L’Afghanistan non ha i fondi per pagare l’esercito, come accadde dopo il ritiro dei sovietici
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tratto da Great Game, blog di Emanuele Giordana
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14 dicembre 2014 – Secondo quanto sostiene l’ufficio dello Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction, Kabul non ha abbastanza soldi per pagare il suo esercito. Né domani né nel 2024. Chi si assumerà l’onere? O succederà quello che accadde dopo il ritiro dell’Armata Rossa? Si chiama “sindrome Najibullah”, dal nome dell’ultimo presidente filosovietico dell’Afghanistan.
L’acronimo “Sigar” sta per Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction. A capo dell’ufficio ispettivo americano – dotato di larghissima autonomia e persino del diritto di compiere arresti – siede John F. Sopko, un magistrato scelto da Obama due anni e mezzo fa per guardare nei conti e nelle spese.
In due parole, in quei 104 miliari di dollari circa che gli Stati Uniti hanno speso o si sono impegnati a spendere nella ricostruzione dell’Afghanistan. Oggi l’ufficio di Sopko ha pubblicato un nuovo report che evidenzia sette aree di crisi o di alto rischio (Corruption/Rule of Law, Sustainability, Afghan National Security Forces, On-Budget Support, Counternarcotics, Contract Management and Oversight Access) che sono interessanti da leggere. Ma la nostra attenzione è caduta sul capitolo Forze armate. Vediamo cosa dice il rapporto che contiene la High Risk List.
Più della metà dei soldi della ricostruzione (ossia 62 miliardi di dollari) gli Usa li hanno spesi nel “ricostruire” le forze armate afgane (Ansf) composte da esercito (Ana) e polizia (Anp) attualmente una forza di 352mila uomini che, proprio perché sia sostenibile, la Nato ha proposto di ridurre a 228.500 nel 2017. Questa forza ridotta costa comunque 4,1 miliardi l’anno, cifra a cui Kabul dovrebbe contribuire con 500 milioni fin dall’anno prossimo. Teoricamente, nel 2024 l’Afghanistan dovrebbe pagare tutto da solo.
Secondo Sigar Kabul non può farcela se il suo fatturato (ossia quanto ha intascato) nel 2013 sono stati 2 miliardi a fronte di una spesa del budget dello Stato stimata a 5,4 miliardi di dollari (ossia il 37% del totale). Secondo le informazioni raccolte da Sigar, Kabul immagina di riservare alla spesa militare per le forze di sicurezza il 3% del budget immaginando che il suo prodotto interno lordo cresca e con questo anche il 3%. Ma se al momento a ripianare il debito di budget ci pensa la comunità internazionale, il 3% di 2 miliardi di dollari fa solo 60 milioni che al massimo sarebbero 150 se Kabul riuscisse a raggiungere – seppur entro il 2024 – la cifra che le sue spese correnti richiedono.
Non è difficile immaginare che a fondi d’aiuto sempre più ridotti, Kabul si ritroverà a non avere più liquido per i salari di soldati e poliziotti sempre che non li defalchi dai servizi o dagli stipendi degli impiegati dello Stato (o sempre che qualcuno non li aggiunga in cassa). Per soprammercato, il Center for Naval Analyses sostiene che l’Ansf dovrebbe avere una forza di 373.400 uomini (ossia più soldati di quanti non ne abbia adesso) con un costo di circa 5-6 miliardi di dollari l’anno.
Conclusione: quando l’Armata rossa lasciò l’Afghanistan nel 1989 dopo dieci anni di guerra, Najibulah – l’allora presidente filosovietico – resistette ai mujahedin per circa tre anni. Ma nel gennaio del 1992, la Russia di Yeltsin decise di chiudere i rubinetti mantenuti a fatica tenuti aperti da Shevardnadze (nel 1990 l’aiuto sovietico era cresciuto sino a 3 miliardi di dollari). L’effetto fu immediato, cominciò a mancare carburante e liquido per i salari. In aprile Najibullah si dimise mentre i mujahedin conquistavano posizioni con facilità e soprattutto minacciavano ormai le città, Kabul compresa. Fu la cassa, non (solo) la forza dei mujaheddin a far crollare l’ultimo presidente filosovietico.
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