La notte tra sabato 25 e domenica 26 ottobre, Rémi Fraisse, giovane attivista di 21 anni, è morto colpito da una granata offensiva Of F1 lanciata dai gendarmi, a pochi passi dai manifestanti. La notizia si diffonde rapidamente, ma con alcuni aspetti poco chiari su quel corpo trovato nel bosco, ormai morto. Poi le analisi confermano che le tracce di TNT sono da attribuire alla granata militare, mentre il capo della polizia decide di non sospendere l’agente che ha sparato il colpo mortale
di Valeria Nicoletti
4 novembre 2014 – Per l’ultimo fine-settimana di ottobre, il collettivo contro il progetto della diga di Sivens, nel cuore del Testet, nel Sud Ovest della Francia, aveva organizzato un nuovo sit-in di protesta. “Ramenons de la vie au Testet”, riportiamo la vita al Testet, dicevano. In programma, c’erano atelier di clown, dibattiti, piantumazioni di nuovi alberi, concerti, pranzi collettivi. La notte tra sabato 25 e domenica 26 ottobre, Rémi Fraisse, giovane attivista di 21 anni, è morto colpito da una granata offensiva Of F1 lanciata dai gendarmi, a pochi passi dai manifestanti.
Rémi ha trovato la morte in quello che è stato definito un incidente da alcuni, un crimine del governo socialista da altri, una terribile vicenda, che segna una pagina tragica nella storia dell’occupazione del Testet e ha riportato la diga di Sivens sui media nazionali. Perché Rémi si trovava lì quella notte? Contro cosa lottava? La battaglia degli ambientalisti nella regione del Tarn, arrivata da poco nelle cronache italiane, va avanti in realtà dal 2011, con l’obiettivo di arrestare la costruzione della diga di sbarramento sulla riviera del Tescou, un progetto a beneficio dell’agricoltura intensiva, che offenderebbe per sempre la zona umida del Testet.
Il cantiere coinvolge 29 ettari del territorio del comune Lisle-sur-Tarn, nei pressi della foresta di Sivens, per un’estensione totale di 36 ettari. La diga avrà un’altezza massima di 12,8 metri e una lunghezza di circa 315 metri e dovrebbe contenere 1,5 milioni di metri cubi d’acqua. Secondo la dichiarazione d’utilità pubblica, rilasciata nel 2012, il progetto contribuirebbe a diluire l’inquinamento delle acque, aumentando la portata del fiume a valle, ma l’obiettivo principale resta la costituzione di una riserva d’acqua per l’irrigazione, di cui beneficerà una trentina di coltivatori di mais. Costo totale del progetto, finanziato interamente da fondi pubblici, francesi ed europei: circa 8,5 milioni di euro, una somma ingente, giustificata dalla necessità di ricreare una nuova zona umida, per sostituire i 13 ettari perduti del Testet, casa e rifugio di un centinaio di specie animali protette.
Concepito nel 2001 dalla CACG, la società a partecipazione mista alla quale, in barba al conflitto d’interessi, è anche stato affidato il compito di realizzarlo, il progetto dello sbarramento nel Testet è stato ufficialmente lanciato il 12 ottobre del 2007 ed è diventato un altro simbolo della lotta alle mega-opere pubbliche in Francia. Come Notre-Dame-des-Landes, un piccolo comune nella regione dei Paesi della Loira, dove si combatte contro il progetto di un aeroporto internazionale che avrebbe distrutto la campagna nei dintorni di Nantes. O ancora come i no-tav francesi, non meno agguerriti di quelli italiani. Opere probabilmente non corrispondenti ai reali bisogni del territorio, come ha evidenziato, nel caso della diga, la commissione d’esperti inviata dal Ministero dell’Ambiente a metà settembre, che ha ritenuto lo sbarramento una soluzione frettolosa, inadeguata e non proporzionata alle vere necessità della zona. Eppure, nonostante ciò, il consiglio regionale del Tarn ha dato il via ai lavori, pur non disponendo ancora di tutte le autorizzazioni necessarie. Dallo scorso settembre, il cantiere ha subito una brusca accelerazione e, con la protezione di 200 gendarmi in tenuta anti-sommossa, i bulldozer hanno quasi completamente disboscato la foresta di Sivens in soli due mesi. Una procedura regolare avrebbe intimato ai gendarmi di arrestare le ruspe, non di caricare i manifestanti, eppure l’ultimo albero è stato abbattuto alle prime luci del giorno, lo scorso 3 ottobre.
