Tre anni e sette mesi per Chiara, Niccolò, Claudio e Mattia. Cade l’accusa di terrorismo. La foto del compressore andato a fuoco nella notte incriminata del 13/14 maggio del 2013 ci guarda beffarda da una gallery sulla rete.
di Angelo Miotto e Christian Elia
@angelomiotto @eliachr
17 dicembre 2014.- Come si fa a non provare soddisfazione per vedere smontato il castello della paura, del terrore che veniva imputato a un gesto violento, ma sulle cose? Gli anni e i mesi (tre anni e sette mesi) che restano a carico degli imputati riguardano i reati che descrivono il possesso e l’uso degli strumenti che hanno utilizzato. Hanno utilizzato quegli strumenti per reagire contro un progetto violento e fino a qui il discorso è politico, mentre sul piano delle regole quel possesso e quell’azione costituisce una ferita del sistema di regole che un paese si dà nel suo corpus giuridico condiviso.
Se rompi la regola, sei consapevole che avrai una punizione.
Ma proviamo a scriverlo così: se rompi una regola avrai una rappresaglia. E ora proviamo a immaginare di essere liberi per un momento da parametri che si sono stratificati e che servono per mantenere un anche necessario ordine.
Immaginiamo, quindi e di colpo tutto è così evidente. La violenza dell’imposizione di un progetto che riguarda una comunità e il territorio su cui vive e riguarda anche tutti noi (perché la retorica sulla patria, care istituzioni, se la fate allora applichiamola dalle Alpi a Lampedusa: sventri il territorio e dilani una comunità, ne soffrirò anche con i piedi a mollo in una spiaggia siciliana).
L’imposizione è tale perché avviene per interessi che non vengono nemmeno presentati alla comunità stessa, ma attuati manu militari per esigenze che stanno a livelli sempre superiori: il progresso come mandante ideologico, lo stato innovatore, l’Europa, la velocità che a ben guardare è una vox media. La reazione che si è allargata in tutto il paese ha creato un movimento che rappresenta un esempio di coerenza: le bandiere No Tav hanno un significato che trascende la questione in sé. Poi ci sono i movimenti che si aggregano e che condividono alcuni aspetti e utilizzano la lotta No Tav per esprimere anche altre istanze e anche altre pratiche. Operazione legittima, nel senso che rompono regole di cui dovranno rispondere, ma spesso operazione senza senso percé ha creato al Movimento più di un problema, specie in un paese in cui la grande stampa ha editori ben interessati sugli affari della Val Susa.
Il diritto di rappresaglia non ce l’ha solo lo stato. Il diritto di rappresaglia di giovani consapevoli di quello che fanno e dei rischi giuridici che affrontano in nome di una ragione politica è un tema politico e non giudiziario.
Accusare quattro giovani di terrorismo e chiedere 9 anni e mezzo di carcere – e trattarli come dei mafiosi nel carcere che han fatto fin qui – esprime un tentativo se non voluto allora davvero maldestro di stroncare il seme del dissenso che si esprime anche attraverso rappresaglie che contano sulla violenza di bassa intensità, cioè quella del sabotaggio.
La sentenza di oggi, forse i giudici ci hanno pensato bene, rappresentava un precedente molto pericoloso, specie in un paese che ha ancora il codice Rocco a dettar legge su reati come la devastazione e saccheggio, giovani che pagano con il carcere il fatto di aver rotto regole e divise che se ne vanno a spasso anche quando stroncano giovani vite.
Sono cose molto banali, in fondo e sono quelle che fanno gridare i benpensanti o gli icnravattati delle belle redazioni o delle belle poltrone di velluto: il conflitto ha ragioni politiche. Se lo trasformi solo in ordine pubblico non puoi che alimentarlo e fornire le risposte sbagliate alla collettività che come politico o magistrato, stai servendo.
Ci rallegriamo, allora, per quest’accusa che cade.
Ma non possiamo far finta che non sia stata espressa o che non abbia dettato delle condizioni di carcerazione vergognose. I giorni nelle celle, le ore d’aria rubate, contano nella stessa maniera, nell’aritmetica delle sentenza. Nelle nostre coscienze, nel nostro volere regole giuste per una condivisione di comunità, no.
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