No Tav: una condanna che sconfigge l’accusa

Le sentenze possono essere impugnate e ribaltate, ma l’assoluzione dall’accusa di terrorismo per Mattia, Chiara, Niccolò e Claudio segna uno spartiacque e rimanda al mittente il veleno gettato sui No Tav in questi anni.

di Roberto Maggioni
@RobMaggioni

 

20 dicembre 2014 – Fatta a pezzi la tesi della Procura di Torino, è l’intero movimento ad essere assolto dalla responsabilità di “avere riportato l’Italia indietro di trent’anni”. Lo sapevano tutti, non era così, non è così.

Restano le conseguenze materiali dell’impianto accusatorio del pool dell’ex procuratore capo Giancarlo Caselli: quasi mille indagati, tre di loro (Francesco, Graziano e Lucio) ancora in carcere con l’accusa di terrorismo per gli stessi fatti per cui sono stati processati Mattia, Chiara, Claudio e Niccolò. Che in attesa della sentenza hanno passato un anno rinchiusi in regime di carcere duro e dovranno scontare tre anni e sei mesi per aver bruciato il compressore più tutelato del pianeta.

La guerra ai No Tav è anche guerra di parole oltre che di codice penale. “Narrazione tossica” l’hanno definita i Wu Ming. “Per diventare narrazione tossica una storia deve essere raccontata sempre dallo stesso punto di vista, nello stesso modo e con le stesse parole, omettendo sempre gli stessi dettagli, rimuovendo gli stessi elementi di contesto e complessità”. E’ proprio quello che è successo ai No Tav.

Le parole pronunciate dai quattro in aula a settembre avevano invertito quella narrazione e rivendicando il sabotaggio del cantiere avevano tolto le parole dai taccuini della stampa più accanitamente anti No Tav. “Con impegno e testardaggine il clima di timore è rimasto solo nelle loro teste” dicono da Spinta dal Bass, tra gli autori del libro collettivo “Nemico Pubblico – oltre il tunnel dei media, una storia No Tav”. “Una condanna non può essere una vittoria” dicono da Spinta dal Bass “ma una condanna può essere una sconfitta enorme per chi sosteneva l’accusa. Ed è questo il caso. Perché da questa sentenza chi voleva seppellire l’opposizione al tav sotto una montagna di anni di galera esce con le ossa rotte”.

Cristina Cicorella è la mamma di Mattia, uno dei quattro No Tav condannati per il compressore. “E’ stata una accusa vergognosa” ci dice “una accusa letteralmente franata perché  inesistente. Purtroppo però i pm hanno voluto andare avanti lo stesso, contestandola anche ai tre ragazzi arrestati a luglio, Francesco, Graziano e Lucio”. Per la mamma di Mattia accusare suo figlio e gli altri No Tav di terrorismo serviva ad intimorire tutto il movimento contro il treno ad alta velocità. “E’ stata una accusa politica, un processo politico. Si voleva arrivare ad una sentenza esemplare per colpire tutto il movimento”. Alzare l’asticella dell’accusa è servito a mantenere un clima di paura, provare a dividere tra buoni e cattivi, isolare gli accusati. E’ andata male, il movimento No Tav non si è mai diviso, chi stava in carcere non è mai rimasto solo. Ma stava dentro, e in regime di alta sorveglianza. “Ci hanno rubato un anno di vita, è difficile raccontare quello che abbiamo vissuto. Queste accuse hanno significato solo quattro ore al mese di colloqui, ore d’aria dimezzate, semi-isolamento, censura della posta ” dice Cristina “se fosse stata confermata l’accusa di terrorismo credo che il mio patto di cittadina con lo Stato sarebbe morto definitivamente”.

Ora gli avvocati chiederanno gli arresti domiciliari per i condannati in tempi e modi da definire con i loro assistiti.

 

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