Colonna Destra: Antonio Marafioti

La colonna destra dei siti mainstream italiani è il trionfo dei click e la morte del contenuto in rete. Dai castori che ballano alle anatomie dei corpi esibiti in finti servizi rubati.

Q Code Mag affronta la sonnolenza postprandiale che caratterizza alcune date clou di queste feste, o il senso dilatato delle giornate natalizie e di inizio anno, con una carrellata di consigli fra lettura, video, cinema, facezie o spunti per svuotare la scatola cranica. O riempirla di contenuti di quel bellissimo concetto dei nostri avi, che veneravano l’otium come occasione di crescita personale

Una riflessione sul cambiamento in Italia. Comprenderlo rispettando il passato fa la differenza fra un cittadino e un suddito


di Antonio Marafioti

@AMarafioti

 

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”.

27 dicembre 2014- Questo verso di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo (1958), è ormai così ripetuto da giovani e vecchi da esser diventato una vera e propria profezia. Il cambiamento. Ogni anno, di questi tempi, lo si aspetta e ce lo si augura a vicenda, salvo scontrarsi con quella postilla – la crisi italiana – che tramuta l’auspicio in un muro invalicabile. Il muro-Paese. Impossibile cambiare in Italia, uno Stato che peggiora nei campi in cui potrebbe migliorare e rimane statica in quelli dove è già l’ultima della classe. “Ormai” è diventata la parola di rassegnazione che anticipa ogni discorso su quello che, un tempo, era detto il Bel Paese.

Ma che cosa è stato davvero? Per capire il declino dovremmo provare nostalgia, provarla veramente, per quei tempi in cui la solidarietà veniva prima dell’individualismo, il lavoro prima della disoccupazione, l’arte prima della raccomandazione, l’abnegazione prima del minimo indispensabile a prendere lo stipendio, l’essere prima dell’apparire, le vere manifestazioni di piazza prima dei tanti, sclerotici e arrabbiati V-day. Sentire il rimpianto di un Paese che è cambiato in peggio, certo, ma capirne prima il cambiamento stesso per essere consapevoli del livello di civiltà perduto, per cercare di recuperarlo nel nostro piccolo quotidiano e ritornare a essere cittadini invece che sudditi. Ecco qualche breve consiglio.

 

Miriam Mafai, Diario Italiano, Laterza 2006

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La copertina del libro edito da Laterza

In quarta di copertina si legge: «Note, editoriali, inchieste, fatti di cronaca, battaglie civili, storie di politica. Le pagine di un diario ideale che ci riguarda tutti: l’Italia che non c’è più e l’Italia dei nostri giorni». Basterebbero queste poche righe a questa colonna destra. In realtà il libro è molto di più di quanto lo stesso riassuma. Nelle cronache della grande giornalista de La Repubblica c’è l’anima di quel Paese, diviso e compatto al contempo, che non si arrendeva, non abbassava la testa. Mai. Era l’Italia dei referendum, della questione femminile, degli operai, l’Italia incredula al rapimento Moro e quella emozionata per la partenza di Pertini dal Quirinale. Due pezzi importanti, questi. Il resoconto da via Fani insanguinata rimane, forse, uno dei migliori scritti di quel 16 marzo 1978. L’articolo attacca così: «Via Mario Fani, angolo via Stresa». Cara, vecchia scuola. L’addio di Pertini è il secondo gioiello. Mafai, invitata a pranzo dal presidente insieme al collega de La Repubblica Giorgio Rossi, ricorda le parole del Capo dello Stato nelle ultime ore del suo mandato: «Ho telefonato in banca. Gli ho detto: preparate il mio assegno. Sia chiaro che non voglio tutto il mese di luglio, soltanto fino al 9. Fate i conti voi; non lo so se il 9 è compreso o no. Fate i conti bene. Non voglio una lira di più di quello che mi spetta». Un’altra foggia di uomini. Un’altra storia. Un’altra Italia.

 

Mario Dondero. Mostra fotografica

Un’altra Italia, un’altra storia. Come quella raccontata per immagini da un maestro assoluto della fotografia, Mario Dondero, classe 1928. La sua mostra rimarrà esposta nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano a Roma fino al 22 marzo 2015. Oltre 250 scatti che ripercorrono un bel pezzo di Storia della seconda metà del Novecento attraverso la carriera del fotoreporter milanese. La rassegna è curata da Nunzio Giustozzi e Laura Strappa. Quattro sezioni – “La nascita di una vocazione”, “Verso il mondo”, “La passione per la politica e la storia”, “La grande svolta” – in cui l’obiettivo di Dondero immortala molti dei cambiamenti epocali in Italia e nel mondo. Qui in basso uno degli scatti: un’insolita conversazione tra una mamma di Berlino Ovest e un soldato a guardia del muro della DDR.

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Berlino, Repubblica Democratica Tedesca, 1989 © Mario Dondero

 

Red Army (2014) di Gabe Polsky

Il muro di Berlino, già. Emblema della parola cambiamento. Simbolo di un assetto bipolare in cui Usa e Urss si dividevano il mondo usando ogni mezzo a loro disposizione. Uno di questi era lo sport. Uno di questi sport era l’hockey sul ghiaccio. Red Army, documentario del regista statunitense Gabe Polsky, racconta la storia della nazionale di hockey sovietica. Un capolavoro di ottantacinque minuti che oltre a una nomination agli Oscar, ha ottenuto un Emmy e un premio speciale al festival di Cannes 2014.

Polsky, regista originario di una famiglia di ebrei russi emigrati negli States, ripercorre le vittorie di quello che fu il team più forte del mondo, fiore all’occhiello del sistema comunista. Lo fa attraverso interviste esclusive ai protagonisti del tempo e immagini d’archivio inedite. Il parallelo tra la posta politica in palio e le pressioni sugli atleti, sottoposti ad allenamenti massacranti fin dalla tenera età, è la chiave vincente dell’intera narrazione. La voce principale è quella di Slava Fetisov, numero due sulla schiena e capitano di quell’insuperabile quintetto d’atleti.

 

 

Universalmente riconosciuto come uno dei giocatori più forti della storia dello sport sul ghiaccio, Fetisov passò da eroe nazionale a nemico dello Stato. Poco prima del crollo sovietico molti giocatori decisero di accettare gli ingaggi milionari offerti dalle squadre del campionato statunitense e trasferirsi dal “nemico”. Il muro c’era ancora e le pressioni esercitate dal Cremlino per trattenere i propri talenti erano enormi. Per alcuni fu ventilata l’ipotesi dei lavori forzati in Siberia, per altri arrivarono vere e proprie minacce di morte. Fetisov, oggi ministro dello Sport di Putin, aspettò fino alla fine e respinse controproposte del Politburo e della polizia militare. Schivò minacce, fu estromesso da ogni squadra per la sua intenzione di partire e si allenò da solo nella campagna fuori Mosca. Finché non arrivò il via libera. Il resto è raccontato da lui e dai suoi compagni in prima persona. Il documentario, da vedere, testimonia il cambiamento politico e storico della grande potenza, e quello personale dei protagonisti, atleti e cittadini allo stesso tempo. Verrà distribuito da Sony Pictures Classics il prossimo 22 gennaio.

 

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