Presentato fuori concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Im keller è l’ultima sarcastica e glaciale opera dell’austriaco Ulrich Seidl. Galleria grottesca e fine a se stessa o sguardo profondo sull’essere umano?
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/02/Juri-Saitta.jpg[/author_image] [author_info]di Juri Saitta. Nato nel 1987, laurea triennale in “Scienze della Comunicazione” e laurea magistrale in “Discipline cinematografiche. Storia, teoria, patrimonio” al DAMS di Torino. Appassionato di cinema praticamente da sempre, collabora con “FilmDOC” e “Mediacritica”.[/author_info] [/author]
23 novembre 2014 – Un anziano nostalgico del nazismo, un cacciatore compulsivo e una coppia sadomaso sono i principali personaggi di Im keller, il nuovo film di Ulrich Seidl, presentato fuori concorso alla 71a Mostra del Cinema di Venezia.
L’opera del regista viennese è un documentario che rivela i lati più oscuri e le passioni più inconfessabili di alcuni cittadini austriaci attraverso l’esplorazione dei loro scantinati.
Tutto in un progetto che sembra voler mostrare al pubblico non solo le caratteristiche peggiori dei protagonisti, ma anche e forse soprattutto rivelare gli aspetti più reconditi dell’umanità, come dimostra la scelta di filmare e ambientare il lavoro nelle cantine. Infatti, queste sono le stanze più nascoste, interne e sotterranee di qualsiasi abitazione e possono perciò costituire una semplice ma efficace metafora della psiche e degli istinti più segreti e intimi dell’uomo; un uomo rappresentato nei suoi aspetti più abietti, confermando l’idea cinica e senza speranza di Seidl.
Ciò risulta quanto mai evidente sia per quello che viene documentato sia per come il cineasta lo documenta: la sua regia è fredda e distaccata, impegnata a “presentare” nel modo più chiaro ed efficace possibile le azioni dei personaggi e il contesto nel quale si svolgono.
È proprio per questo che molte sequenze hanno un montaggio interno piuttosto sporadico e sono composte da campi fissi, totali e di lunga durata: gli atti spesso squallidi dei protagonisti risaltano nella loro follia e acquisiscono una maggiore espressività proprio perché ripresi nella loro interezza, come accade anche per le abitazioni, che vengono mostrate tanto nell’insieme quanto nei singoli dettagli, i quali risultano persino più significativi dei momenti parlati e dialogati.
Questo in un’opera che resta impressa nella memoria proprio per merito della cura quasi maniacale con cui il tutto viene gestito: le immagini colpiscono grazie alla durata e alla composizione, mentre le parti discorsive – pur essendo poche e quasi secondarie – si rammentano per la forza (spesso negativa) di ciò che esprimono, rendendo evidente l’attenzione con cui sono state selezionate in fase di montaggio.
Dunque, ci troviamo di fronte a un film estremamente calcolato e pensato, dove non c’è il minimo spazio per alcuna possibilità empatica verso i soggetti, tutto in favore di un distacco glaciale e di una sarcastica ironia.
Ma nonostante il rigore formale impegnato a rappresentare squallore e disumanità, Im keller contiene in sé anche un aspetto ludico e in qualche modo “circense”. Il documentario, infatti, trasmette talvolta la sensazione di essere in primis un’esposizione di fenomeni quasi da baraccone, mostrati più per divertire e “stupire” lo spettatore che per porre uno sguardo acuto e desolante sull’essere umano.
Di conseguenza, assistendo al film permane il seguente dubbio: il cinema di Seidl è veramente uno squarcio drammatico sull’uomo oppure una galleria efficace ma un po’ fine a se stessa di personaggi più o meno grotteschi e di azioni più o meno sconcertanti?
Pur parteggiando per la prima ipotesi, non è da escludersi che l’opera contenga entrambi gli aspetti.
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