Domande (e risposte) sul processo a Mubarak

L’ex rais egiziano è stato assolto il 29 novembre scorso. Ma quali erano le accuse nei suoi confronti? Che cosa gli accadrà ora? E ci saranno altri procedimenti? Facciamo chiarezza

di Hossam Bahgat*, tratto da Osservatorio Iraq

 

4 dicembre 2014 – Su quanto di recente accaduto nel corso del processo contro l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak regna una confusione diffusa. Il giudice per il momento ha promesso ai media un documento di 200 pagine contenente alcune linee guida che li aiutino a coprire le notizie – ha detto – fino a quando non sarà possibile leggere il testo della sentenza. In attesa dell’arrivo di quella sintesi, rivolgo a me stesso qui alcune domande ricorrenti, tentando di fornire una risposta utile per i lettori.

 

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Hosni Mubarak durante una delle fasi del processo

 

Mubarak ora potrà uscire dal carcere?

Sì. È libero di andare per il momento. Ci sono state alcune dichiarazioni contrastanti sui media riguardo a questo punto dopo l’annuncio del verdetto. La confusione nasce dal fatto che Mubarak è stato condannato lo scorso maggio a tre anni di carcere con l’accusa di corruzione, relativa alla sottrazione di milioni di sterline egiziane da fondi statali, spesi in ville di proprietà privata acquistati per sé stesso e per la sua famiglia.

Poiché Mubarak è stato condannato per il “caso delle ville” nel maggio del 2014, molti hanno dato per scontato che avrebbe scontato la condanna fino al 2017, malgrado la combinazione tra le assoluzioni di oggi e la mancata condanna per altre accuse, tra cui l’uccisione di alcuni manifestanti e la corruzione, che non sono lo stesso caso.

Ho parlato con due avvocati penalisti che hanno confermato in modo indipendente che la condanna a tre anni di Mubarak per la questione delle ville non inizia alla data della sentenza, cioè nel maggio 2014, ma alla data del suo arresto e pre-detenzione, nel maggio 2011. Con l’assoluzione di oggi, dunque, decade ogni base giuridica per tenerlo in carcere. Entrambe le fonti mi hanno indirizzato verso l’articolo 483 del Codice di procedura penale. Questa è la mia traduzione (informale, non da avvocato):

«Se un imputato è giudicato non colpevole di un reato per cui è stato tenuto in detenzione preventiva, allora il periodo di detenzione preventiva deve essere detratto dal periodo [di reclusione] a cui l’imputato viene condannato per qualsiasi altro crimine che potrebbe aver commesso o per il quale sia stato indagato mentre era in detenzione preventiva».

Quanto sopra, è il legalese per dire che la pena detentiva di un imputato non inizia al momento della condanna, ma al momento dell’arresto, anche se era tenuto in carcere per un’altra accusa. Così, anche se Mubarak è stato detenuto tra maggio 2011 e maggio 2014 per l’accusa di aver ucciso i manifestanti, quel periodo conterà come tempo in carcere per il caso delle ville. La condanna a tre anni di Mubarak trasmessa nel maggio 2014 si è conclusa, quindi, proprio nel maggio del 2014. Una coincidenza, naturalmente. Suggerire che sia andata diversamente sarebbe punibile con un procedimento penale per «oltraggio alla Magistratura».

 

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Hosni Mubarak ai tempi della presidenza

 

Mubarak è stato assolto dall’accusa di aver ucciso i manifestanti?

No, non lo è stato. Ma non è stato nemmeno condannato. Il giudice ha rigettato l’intera accusa per motivi procedurali.

In primo luogo, ecco un background necessario: dopo l’abdicazione di Mubarak nel febbraio 2011, il pubblico ministero Abdel Meguid Mahmoud ha deciso di indagarlo per le uccisioni di manifestanti avvenute durante i 18 giorni di rivolta che hanno messo fine al mandato di Mubarak. Il 23 marzo 2011 Mahmoud, che aveva servito sotto Mubarak ed è rimasto in carica fino alla fine del 2012, ha accusato il ministro di Mubarak, Habib al-Adly, e suoi assistenti (ma non Mubarak stesso) per aver ordinato o comunque incoraggiato l’uccisione di manifestanti in tutto il paese. Due mesi più tardi, il Consiglio Supremo delle Forze Armate, che si è instaurato al potere dopo Mubarak, ha affrontato la pressione delle manifestazioni di piazza chiamando in causa anche la responsabilità di Mubarak. Così, il 24 maggio 2011, il pubblico ministero ha deciso di aggiungere Mubarak alla lista degli indagati, come co-imputato nel caso.

