Chi è stato sfrattato, chi ha perso il lavoro e chi è fuggito dal proprio Paese per cercare un futuro migliore. Sono le persone (oltre 500) che a Bologna hanno occupato per poter avere un tetto. E che si preparano a festeggiare non tanto il Natale, ma il fatto di avere una casa
di Dino Collazzo
tratto da Redattore Sociale
22 dicembre 2014 – Si può definire un “Natale meticcio” quello che festeggeranno le famiglie che vivono nei palazzi occupati di Bologna. Ognuno di origine diversa e ognuno con le proprie convinzioni religiose, ma per quest’anno ad accomunarli sarà avere un tetto sulla testa da poter chiamare ‘casa’. Sono gli occupanti di via Fioravanti, di Mura di Porta Galliera, di viale Aldini e dell’ex istituto Beretta in via XXI Aprile (circa 400 persone), a cui si aggiungono quelli che abitano in via de’ Maria, via Irnerio e alle ex Scuole Ferrari (circa 150). C’è chi ha perso il lavoro, chi viveva in strada, chi è fuggito dal suo Paese perché perseguitato e chi nella vita oltre allo stipendio ha perso anche i propri figli, dati in adozione a un’altra famiglia. Sono le storie delle persone che negli ultimi mesi, a Bologna, hanno occupato case, ex scuole o uffici. Un’emergenza, quella abitativa, che l’amministrazione comunale dal canto suo sta cercando di tamponare attraverso un protocollo d’intesa firmato con Provincia, con Ausl, Acer (Azienda casa Emilia-Romagna), Asp (Azienda pubblica di Servizi alla persona) e altri enti e istituti. Per mettere a disposizione, di chi viene sfrattato, il patrimonio immobiliare pubblico e privato inutilizzato. Intanto però sotto le Due Torri le occupazioni continuano.
Ma chi sono gli occupanti? Famiglie, ragazzi, pensionati, precari tutte persone che per diversi motivi o hanno avuto uno sfratto, o non riuscivano a trovare casa per via di affitti troppo alti e stipendi troppo bassi o perché dei profughi. In viale Aldini 116 una palazzina in stile liberty, occupata dal collettivo Làbas, ha dato un tetto a 22 persone. Carlo e Valter sono due pensionati italiani e nella casa sono un po’ il punto di riferimento dei ragazzi che ci vivono. “Abitavo in via Zanardi con mia madre – racconta Carlo – Finché c’era lei riuscivamo a tirare avanti. Poi però sono rimasto solo e con la mia pensione sociale da 460 euro non riuscivo più a pagare l’affitto e il resto. Così ho ricevuto lo sfratto. Alla fine grazie a un’amica ho incontrato i ragazzi del collettivo e oggi vivo qua”. Quando sono entrati il 24 ottobre nel palazzo c’erano una cucina mal messa e dei bagni rotti. Hanno comprato i lavelli, hanno risistemato i tubi e adesso pensano di realizzare una cucina per ognuno dei 3 piani in modo da renderli indipendenti. Ognuno ha una sua stanza, che ha abbellito con dei poster, qualche foto, degli scaffali per riporre i vestiti. “Ogni persona che è arrivata qui – dice Alessando di Làbas – si è scelta la sua camera e ha fatto i lavori per sistemarsela”. Miro è un ragazzo afghano arrivato da poco in viale Aldini e dopo aver scelto la sua stanza ha deciso di imbiancarla per togliere il giallo dalle pareti. “Sono dovuto fuggire dal mio Paese dopo che hanno ucciso mio padre – dice Miro – Mio fratello lavora in polizia e c’è a chi questo non piace. Così dopo quello che è successo sono scappato. Ho dormito per molto tempo in strada. Ora che ho una casa la prima cosa che voglio fare è cercarmi un lavoro”. Intanto si pensa a come passare il Natale e c’è chi come Carlo ha pensato di organizzare una cena tutti insieme per festeggiare “Più che il Natale, visto che ognuno ha la sua religione – dice Carlo – festeggiamo l’avere una casa”.
Spostandosi in un’altra zona di Bologna le storie degli occupanti sono le stesse ma a Mura di porta Galliera l’atmosfera che si respira è quella di un vero e proprio condominio solidale. Sono in maggioranza famiglie marocchine e tunisine, in tutto una cinquantina di persone, che dal 18 giugno vivono in questo palazzo occupato dal collettivo Social Log. Safia è una ragazza marocchina di trent’anni sposata con un italiano, e da ormai alcuni mesi è senza lavoro. “Lavoravo in un pastificio a Bologna – racconta – ma quando ha chiuso, mi hanno lasciato a casa. Dopo un po’ anche mio marito ha perso il lavoro e da lì sono iniziati i problemi”. Oggi vivono insieme in quest’appartamento e continuano a cercare lavoro”. Nel frattempo, insieme ad altre ragazze, Safia ha organizzato un corso di cucina marocchina per i vicini. “Noi abitiamo qui da un po’ – dice Safia – e abbiamo pensato che un modo per farci conoscere dai nostri vicini fosse quello d’insegnare loro alcuni piatti tipici dei nostri Paesi. Il 14 dicembre abbiamo organizzato un pranzo aperto a tutti. Sono venuti in tanti”.
Ma, se qui la situazione è più tranquilla, le cose sono un po’ più complicate nell’ex palazzo Telecom in via Fioravanti, occupato sempre dal collettivo Social Log, dove da circa 2 settimane vivono 280 persone. A essere precari qui oltre agli occupanti sono anche gli alloggi, dove manca il riscaldamento e non c’è una cucina. “Ognuno mette quello che ha e si comprano delle cose da mangiare già pronte – dice Francesco di Social Log – per ora stiamo allestendo gli uffici per farli diventare dei mini appartamenti e poi realizzare una cucina. Ci vuole un po’ di tempo per sistemare tutto”. Intanto si organizzano i turni su ogni cosa e in particolare su chi accompagna i ragazzi a scuola. Dei circa 70 minori presenti, una parte frequenta ancora una scuola in provincia mentre altri vanno in quelle di Bologna. Un problema, quello della scuola e dei servizi, sollevato dal presidente del quartiere Navile, Daniele Ara, che ha sottolineato come, l’aver concentrare tante persone in un solo punto della città non fa che peggiorare la situazione e non risolve il problema abitativo. “Queste persone dovranno accedere ai servizi – ha detto Ara – ma non potranno farlo perché non hanno la residenza. Adesso bisognerà cercare una soluzione anche a questo”. La questione della residenza riguarda tutti. Intanto chi può si gode ciò che ha avuto e cerca di pensare al prossimo anno con un po’ di ottimismo. C’è invece chi finirà l’anno ancora al buio in attesa che gli sia allacciata la corrente. Sono le 60 persone che vivono all’ex istituto Beretta occupato dal sindacato Asia-Usb. “Forse avremo la corrente elettrica a gennaio – dice Giovanni, uno degli occupanti – per adesso ci arrangiamo con delle torce e qualche candela”.