dalle“sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni”, al cosmo copernicano.
Già nel 1597, dopo aver ricevuto una copia del libro di Kepler Mysterium cosmographicum, Galileo scrive all’autore: già da molti anni ho aderito alla dottrina di Copernico e ho dedotto da essa le cause di molti fenomeni naturali che certo restano inspiegabili nell’ipotesi corrente. Galileo sembra procedere con prudenza, scientifica e politica, tuttavia come emerge dal racconto di Heilbron, il metodo le scoperte le dispute scientifiche autentiche hanno una loro dinamica intrinseca. Lo scienziato può rallentarla forse, ma non interromperla o troppo deviarla, a meno di rinunciare al suo mestiere e Galileo ostinatamente fino alla morte continua le sue ricerche e pronuncia le sue verità, nonostante l’abiura cui è costretto e la condanna a vita comminatagli dal Sant’ Uffizio. Galileo è rinchiuso nel dramma di un cattolico convinto che il suo talento nel disvelare i misteri naturali sia un dono di Dio che sembra trasformarsi in peccato e colpa, farina del diavolo.
Ma vediamo in breve alcuni passaggi decisivi. Dagli studi di Sarpi, Galileo capisce che le maree possono essere causate dalla combinazione del moto diurno e dal moto annuale della terra proposti da Copernico e questa idea contiene in nuce un’altra scoperta fondamentale, la legge di composizione delle velocità. Galileo riprende quindi i risultati ottenuti a Pisa sulla caduta dei gravi, assumendo che i moti di sassi e dei pianeti seguano le medesime leggi. C’è un’unica fisica valida qua in basso e là in alto, almeno dentro il sistema solare, non esiste una gerarchia naturale dei corpi, l’alto non è più degno del basso, e il basso diventa alto, dipende da dove lo si guarda, scompare la distinzione ontologica tra cielo e terra: il cielo cade sulla terra e la terra fa parte del cielo. Affermazione che diventerà quello che conosciamo come principio di relatività galileiana. Questo assunto – che guida tutta la ricerca galileiana – è fondamentalissimo- che non si può dire ma qui ci sta – per la descrizione del mondo, per il metodo scientifico, per il piano epistemologico/ filosofico, nonchè per G. in relazione alla teologia e/o i dogmi della religione cattolica; siamo nel cuore della Rivoluzione Scientifica Galileiana.
Altri fenomeni celesti e terrestri vengono da Galileo analizzati convergendo sempre all’ipotesi copernicana, per esempio la nova del 1604 su cui il nostro fa tre lezioni che destano scalpore. Egli dopo averla collocata oltre il cielo della luna, ipotizza infatti che la materia del firmamento somigli a quella dei corpi terrestri, , per cui ancora una volta una teoria del moto costruita in base a esperimenti sulla terra può essere valida per la dinamica dei corpi celesti. Questione delicatissima la struttura della materia, perchè va svelta a interagire con la teoria atomica di Democrito e Leucippo, fuorilegge per la Chiesa.
Di nuovo Sarpi (1609) mette il nostro sulle tracce di una cosa nuova, il canocchiale.Galileo prende la prima versione arrivata dai Paesi Bassi a 2-3 X(ingrandimenti) e la trasforma nel telescopio a 9X, offrendolo alla Serenissima che gli aumenta lo stipendio garantendogli inoltre il posto di Professore a vita. Attorno al primo dicembre G. con un cannocchiale/telescopio 20X e poi a 30X comincia a osservare la luna, disegnando ciò che vede (nell’Orlando Furioso, nota Heilbron, Ariosto ha descritto la luna quasi tal quel Galileo la disegna). Quindi osserva nella Via Lattea molte nuove stelle, prima invisibili: la Via Lattea quindi non era il prodotto di una esalazione terrestre come voleva Aristotele ma una congerie di stelle.
Poi arriva un altro pezzo forte, l’osservazione diretta delle macchie solari . Galileo le assimila per analogia alle nubi terrestri, inoltre nella prefazione al manoscritto “discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono”, un testo che tratta dei corpi galleggianti, afferma che il sole ruota su se stesso! Sempre nel 1610 con un telescopio a 20x Galileo osserva che Giove è allineato lungo l’eclittica con tre stelline. La prima osservazione di questo fatto in senso proprio maraviglioso sembra abbia avuto luogo nel monastero di Sarpi a Venezia. Galileo segue l’evoluzione delle “stelline” di Giove, per concludere che non si tratta di stelle, ma di lune. Il 30 gennaio 1610 può affermare al segretario di stato toscano Vinta che siamo di fronte a “ quattro pianeti di nuovo che si muovono intorno a un’altra stella molto grande, non altrimenti che si muovino venere et mercurio, et per avventura li altri pianeti conosciuti intorno al sole” tra cui la Terra. Nel cosmo esiste un modello su scala ridotta del sistema solare copernicano che ciascuno può osservare col cannocchiale! Il dado è tratto e nel marzo del 1610 Galileo pubblica il Sidereus Nuncius, indicando le lune di Giove come stelle medicee, preceduto da una ossequiosa dedica a Cosimo, il che non piacque molto a Venezia, nè allo Stato nè agli amici che avevano collaborato alla scoperta, Sarpi, Micalzio, Mula, Pignoria.
