Algeri, 11 dicembre 1960

Tra resistenza e insurrezione popolare, la memoria della lotta per l’indipendenza algerina

di Karim Metref, tratto dal suo blog Divaga-Azioni

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16 dicembre 2014 – Ti ricordi del film di Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri?

Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione cittadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco, ecco che una mattina i quartieri popolari (detti quartieri arabi all’epoca) cominciano a versare per le strade uomini, donne e bambini, come tanti ruscelli che poco a poco formano un fiume umano che travolge i servizi d’ordine e si riversa verso il centro della città. Ecco: quello è l’undici dicembre 1960 ad Algeri.

11 dicembre 1960, la guerra in Algeria va avanti da ormai sei anni pieni. I morti si contano a centinaia di migliaia e non si vede la fine del tunnel. De Gaulle mostra di essere sempre più incline alla negoziazione e alla ricerca di una soluzione politica. Nel suo discorso del 16 settembre 1959, parla di “diritto del popolo algerino all’autodeterminazione”.

Un discorso ritenuto insopportabile da parte della destra ultraconservatrice del colonnato. Le popolazioni europee organizzano molte proteste contro la politica conciliatrice di De Gaulle et si arriva fino agli scontri ma non ancora a colpi d’arma da fuoco. Nei mesi di gennaio e febbraio del 1960, ad Algeri, ci sono le barricate. Dietro la rabbia e le proteste popolari si organizzano le prime iniziative armate che confluiranno poi nella famigerata OAS (Organisation armée secréte).

 

 

Nella stessa settimana il Generale Charles De Gaulle era di nuovo in visita in Algeria e aveva di nuovo suscitato le proteste dei cittadini di origine europea. Ma nello stesso tempo, l’ONU, con la risoluzione 1573 (XV) ricordava il diritto del popolo algerino a disporre del proprio destino. Una importante vittoria politica per il Fronte di Liberazione Nazionale che chiamò le popolazioni civili a dare un segno forte di sostegno al lavoro diplomatico in corso.

Di nascosto la popolazione preparava l’evento scrivendo striscioni e cucendo bandiere di fortuna, ma tutti si chiedevano se l’evento avrebbe avuto veramente luogo. Il paese era in guerra e le truppe coloniali sparavano per un sì per un no. Ma involontariamente furono gli stessi ultra-colonialisti a creare la scintilla che scatenò il sollevamento popolare. Il 09, due giorni prima, durante le manifestazioni anti-De Gaulle, questi sicuri dell’impunità orchestrarono varie provocazioni e aggressioni ai danni di civili algerini.

Ma a Belcourt, un quartiere popolare allora di periferia, la gente non ci sta e esce in una contro manifestazione che fa scappare gli “ultra” che si dimostrano, da buoni fascisti, coraggiosi solo quando hanno la superiorità numerica. Questa piccola vittoria rilancia le speranze della popolazione algerina di vedere finite le sofferenze di 6 anni di conflitto con mezzi e forze del tutto squilibrati.

Il resto si vede molto bene nel film La battaglia di ALgeri, di Gillo Pontecorvo. I mattino dell’11 cominciano ad uscire in massa: tanti uomini ma soprattutto donne e bambini. I quartieri poveri di Belcourt, Diar el Mahçoul,Salembier, El Harrach, Kouba, Birkhadem, Climat de Francee la Casbah riversano la loro popolazione per le strade, tutti in direzione del centro città. Tutti in direzione dei quartieri europei finora off-limit. “Qui siamo a casa nostra e quindi andiamo dove ci pare”, sembra dire la folla alle forze dell’ordine impreparate a fronteggiare una simile onda umana.

Si canta, si balla, le donne lanciano in continuazione gli jujù, gli strilli tradizionali, strilli di gioia, strilli di tristezza, strilli di rabbia, strilli di sfida.

Sugli striscioni c’è scritto: “Algeria algerina” (in risposta allo slogan “Algérie française”), “Viva l’indipendenza”, “viva l’FLN”, “Viva il GPRA” (il governo Provvisorio della Repubblica Algerina, in esilio)… Numerose sono anche le bandiere del movimento di liberazione, spesso cucite in fretta e male, spesso anche sbagliate. Oltre che ad Algeri, la gente uscì anche a Orano, Chlef, Blida, Constantina, Annaba… e molti altri piccoli centri. Ovunque si gridava “viva la libertà”, “viva l’indipendenza” e si gridava alla faccia del colonialismo che il Fronte di Liberazione Nazionale non era un volgare branco di criminali come veniva descritto dalla stampa ufficiale ma il vero rappresentante delle aspirazioni del popolo algerino a una vita dignitosa.

 

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