Piccolo omaggio a Edoardo Sanguineti

“Ma soprattutto di Edoardo Sanguineti manca la sua intransigenza, qualità sempre più rara in un Paese dominato a maggioranza da ruffiani e leccapiedi”

di Matteo Pioppi
bébert edizioni

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28 novembre 2014 – Ho conosciuto Edoardo Sanguineti nel 2003 grazie a una canzone degli El Muniria, un progetto musicale di Emidio Clementi e Massimo Carrozzi. Ad un certo punto in “Shalimar Hotel” il testo conteneva una citazione:

Ma se mi stacco da te mi strappo tutto
Ma il mio meglio, o il mio peggio
ti rimane attaccato, appiccicoso come un olio denso
E mi ritrovo i pollici, e i polmoni

Questa è la prima parte della componimento numero 6, presente nella raccolta Corollario (Feltrinelli, 1997).

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Se penso ad un autore che non mi stanco mai di leggere né di consigliare agli amici, penso a Sanguineti, un poeta capace di arrivarti dentro, in grado di toccare le corde dei sentimenti più cupi e profondi, di farti sorridere con le sue poesie erotiche e di farti emozionare con quelle che parlano dei figli e della moglie. Ma non solo.

Edoardo Sanguineti, (Genova, 1930 – Genova, 2010), poeta, scrittore, saggista, critico, traduttore e professore universitario presso le università di Torino, Salerno e Genova; in quest’ultima città, per sua scelta, viveva al CIGE di Begato, un quartiere popolare di periferia.

Da sempre impegnato politicamente nelle file del PCI, fondatore del Gruppo 63, intellettuale del quotidiano, disgregatore del linguaggio, sperimentatore dell’assemblage in poesia e, in una sola parola, l’avanguardia.

Le poesie di Sanguineti sono ancora praticabili perché risultano fruibili, innovative, mai banali, sono ironiche, erotiche, politiche ed esistenziali. Sono poesie in cui non traspare la sofferenza e l’inutile struggersi del poeta, come vorrebbe il copione. Sanguineti è riuscito a portare avanti un’idea bellissima, e cioè quella del poeta che vive la sua momentanea disperazione come un evento ciclico, da contenere scrivendo, senza mai passare da vittima, in un certo modo svestendosi e denudandosi, accettando la miseria fisica dell’invecchiare, mostrandoci tutto quello che noi coviamo dentro, tutti i nostri momenti neri e i nostri micro-oblii quotidiani.

In un’intervista a Sanguineti sul canale di youtube della Feltrinelli, affiora una delle sue idee più affascinanti:

“stiamo [noi autori] tutti collaborando insieme alle opere complete del genere umano, che mi pare una bella idea del lavoro della scrittura attraverso i millenni. […] Come se fosse un’opera che non ha autori insomma, ci abbiamo lavorato tutti. E forse la storia degli uomini è involontariamente una cosa del genere ”.

Questo approccio annulla totalmente la vanità dell’autore, il suo sentirsi unico, insostituibile e irripetibile; riesce a dare una visione assolutamente innovativa e collettiva, una somma delle singole narrazioni che riescono in qualche modo a descrivere e a tramandare la storia del mondo a chi ci succederà. Ma Sanguineti non è riducibile solamente a fattori intellettuali, accademici e poetici.

Inge Feltrinelli, in occasione di una commemorazione pubblica a Genova a pochi mesi dalla scomparsa, ricordò l’incontro che organizzò nella sua casa di campagna tra Allen Ginsberg e Sanguineti. Faceva molto caldo quel giorno, in giardino si erano scolati parecchie bottiglie di vino, Ginsberg era sudato e in costume da bagno mentre Sanguienti era rimasto, come al solito, elegante e impassibile, in cravatta e camicia bianca.

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Come si evince, scrivere in poche righe quello che è stato Sanguineti non è possibile, perché è stato tante e troppe cose tutte mai banali. Insomma uno dei più grandi intellettuali di sempre e, purtroppo, il meno ricordato.

Nel suo ultimo libro “Varie ed eventuali” (Feltrinelli, 2010), solo per coincidenza uscito postumo (aveva di fatto già consegnato il materiale per la pubblicazione), emerge prepotentemente la forza della sua poetica. L’ironia in “M8” nella sezione “Omaggio a Dürer”:

il mondo è nato a colpi di martello,

però è cresciuto per forza di seghe:

tutto il resto è un soffione e un violoncello,

e, in forme amorfe, un casino di beghe:

La nostalgia in “40 anni dopo”, riferimento al primo convegno del Gruppo 63 a Palermo

 

[…]

niente rinnego e di tutto mi pento,

me stesso mi sconfesso e mi confermo,

sono ghiaccio bollente e incendio spento:

ero un altro, ma identico, a Palermo:

tremulo scoglio al più flebile vento,

[…]

 

La decadenza fisica, nella sezione “Mantova, 13.9.6”

 

questo è il mio naso,

è il mio mento, è la bocca

priva di labbra:

priva di denti,

è una dura ferita,

nella mia faccia:

 

L’affetto familiare in “Girotondo” presente nella sezione “Nove filastrocche per Luca”:

 

gira e rigira, in tondo, il girotondo:

è bello, è grande, è terribile, il mondo:

dieci chiamano gli anni, più i duemila:

uno via l’altro, è già una lunga fila[…]

è sera, è proprio tardi, e tu sei stanco:

[…]

e adesso io dico, a te, la buona notte:

sogna storie via storie, e crude, e cotte:

 

E, infine, un vero e proprio testamento poetico, come un sigillo a una vita intera dedicata alla letteratura e all’impegno. Una poesia amara e attualissima, scritta il 7 maggio 2010, pochi giorni prima di morire. Il titolo porta con se la dedica a Nanni Balestrini, amico e figura di spicco del panorama intellettuale italiano, fondatore assieme a Sanguienti, del Gruppo 63. “Epistole per N.B.” chiude anche la raccolta “Varie ed Eventuali”:


caro Nanni, ritorno da Bologna.
ti scrivo qui, dall’autostrada, in fretta,
non ho notizie fresche, ma che rogna
che è questa cosiddetta crisi:
[…]
con Obama abbronzatissimo,
da nobelizzatissimo: si crede
imperatore del mondo: incertissimo
su tutto, poveretto, lui, l’erede
degli Stati sfasciati, indebitati,
nel pantano delle assicurazioni –
tra iraniani, e iracheni, e iperarmati
di Taiwan, nordcoreani, e legioni
di indiani
[…]
e un mondo è morto – e soldati
per le strade del mondo: e non si arriva
per me, al 2012: e vicina,
più vicina, è la fine: e la deriva
è completa: ma ciao – viva la Cina:

Manca moltissimo la sguardo di Sanguineti sul mondo, sulle nostre vite quotidiane. La sensazione è quella di una grande perdita che lascia un vuoto incolmabile. Manca la sua decodifica dei sentimenti, il suo taglio ironico nella descrizione dell’intimo umano e i suoi grandi momenti malinconici, riconoscibili, nei quali rispecchiarsi.
Ma soprattutto di Edoardo Sanguineti manca la sua intransigenza, qualità sempre più rara in un Paese dominato a maggioranza da ruffiani e leccapiedi. Manca la sua intransigenza culturale e intellettuale, manca il suo portare avanti le proprie idee in modo deciso, mai greve, sempre rispettoso, quasi elegante nel dileggiare le forme di violenza, le umiliazioni e tutto ciò che ci allontana da un’esistenza vivida priva di colori lividi.

 

 

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