In Italia le leggi a tutela delle persone con disabilità ci sono, ma non vengono applicate
di Max Cignarelli
1 novembre 2014 – Ho scelto questo titolo perché in esso c’è il richiamo alla disabilità, ma soprattutto perché disabilitati indica ciò che è disattivato, sempre che sia mai stato attivato sul serio e quanto si doveva. Disabilitati sono i diritti, le politiche che dovrebbero e potrebbero migliorare la qualità di una vita già sfigata a causa dell’handicap e resa ancora più dura e difficile da ogni sorta di discriminazione e dalla mancanza di scelte atte a trattarci come dovremmo essere trattati, da cittadini, soprattutto da persone che meritano rispetto.
Nel precedente articolo ho parlato di come degli imbecilli che si trovano per strada, dal macellaio al vicino di casa, alla signora al mercato e perfino, ed è peggio, persone a contatto con i disabili, operatori, volontari, ci reputino fortunati. In questo articolo darò un’ulteriore dimostrazione di come non lo siamo sebbene abbiamo la pensione e le visite fisiatriche gratuite, come essi dicono.
Siamo arrivati all’assurdo. Già uno non sarebbe da considerare fortunato avendo un handicap. In più deve lottare per difendere con i denti ciò che ha duramente conquistato e prepararsi a nuove sacrosante battaglie. C’è un salto culturale e politico grande come una casa ancora da fare, mentre ciò che è stato conquistato da tempo è in pericolo.
Tutto questo perché i diritti fondamentali dei disabili stringi stringi sono ancora sulla carta. “L’Articolo 3”, realizzato da “A buon diritto”. Scarsi finanziamenti e scelte politiche ostacolano l’attuazione delle leggi per l’eliminazione delle barriere architettoniche e per i progetti di cura domiciliare, istruzione e lavoro. Il 21 percento delle famiglie è a rischio povertà ed ecco più nello specifico.
In particolare sono due le leggi a tutela delle persone con disabilità che in Italia risultano inapplicate: la 41/1986 per l’eliminazione delle barriere architettoniche e la 328/2000 che prevede i “progetti individuali” di assistenza domiciliare, lavoro e istruzione concordati tra comune, Asl e beneficiari, al fine di favorire interventi tra le mura domestiche del disabile, evitandone la segregazione in strutture ad hoc.
Non solo la mancanza di fondi, ma anche scelte politiche vengono indicate dagli autori come responsabili della mancata attuazione della legge 328/2000 sul sostegno alla domiciliarità e ai percorsi di vita indipendente.
Domenico Massano e Angela De Giorgio ricordano come il 23 ottobre 2013 sia morto Raffaele Pennacchio, 55 anni, medico, malato di Sla e membro del direttivo del Comitato 16 novembre Onlus, dopo la partecipazione, a un presidio sotto il Ministero dell’Economia, “in cui si chiedeva una riduzione del finanziamento destinato agli inserimenti in strutture sanitarie/assistenziali, a favore dell’incremento dei fondi per l’assistenza domiciliare destinata ai disabili gravi e gravissimi”, “garantendo loro il diritto a restare a casa con dignità e cure amorevoli e, parallelamente, con un risparmio sui costi d’inserimento in struttura del 50 percento”.
Gli autori evidenziano che i costi per le residenze “vanno a finanziare realtà e contesti che si rivelano essere teatri di violenze ingiustificabili”, “come quelle avvenute nella residenza «I Cedri» in Liguria che hanno determinato l’arresto di 7 operatori nel dicembre 2012”, “o come quelle avvenute a Meta di Sorrento, dove nel luglio 2013 sono stati denunciati episodi di segregazione ai danni di 37 persone con disabilità”.
Massano e De Giorgio rilevano come i dati dell’Istat relativi al periodo 2004-2011 mostrino che oltre il 21 percento delle “famiglie con disabilità” in Italia è a rischio povertà, contro il 18% circa delle famiglie senza componenti con disabilità.
Il rapporto tra povertà e disabilità risulta ulteriormente aggravato dalle maggiori difficoltà riguardanti l’inserimento lavorativo: Secondo i dati Istat del 2011, solo il 16 percento delle persone con disabilità tra quindici e settantaquattro anni ha un’occupazione a fronte del 49 percento del totale della popolazione.
La discriminazione che su questo fronte vivono le persone con disabilità è stata denunciata dalla Corte di Giustizia CE-UE che, con la sentenza 4 luglio 2013, n. C-312/11, ha statuito che la Repubblica italiana non ha attivato tutti gli interventi per garantire un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
Per quanto riguarda le scuole il testo sottolinea che le ore di sostegno in diversi casi sono state riconosciute solo “dopo le sentenze del Tar che condannavano scuole e Ministero dell’Istruzione a erogare o ripristinare le ore necessarie”.
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