Il fatto è che Galilei vuole abbandonare Padova per tornare a Firenze, mettendosi al servizio del Granduca. Perchè G. scelga di lasciare Padova è difficile capire. A Padova è abbastanza garantita la sua libertà di pensiero e di ricerca, mentre cercando di tornare a Firenze, per servire un principe assoluto mediocre cade nell’orbita stretta dell’Inquisizione; inoltre abbandonerà così sia il prestigioso Studio di Padova e la sua cerchia di amici geniali nella ricerca e discussione, Sagredo, Sarpi, Cremonini. Secondo la lettera che scrive a Cosimo, Galileo vorrebbe semplicemente avere tempo libero per dedicarsi a raccogliere e scrivere le sue ricerche, senza più dover rendere in cambio un servizio pubblico.
Non so se sia credibile, fatto è che da quando Galileo torna a Firenze comincia un corpo a corpo con la Chiesa nella persona del Sant’Uffizio da cui altro non può che uscire perdente, anzi schiacciato. Sembrano esserci due persone: il Galilei fedele cattolico della Chiesa Romana e ossequioso vassallo di un principe assoluto imbelle e mediocre, e il Galileo audace ricercatore scientifico che mette in atto una rivoluzione, pagando un prezzo altissimo. C’è qui tutta l’ambiguità italica? O questa schizofrenia nasconde un machiavellico disegno per cambiare il volto e l’attitudine della chiesa? Oppure Galilei buon cattolico vuole punire Galileo rivoluzionario copernicano, perchè egli non poteva non sapere che sarebbe finito nelle fauci dell’Inquisizione. La condanna viene sancita da un Pontefice che Galileo crede amico, quel Maffeo Barberini che aveva studiato a Pisa, diventando poi Papa Urbano. Tutti lo avvertono ma G. non sente ragioni. Per esempio Sagredo:“la libertà et la monarchia di sé stessa dove potrà trovarla come in venetia (..) serve il presente principe (se vuole); ma qui ella aveva il commando sopra quelli che comandano et governano gli altri, et non haveva a servire se non a sé stessa, quasi monarca dell’universo” . Oppure l’ambasciatore del Granducato a Roma Guicciardini: G. si ostina “a combattere con chi egli non può se non perdere”.
Galileo si spinge fino a tentare una intrepretazione eliocentrica della Sacre Scritture, una esegesi in senso copernicano, con questo aggravando se possibile la sua posizione perchè entra in una materia che la Chiesa ritiene di sua esclusiva e assoluta competenza. Senza qui svolgere le vicende del processo, narrate in modo assai preciso da Heilbron, che in varie fasi vanno dal 1630 al 1633, anche se già da molti anni egli è una sorta di sorvegliato speciale, arriviamo alla condanna. Galilei giunto a Roma il 14 febbraio, il 21 giugno 1633 viene condannato “al carcere formale da questo Sant’Uuffizio ad arbitrio nostro” con l’obbligo di recitare i sette salmi penitenziali una volta la settimana per i successivi tre anni. Quindi si inginocchia davanti ai propri giudici e a altri venti testimoni leggendo a voce alta l’abiura “..abiuro maledico e detesto li sudetti errori et heresie, e generalmente ogni et qualunque altro errore, heresia e setta contraria alla s. Chiesa e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa haver di me simil sospitione”. Indi si alza e fa ritorno, solo, alla sua stanza nel palazzo dell’Inquisizione. Il delitto è compiuto, la rivoluzione scientifica italiana e la libera ricerca vengono espunte dalla dinamica sociale e pubblica: dopo Giordano Bruno e Tommaso Campanella, la condanna di Galileo conclude il ciclo lasciando l’Italia non solo priva di una stato ma anche amputata di una cultura.
Rimane la ricerca individuale cui G.seppur recluso non rinuncia nonostante tutto lavorando a un ultimo geniale dialogo, e così nel 1638uscirono stampati all’estero i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica et i movimenti locali. Vediamone brevemente la prima giornata, perchè rappresenta una piccola rivoluzione nella rivoluzione. Si discute della resistenza di una trave, avendo Sagredo avuto una controversia su questo con gli operai, e Salviati afferma che l’operaio ha ragione (dev’essere la prima volta che il parere di un operaio fa fede, cioè assurge a verità rispetto a un nobile e acculturato come Sagredo nel quadro di un dotto dialogo di filosofia naturale). Salviati sostiene di poter dimostrare per via geometrica non essere vero, come afferma Sagredo, che se una trave di legno può sostenere un peso w, una trave simile dieci volte più grande in dimensioni regge un peso 10w. Invece c’è una relativa debolezza di strutture più grandi costruite in scala a partire da strutture più piccole. Poi vengono le domande teoretiche: qual’è la causa della resistenza alla rottura? Nel caso del legno sono le fibre, come delle corde tese, ma per la pietra o i metalli? Come si può spiegare l’adesione reciproca tra i corpi? E torna in ballo la teoria atomistica: forse la resistenza è la resistenza a scoprire l’infinità di vuoti infinitesimali che possono sussistere tra la infinità di particelle infinitesimali che potrebbero costituire la superficie delle pietre.
Insomma a tenere insieme il mondo non è l’horror vacui, la paura del vuoto (Aristotele) che avrebbe la natura, ma un fenomeno più complesso microscopico. Qui Galileo vecchio, malato, prigioniero in casa sua, supera se stesso arrivando d’un balzo fino a noi. E’ giunto il tempo di concludere questo schematico e lacunoso percorso attraverso il libro di Heilbron chiedendoci da ultimo se il pensiero galileiano possa oggidì costituire un filo per una necessaria nuova rivoluzione copernicana nel nome di scienza e democrazia, o semplicemente sia destinato a rimanere una utopica nostalgia di qualcuno.
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