Melbourne

Melbourne, di Nima Javidi, con Payman Maadi, Negar Javaherian, Mahi Haghighi, Shirin Yazdanbakhsh, Elham Korda, Roshanak Gerami, Alireza Ostadi. Nelle sale

di Irene Merli

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29 novembre 2014 – Amir e Sara stanno per fare il viaggio di una vita: poche ore e saranno su un aereo che li porterà’ a Melbourne, Australia’ per almeno due anni. Tutto è pronto, ormai, le valige sono all’ingresso, arrivano amici e famiglia, in casa c’è un viavai di persone per un abbraccio o un “selfie”. L’appartamento deve essere svuotato da un rigattiere, che come sempre è in ritardo. Concitazione, telefonate, chiamate al citofono, colloqui via skype con l’amico che li ospiterà in Australia: tutto sembra normale per una casa che in breve sarà vuota.

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Ma in una stanza dell’appartamento c’è una bimba di pochi mesi che dorme. Mentre Amin non c’era, la baby sitter di un vicino ha chiesto a Sara di tenere la piccola per un po’ : aveva una commissione urgente. Perché dire di no? La gente in Iran è ospitale, non è diffidente come in Occidente. Così Sara mette la bambina su un letto, avvolta nella sua copertina, a pancia in giù per evitare che cada. E Amin, quando torna, cerca di non fare troppo rumore per non svegliarla. quando pero’ si rompe il vetro di una porta e lei non ha alcuna reazione, nè piange nè si sveglia, Il giovane capisce che è successo qualcosa di grave e inspiegabile. A questo punto il film cambia ritmo e diventa un thriller psicologico solido fino all’ultimo istante. E la cosa è notevole,visto che si svolge tutto nel chiuso dell’appartamento della media borghesia di Teheran: al massimo i personaggi fanno le scale del palazzo.

Non c’è da stupirsi. La vicenda che d’improvviso rischia di trattenere in patria Sara e Amin è una di quelle che scuote. Ha la forza  e la violenza dell’imprevedibilità’ che smantella i piani degli esseri umani e li  testa fino ai limiti di sopportazione.  Il regista, classe 1980 e alla sua prima prova, sa costruire piccole e grandi situazioni che scatenano un conflitto dopo l’altro, tra depistaggi e indizi piazzati al momento giusto e nel modo giusto, in un continuo e infernale squillare di telefoni, campanelli, citofoni e allarmi.  Sara e Amin non sanno che fare, a chi rivolgersi, litigano, si rimproverano l’un l’altro, cadono nello smarrimento e nel panico. Nel giro di una mezza giornata scarsa, vediamo cambiare i loro volti e il loro rapporto di coppia.  Sino a un finale che si condensa, con due abili colpi di coda, in una lunga, terribile inquadratura dei due, stremati ed estranei, in viaggio per l’aeroporto, che segue una scena concitata e a dir poco allucinante.

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Melbourne, presentato all’ultimo Festival di Venezia nella Settimana Internazionale della Critica, è un film apparentemente semplice nella struttura – gli elementi sono essenzialmente un appartamento semivuoto e una disgrazia senza spiegazione – ma è così teso che a poco a poco si prova sulla propria pelle la tensione di chi vive simili situazioni, in balia di eventi beffardi e devastanti che scatenano decisioni altrettanto devastanti. E discutibili. Quando scompaiono i titoli di coda, infatti, si esce chiedendosi come minimo “ma io cosa avrei fatto? “.

Il cinema iraniano, insomma, sta cambiando strada. L’avevamo già visto ne La Separazione, che ha non ha in comune con Melbourne solo il protagonista principale. Con la censura in Iran non si scherza, magari sarà per questo. Ma le storie che ci arrivano da là ormai parlano più di dilemmi universali che di contesto sociale. Anche se sono sempre visibilmente calate, fino al più piccolo dei dettagli, nella realtà del loro Paese. E Melbourne è destinato a diventare un piccolo fenomeno internazionale.

 

 


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