La morte di Rémi sembra, però, aver segnato un punto di svolta. Thierry Carcenac, senatore socialista e presidente del consiglio generale della regione del Tarn, principale promotore della diga, ha accettato di sospendere i lavori e consentire un’occasione di dialogo per ripensare il progetto, considerata l’impossibilità di proseguire le attività del cantiere. Ségolène Royal, al ministero dell’Ambiente, ha indetto una riunione per il 4 novembre con il consiglio della regione Tarn e i responsabili del progetto per rivedere la pianificazione dei lavori. I verdi hanno chiesto la dimissione del Ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, e l’istituzione di un’inchiesta parlamentare sulle direttive date alle forze dell’ordine. In ultimo, Cazeneuve, inimicandosi la frangia di destra, ha sospeso l’uso delle granate offensive da parte dei gendarmi.
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“Ancora una volta ci vuole un morto, il sangue, per sentir parlare di un soggetto d’attualità che dura ormai da anni e per smuovere direttive e inchieste”, ha dichiarato Barnabé Banctin, giornalista ecologista per il magazine on-line Reporterre. Testimonianze choc, spicciole rivendicazioni politiche e Rémi che diventa un argomento come un altro per affondare il governo Valls, tutto per dissimulare la vera posta in gioco: come si è arrivati a questo punto? Perché i lavori sono cominciati senza le autorizzazioni ufficiali, nonostante l’opinione negativa del Consiglio nazionale di protezione della natura? Perché i due terzi della zona umida sono stati già disboscati nonostante il rapporto della commissione abbia rilevato l’elevato costo del progetto e l’errata valutazione di necessità e soluzioni? Ma soprattutto, perché Rémi è dovuto morire per ottenere la sospensione dei lavori? Se c’era margine per un dialogo, perché è sopraggiunto solo dopo la morte di un attivista? Purtroppo pare che a prevalere sia stata soprattutto la preoccupazione di perdere i preziosi fondi europei e, inoltre, la parola data al sindacato degli agricoltori, davanti al quale la regione del Tarn non ha voluto indugiare, dando il via libera alla deforestazione. E tutto è stato bloccato solo alla vista del cadavere.
Intanto, il fronte della protesta si è riacceso e in tutta la Francia si sono svolte manifestazioni di solidarietà alla famiglia e agli amici di Rémi. Mercoledì 29 ottobre a Parigi, nei pressi dell’Hôtel de Ville, si sono ritrovate circa 300 persone per creare “un barrage à l’horreur”, uno sbarramento all’orrore e gridare che a uccidere è lo stato. Scene di violenta guerriglia urbana si sono ripetute a Tolosa e a Nantes durante questo fine-settimana, con denunce, feriti, lacrimogeni. La collera per la morte di Rémi Fraisse non si spegne e anzi, sembra l’espressione di una collera sociale ben più ampia. Si grida il nome di Rémi, ma dietro al tragico fatto di cronaca, si cela una disillusione generale, fermenta la delusione della sinistra cittadina nei riguardi della sinistra al potere, l’esasperazione per una politica complice di lobby e interessi particolari. Ci si aspettava forse solidarietà ma la risposta è stata una porta in faccia e nessun sostegno alla lotta contro l’impunità e gli abusi delle forze dell’ordine. L’insoddisfazione per un governo socialista tra i più impopolari nella storia della repubblica francese ha generato la rabbia per la precarietà, per il silenzio, per il sogno infranto di una classe politica all’ascolto delle istanze civili e che invece sembra incarnare la logica del cinismo e della repressione.
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E in questo clima di insofferenza, sfiducia e sgomento, è ancora più imbarazzante la gogna mediatica di eletti e ministri, intenti a gettare fango l’uno sull’altro e addossarsi la colpa della morte di Rémi, mentre per strada si continua a caricare i manifestanti. Inopportuno il commento di Marine Le Pen che coglie la palla al balzo per accusare Cazeneuve di lasciare le città in balia dei teppisti di estrema sinistra. E suonano ancora più infelici le parole di Carcenac a commento dell’omicidio, perché di omicidio si tratta, del giovane Rémi: “Morire per delle idee è relativamente stupido”. Rémi era partito per manifestare all’aria aperta, tra i boschi. Studiava botanica, era appassionato di ranuncoli e sognava di dedicarsi alle piante medicinali. Non voleva certo morire per le sue idee.
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