I fatti di Tor Sapienza Roma spostano la riflessione sulla convivenza nelle grandi città ed evidenziano come non sia possibile isolare i conflitti urbani alle periferie
di Bruno Giorgini
20 novembre 2014 – A quanto pare è esploso il cosiddetto problema delle periferie. In un calderone dove si mescolano e ribollono bisogni reali e paure immaginarie, degradi materiali e contraddizioni sociali, pregiudizi individuali e manipolazioni collettive, istituzioni evanescenti e poteri criminali, rancori senza speranza e speranze senza orizzonte, con molto altro ancora, perché ognuno passando per di là butta dentro qualcosa – come in una discarica – a rendere la zuppa sempre più torbida e il groviglio sempre più inestricabile.
Per l’intanto sgombriamo il terreno dai detriti della politica strumentale e politicante, diciamo tutta la politica che si è espressa nei media nazionali. Un gruppo di alcune decine di persone (quante fossero in realtà nessuno ancora ha detto) attacca il centro dei rifugiati nel quartiere di Tor Sapienza con pietre, bottiglie incendiarie e quant’altro serve.
Qualche rifugiato viene sprangato per strada. Poi arrivano intorno altre persone, quante del quartiere? Cento? Forse meno, comunque non proprio un movimento di massa, Tor Sapienza ha oltre 16.000 abitanti, rivendicando la cacciata dei rifugiati, quanti? Poche decine, tra cui molti minorenni. L’azione politico militare è chiaramente supportata dall’estrema destra, dai fascisti di più varia estrazione alla Lega. E i fascisti romani, come si sa, sono forti nelle borgate tra l’altro legati a filo doppio con la criminalità capitolina fin dai tempi in cui Pasolini scriveva Una vita violenta e Ragazzi di vita (anni cinquanta), con un salto di qualità quando comparve e operò la banda della Magliana, nonché i terroristi dei NAR intersecati con i servizi più o meno segreti.
Intanto specie davanti alle televisioni accorse a frotte, qualche cittadino e alcune robuste signore urlano e inveiscono, ce l’hanno con i negri che bisogna cacciare, perché delinquono, violentano le donne, sporcano e chi più ne ha più ne metta. Ora non c’è nessun atto criminale di cui gli ospiti del centro siano imputati e/o indagati , che io sappia, mentre lo spaccio prospera così come la prostituzione di strada.
Indubbiamente l’azione militante e propagandistica dei fascioleghisti si innesta in un contesto favorevole, quando il tasso di violenza, oppressione e povertà sociale che i/le cittadini/e subiscono aumenta di giorno in giorno, deprivati/e inoltre di qualunque potere non dico di decisione, ma almeno per essere ascoltati/e: detto in altri termini gli abitanti di Tor Sapienza non esistono socialmente per i poteri della città, il Comune in primis, letteralmente invisibili, essendone a giusto titolo frustrati e incazzati.
Allora irrompe la soluzione dei fascioleghisti, ribaltare all’esterno almeno un po’ della violenza sociale che ti opprime, vomitare fuori di sé almeno un po’ della quotidiana merda ingurgitata, ovviamente contro e su chi è più debole di te, lo straniero, il diverso, il rifugiato negro, africano, immigrato, e Rom. Un meccanismo antico, perfezionato nel 900 appunto da fascisti, nazisti e totalitari vari che ritroviamo nella guerra civile balcanica degli anni ’90 culminata con lo sterminio di migliaia di cittadini/e mussulmani/e da parte delle milizie serbe a Srebrenica.
Per fortuna a Tor Sapienza siamo ancora lontani dalla guerra, anche dalla guerra tra poveri come stupidamente la chiamano i media, però lascia stupefatti il silenzio delle forze politiche democratiche di fronte a un gioco così scoperto, e la viltà del sindaco Marino a contrastare la dinamica di esclusione sviluppata in quel quartiere di Roma, il che certo non avviene agitando pacchi di promesse – come i famosi pacchi di pasta del sindaco Lauro a Napoli in tempi andati – promesse che tutti sanno essere vane. Né sono meno avvilenti i grandi media nazionali, mescolando i fatti di Tor Sapienza con la rivolta delle banlieus parigine che fu tutt’altra cosa, la situazione delle Citè marsigliesi, ancora una diversa dimensione, le occupazioni di case e i movimenti per il diritto all’abitare in Milano.
Con quella parola scritta, detta, urlata ovunque, il disagio, che nulla vuole dire o meglio nel suo minimalismo sembra volere esorcizzare il conflitto, anzi: i conflitti urbani.
Eppure sarà meglio capirlo in fretta: i conflitti urbani sono destinati a moltiplicarsi e estendersi. Né è possibile confinarli nelle cosiddette periferie, concepite come discariche di tutti i rifiuti sociali, luoghi dello sfruttamento estremo, e poi quando puzzano troppo e le loro esalazioni nonché fumi alla diossina rischiano di inquinare l’intero corpo sociale urbano, tentare la via dell’inceneritore poliziesco, passando da una dialettica inclusione esclusione alla reclusione, fino all’estremante del modello di Gaza e del suo muro.
Perché al di là del muro, a Gerusalemme o Tel Aviv non è che si viva granché bene, in una società modellata dalla guerra. Invece bisogna assumere il conflitto, evitando che si trasformi in guerra anzi facendolo diventare motore per una più ricca espressione del diritto di cittadinanza, il che si può pensando e attivando iniziative e strumenti di socialità cooperativa, di democrazia diretta e partecipazione dei cittadini/e al governo della città, nonché costruendo insieme una nuova scienza della città. Sapendo che la convivenza civile tra etnie, culture, ideologie ha nemici potenti con cui bisognerà fare i conti, contrastandoli in modo intelligente e energico, essendo metà volpi e metà leoni. Concludo citando l’unico reportage degno di questo nome letto da una settimana a questa parte, l’articolo di Domenico Quirico sulla Stampa di Lunedì 17 novembre, altrove e lontano dai bla bla dell’establishment, ben dentro le cose e tra gli esseri umani, innanzi tutto i “negri” perseguitati.
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