Abbonarsi a Radio Popolare vuol dire sostenere la “mia” comunità, ribadire che la libertà dell’informazione è un principio sacrosanto
[author] [author_image timthumb=’on’]https://fbcdn-sphotos-e-a.akamaihd.net/hphotos-ak-prn1/30586_117755678246365_6400426_n.jpg[/author_image] [author_info]Alfredo Somoza, @alfredosomoza, è presidente di Icei, direttore di dialoghi.info e collaboratore per Esteri, Radio popolare. www.alfredosomoza.com[/author_info] [/author]
13 dicembre 2014 – Quale futuro per una radio che, anche se si è lanciata su un’avventura nazionale, rimane fortemente ancorata a una comunità territoriale? Di radio comunitarie, ai tempi delle webradio, non si parla più da tempo. Cioè di radio che sono il mezzo di comunicazione corale di una comunità occupandosi di temi di interesse comune, di comunicazioni di servizio, di interpretare i sentimenti e i bisogni del proprio ascolto.
Su Facebook, Twitter o Google+ la “condivisione” è solo “esposizione” di fatti privati in pubblico oppure copia incolla di notizie scritte da qualcun altro. La radio crea una platea, e quando ha dimensione comunitarie, un legame anche identitario.
In questi giorni è in corso una campagna di abbonamento per Radio Popolare. Sono tempi durissimi per l’editoria in generale e per le radio in particolare: la frammentazione dell’ascolto, la concorrenza dei nuovi media, il calo generalizzato della pubblicità concorrono a creare incertezza sul futuro dell’avventura editoriale iniziata a Milano negli anni ’70.
Ma Radio Popolare ha un arma unica per difendersi, l’abbonamento volontario dei suoi sostenitori. Un fenomeno unico al mondo date le dimensioni, circa 15.000 persone. Migliaia di ascoltatori che pagano volontariamente un servizio gratuito. Mi correggo, non “pagano un servizio”, ma sostengono l’indipendenza e il progetto editoriale della “loro” radio, della radio della “loro” comunità.
Una comunità che non è solo territoriale (Lombardia), ma anche culturale e politica. Migliaia di persone controtendenza, che si ostinano a pagare in questi tempi di gratuità fasulle. Servizi e news offerte da media sempre più complessi e intrecciati che si vantano di non farci pagare nulla, ma che in realtà ci succhiano come vampiri informazioni sui nostri dati, gusti, desideri, frequentazioni per potere personalizzare al millimetro le pubblicità che poi misteriosamente ci ritroviamo anche dentro la lavatrice. Uno scambio mai fino in fondo chiaro o chiarito, fatto tra l’altro da soggetti per lo più esteri che non rispettano la legislazione europea e che addirittura non pagano le tasse nei paesi in cui operano sfruttando i nostri “beni comuni”, come la rete, che in Italia sta in piede grazie al rame posato decenni fa dalla compagnia telefonica pubblica e pagata da tutti noi.
Abbonarsi a Radio Popolare vuol dire sostenere la “mia” comunità, ribadire che la libertà dell’informazione è un principio sacrosanto e mantenere viva la pluralità dell’informazione ai tempi di Google.
Lunga vita agli abbonati di RP, baluardi della libertà di informazione in Italia.
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