Il fatto che l’ex presidente egiziano sia stato aggiunto come imputato solo due mesi dopo che il caso era stato rinviato a giudizio è il tecnicismo usato oggi dal giudice per respingere l’accusa contro di lui. Non incriminando Mubarak fin dall’inizio – questo il ragionamento del giudice – l’accusa ha prodotto una «decisione implicita secondo cui non vi erano motivi per portare avanti procedimenti penali contro di lui». Questa decisione «senza basi giuridiche» può essere formalmente capovolta dal pubblico ministero all’interno di una finestra temporale di tre mesi. Gli avvocati della difesa di Mubarak hanno sostenuto, e oggi la Corte è d’accordo, che l’accusa avrebbe ribaltato questa implicita designazione di Mubarak senza seguire le procedure corrette. Per questo errore tecnico, il giudice ha stabilito che l’accusa contro di lui per l’uccisione dei manifestanti era irricevibile, e l’ha respinta senza considerarla né pronunciarsi nel merito.

Gli avvocati di Mubarak avevano utilizzato la stessa difesa nel primo processo (Mubarak è stato condannato all’ergastolo nel 2012, prima che la Corte di Cassazione rigettasse la sentenza e ordinasse un nuovo processo, che si è concluso oggi). Il primo giudice aveva respinto quella difesa, come ha affermato Hoda Nasralla, avvocato penale dell’Egyptian Initiative for Personal Rights, che ha osservato e scritto un report dettagliato proprio sul primo processo. Nasralla mi ha raccontato di essersi scontrata contro quella stessa difesa nel primo processo, dove ha rappresentato alcune delle famiglie delle vittime come parti civili nel caso.

Ecco il succo della sua argomentazione:

– Non c’è mai stata una decisione preliminare da parte dell’accusa secondo cui non vi erano motivi per processare Mubarak, espliciti o impliciti. E’ inconcepibile sostenere che il rinvio a giudizio del marzo 2011 (in cui Mubarak non era stato nominato) sia una dichiarazione che non vi era alcuna prova contro di lui, perché fino ad allora Mubarak non era mai stato messo in discussione o addirittura dichiarato tra i sospetti nel processo. Una designazione senza basi non può essere così sottile.

– Supponendo che la decisione di non nominare Mubarak come imputato a marzo potrebbe essere considerata una “dichiarazione implicita” che non vi erano motivi per perseguirlo, allora perché la decisione di aggiungerlo come co-imputato non può essere considerata un’inversione implicita di quella dichiarazione implicita?

– Supponendo ci fosse anche un’esplicita dichiarazione senza basi, l’articolo 213 del Codice di procedura penale permette ai procuratori di riaprire le indagini nei confronti di qualsiasi indagato o imputato, se nuove prove vengono riconosciute o presentate.

Nasralla, come molti altri osservatori, è convinta che questa argomentazione procedurale sia stata acquisita dall’odierna Corte non necessariamente per sua forza nel merito, ma perché vi avrebbe trovato un modo per respingere l’accusa, senza comunque una conclusione di non-colpevolezza.

 

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Manifestazioni anti Mubarak quando ancora era presidente dell’Egitto

 

È questa la fine?

Certo che no. Saghe del tribunale egiziano di queste dimensioni e di questa natura di solito non finiscono. Ma la prossima tappa potrebbe essere caratterizzata da drammi ancora maggiori. Il pubblico ministero può, e molto probabilmente lo farà, rivolgere il verdetto di oggi davanti alla Corte di Cassazione (il grado più alto in materia penale). Non si tratta di una Corte d’appello sostanziale – si limita infatti a rivedere se la decisione della Corte inferiore abbia rispettato le leggi e le procedure, senza riesaminare le prove.

La Corte di Cassazione potrebbe semplicemente ratificare il verdetto di oggi, e sarebbe la fine. Ma se il giudice decidesse di ribaltare e rigettare la condanna per la seconda volta, non significa che si rinvierebbe il caso al giudice penale della Corte inferiore per un nuovo processo. La legge che istituisce il Tribunale stabilisce infatti che un terzo e ultimo nuovo processo di questa natura sarà condotto dai giudici della Corte di Cassazione stessi, che agiranno come un normale tribunale penale con pieni poteri investigativi.

I giudici di Cassazione sono considerati la squadra più qualificata della nazione. E siccome sono eletti da colleghi loro pari, sono di gran lunga la Corte più indipendente del paese. Non che qualcuno dubiti dell’indipendenza di altre parti della Magistratura, naturalmente.

 

*Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Mada Masr e ripreso da Jadaliyya.
La traduzione dall’inglese è a cura di Anna Toro.

 

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