di Alfredo Somoza
@alfredosomoza
18 dicembre 2014.- Come largamente pronosticato, Obama si avvia verso la normalizzazione delle relazioni con Cuba dopo 52 anni di embargo.
Un dossier chiave, più che per gli interessi USA nell’isola, per normalizzare i rapporti con l’America Latina dopo il flop clamoroso dell’iniziativa ALCA di George Bush junior e saltata nel 2005 a Mar del Plata per volontà di Lula, Chavez e Kirchner.
[blockquote align=”left” cite=”~Barack Obama”]L’isolamento non ha funzionato[/blockquote] I tentativi di Obama per riavvicinarsi ai vicini del Sud si era sempre infranto contro l’ostinata volontà dei paesi latinoamericani di fare rientrare Cuba nei gioco, anche creando un nuovo consesso panamericano che questa volta esclude USA e Canada. L’embargo, che formalmente rimane ancora in piede dopo 52 anni, ma che si riduce al divieto per le aziende americane di fare affari a Cuba, è l’ultimo avanzo delle politiche della Guerra Fredda.
Un embargo puramente ideologico atto a punire un paese non per violazioni dei diritti dell’uomo (Sudafrica) o della sovranità di un altro stato (Russia), ma per la scelta di allinearsi con quello che all’epoca era un rivale, l’URSS. La manovra di Obama anticipa i tempi sui cambiamenti in corso a Cuba e viene incontro alla volontà di una parte dello establishment statunitense preoccupato di perdere i grossi affari che si intravvedono sull’orizzonte del Mare dei Caraibi.
[blockquote align=”right” cite=”~ Raul Castro”]Dobbiamo imparare a convivere con le nostre differenze[/blockquote]Una misura che si poteva permettere soltanto un presidente a fine secondo mandato e senza maggioranza parlamentare che in questo modo ribadisce una sua linea autonoma in politica estera, tra l’altro preparando il terreno per il suo successore che dovrà chiudere definitivamente la vicenda.
Per Cuba una boccata di ossigeno che non inciderà più di tanto sull’economia, ma sì sulla credibilità della lenta transizione in corso.
Un capitolo a parte merita l’entità che ha fatto da garante per l’accordo di scambio di prigionieri, il Vaticano di Papa Francesco. Come sempre da 500 anni a questa parte, i gesuiti si dimostrano abili negoziatori e protagonisti della politica internazionale.
Per Bergoglio un successo che gestirà in totale riservo, ma che rimette al centro, nel Continente dell’avanzata evangelica, la Chiesa.
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