La gnoma di Pechino

 

Rappresentano l’80 per cento del mercato borsistico nella Cina continentale, i loro comportamenti moltitudinari danno la tachicardia agli indici e condizionano le autorità finanziarie. Sono i piccoli azionisti cinesi, 175 milioni di gnomi che giocano in borsa come se nulla fosse. Ecco una piccola storia per raccontarli

di Gabriele Battaglia, da Pechino
tratto da ChinaFiles

 

21 dicembre 2014 – Lei è sulla quarantina, beve solo acqua calda perché il caffè occidentale “mi brucia lo stomaco” e anche il tè la agita; è single e acculturata anche se non ha mai fatto l’università. “Devo dirti un segreto: investo in borsa. Da quasi vent’anni”.
È meravigliata dall’altrui meraviglia è sgrana gli occhi: “Pensi sia una giocatrice d’azzardo?”. No, accidenti, è che sono jingxi, piacevolmente stupito (i due caratteri significano “shock” e “felicità”). La conosci da anni, ti sei fatto l’idea di una donna a suo modo cauta e timorata, una formichina attenta, e scopri all’improvviso che butta i suoi soldi in quel lüpanarî (versione milanese del lupanare latino, “bordello”) che è la borsa cinese.

Niente di strano, “lo fanno tutti – dice un’amica tedesca – pure il mio sarto”.
Ecco, gli gnomi di Shanghai e di Shenzhen (anche se abitano a Pechino), sono davvero gnomi, a differenza di quelli di Wall Street. Vale quindi la pena di raccontare questa piccola storia per delinearne il profilo. O forse è solo un caso singolare, chissà.

 

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Dunque, lei dice che in quasi vent’anni ha raggranellato parecchi soldi: “L’equivalente di un appartamento. Ma piccolo, eh”. Ora, facendo due calcoli veloci, dato che a Pechino siamo sui 43mila Rmb al metro quadro (quasi 5.600 euro), un appartamento minuto ma onesto non può valere meno di 1 milione e 500mila Rmb: si è messa in tasca quasi 200mila euro giocando in borsa, l’amica cauta e timorata.

Ma in cosa investi? “Tutto”.
E in che borsa? “Tutte” (sia Shanghai, sia Shenzhen).
Oddio, e come scegli? “Vedi, da noi bisogna stare attenti alla politica, i segnali che arrivano da lì”, dice. “Ti faccio un esempio: quando è cominciata la campagna anticorruzione, io avevo tutte queste azioni della bai jiu [la grappa cinese]. Sono andate giù a picco, ma io non le ho mica vendute. Tanto vedrai che risalgono”.
Ma scusa, non è detto. La leadership cinese vuole cambiare l’economia, giusto? Allora ci saranno alcuni settori che andranno sempre più giù. Wang Qishan, il grande persecutore, ha detto che la campagna anticorruzione non avrà mai fine. E quindi la bai jiu di marca – tipico caso di regalo che si fa per corrompere – non si riprenderà mai più.
E poi, prendi il caso dell’immobiliare: c’è stata la bolla (paomo) e il governo non vuole né che esploda né che continui a risucchiare risorse. E allora la sgonfia piano piano. Quindi, sul lungo periodo, non converrà più investire nel mattone. È proprio questo che ti dice la politica.

Sorride sorniona: “Il governo cinese non è mica scemo. C’è troppa gente che ha messo i soldi lì. Non crescerà più come prima, ma continueranno a tenere su l’immobiliare quando rischia di calare troppo. E quindi è un investimento sicuro, capisci?”.
Certo, come no. Stesso ragionamento ma ribaltamento delle conclusioni. Una sottigliezza in più. Che va moltiplicata per oltre 175 milioni di cervelli cinesi, tanti sono i piccoli investitori oltre muraglia. Gli gnomi.

Quanto si è scritto sulla capacità di questo popolo di adeguarsi alle circostanze, di piegarle a proprio favore. È così che la moltitudine gioca a rimpiattino con il proprio governo, agendo in base ai messaggi che calano dall’alto, ma poi rispedendoli indietro rimasticati e potenziati. Condizionando le politiche economiche.
Quando il 17 novembre è stato inaugurato lo “sportello unico” tra i mercati finanziari di Hong Kong e Shanghai, le previsioni che entrambe le borse ne beneficiassero sono state smentite dalla specificità dei piccoli investitori che rappresentano l’80 per cento degli affari sul continente. Così, un grande flusso di denaro ha preso destinazione nord, dato che i grandi operatori istituzionali globali non vedevano l’ora che Shanghai si aprisse. Ma gli gnomi, verso sud, ci sono andati pianissimo e hanno comprato soprattutto azioni dell’immobiliare Cheung Kong (manco a dirlo) e del gigante tecnologico Tencent (si va sul sicuro). A che pro investire a Honk Kong, si sono chiesti (e per altro, molti già lo fanno via internet utilizzando vie traverse)? Una parrucchiera di Shanghai, intervistata da Afp, ha detto: “Non capiamo come funziona il mercato di Hong Kong. Abbiamo solo capito che il governo vuole che gli investitori di Hong Kong mettano i soldi qui”. Punto.
Discorso lineare, che ricorda il genio-clochard di Una poltrona per due, divenuto guru finanziario nel giro di mezza giornata.

La straordinaria modernità dell’immaginario collettivo cinese, in termini economici, consiste proprio in questo: non distingue tra finanza ed economia reale – tra male e bene – ha preso atto che l’economia di carta è divenuta elemento centrale del processo produttivo, che non è una deviazione, ma la forma contemporanea del capitalismo. E se ne riappropria a modo suo, in forma individuale o confucianamente collettiva, attraverso la famiglia. “Sugli investimenti, discuto con mio fratello minore”, spiega ancora l’amica di Pechino.

Ma non hai paura? Non è un rischio? “Vedi, la mia vita è andata su e giù come un indice di borsa”, dice indicando sullo smartphone quello della borsa di Shanghai, con cui si collega in tempo reale. “Su e giù un pochino, senza troppo dolore, di cosa dovrei avere paura? È come la mia vita, uguale”.
Dopo il contadino che trae beneficio dallo straripamento del fiume giallo, ecco la broker del quotidiano.
D’accordo, allora dammi qualche dritta. “Non sei un parente e neanche un socio in affari, se ti do il consiglio sbagliato, poi perdo la faccia” (versione diversamente-cinese del senso di colpa cattolico).
Ma non voglio investire, figurati, solo avere un’idea, sei diventata la mia guru finanziaria. “Beh, allora punta sull’immobiliare”.

 

 

 

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