Scegliere come vivere liberamente in coppia: un diritto che gli omosessuali ancora non hanno
di Cecilia Bondi. [Sono avvocato e dottore di ricerca in diritto costituzionale. Mi sono sempre interessata e appassionata ai temi di attualità giuridico-politica, convinta che nella nostra Costituzione possa esserci una risposta alle esigenze dei cittadini. Questa risposta bisogna cercarla, pazientemente, e avere il coraggio di sostenerla quando la si trova, anche se è diversa da quella che avremmo voluto. Di qualcosa bisogna pur fidarsi, e io ho scelto di fidarmi della Costituzione. Mi occupo anche di diritto del lavoro, tentando di studiare e capire le difficili soluzioni legislative in questi anni di crisi economica]
27 dicembre 2014. Realtà sociale, diritto e religione. Questi i tre ambiti nei quali si anima il dibattito senza fine sul nucleo essenziale di ogni società. La definizione dei legami affettivi che uniscono le persone, come in un film di fantascienza, viaggia nel tempo, senza sosta, dal’1 d.C. passando per il 1948, prima di transitare per il 2014. Il problema è che sembra che i circuiti temporali della macchina del tempo di questo viaggio siano guasti e la famiglia non riesca a “tornare al futuro”.
La famiglia della nostra Costituzione è una società naturale fondata sul matrimonio (art. 29). La definizione che i Costituenti hanno voluto racchiudere nella più importante delle leggi identifica solo uno dei diversi tipi di famiglia che, invece, sono presenti nella società odierna. La Costituzione riconosce espressamente diritti e tutele al legame tra due persone che contraggono matrimonio (anche religioso) con effetti civili. Il matrimonio, quindi, è la condizione per il riconoscimento della famiglia a livello costituzionale e legislativo.
Dall’articolo 29 restano quindi escluse le famiglie di fatto, ossia i legami tra due persone che non sono sposate e, si dice, convivono more uxorio. Il riconoscimento costituzionale di questo tipo di unione è contenuto nell’articolo 2 della Costituzione con il quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. La famiglia, in tutte le sue espressioni e manifestazioni, altro non è se non la prima e la più importante tra le formazioni sociali di cui parla la norma costituzionale.
Un riconoscimento costituzionale delle coppie di fatto, quindi, c’è. Solo che quando la Costituzione parla espressamente di famiglia parla di quella fondata sul matrimonio. Per questo i diritti delle coppie di fatto sono da sempre oggetto di discussione, incertezza e preoccupazione.
Coloro che scelgono di formare una famiglia senza il legame matrimoniale solitamente lo fanno – si presume – per un rifiuto dei vincoli e delle responsabilità derivanti dal matrimonio. Nonostante questa scelta, libera e (teoricamente) consapevole, nel pacchetto “no obligations” c’è, in fondo e in piccolo tanto che molti forse non se ne accorgono, anche la clausola “no rights”.
Questo significa, molto semplicemente, che i conviventi more uxorio non essendo coniugi non si vedono riconosciuti i diritti che la legge ricollega al matrimonio. Sarebbe illogico, e contrario al più basilare dei principi di causa-effetto, applicare a qualcuno le conseguenze di qualcosa che non ha fatto.
Pertanto, solo per fare qualche esempio, le coppie di fatto si ritrovano senza diritti successori nei confronti del partner (fatto salvo quanto può essere disposto tramite testamento), senza diritti patrimoniali, senza diritti sull’abitazione, prive quasi totalmente del diritto a partecipare alle decisioni riguardanti la salute del partner, e così via.
A questo punto viene da chiedersi dove si collochino le coppie omosessuali in questo, rassicurante (!), quadro. In effetti, ragionandoci un attimo, da nessuna parte.
Nel nostro Paese è noto che le persone dello stesso sesso non possono sposarsi civilmente. Questo fa sì che, automaticamente, le coppie omosessuali diventino famiglie di fatto. Solo che una piccola, fondamentale differenza rispetto alle coppie di fatto tra partner di sesso diverso c’è: le coppie omosessuali non hanno, in Italia, possibilità di scegliere.
Chi trova la propria anima gemella in una persona del suo stesso sesso è costretto dall’ordinamento italiano a vivere un legame privo di tutele. Infatti, mentre due persone di sesso diverso scelgono e decidono liberamente di non contrarre matrimonio, assumendosi le responsabilità di questa scelta, le coppie omosessuali non possono decidere che forma dare al loro legame, poiché per l’ordinamento il loro legame non esiste.
Giuridicamente, e non solo, l’ampiezza della libertà di ciascun individuo passa attraverso il numero di opzioni tra le quali può scegliere. In questi termini, le coppie omosessuali sono “prigioniere” della zona grigia in cui la loro unione si ritrova.
E allora quali i rimedi? Meglio puntare al fattibile piuttosto che all’irraggiungibile. In un momento in cui non si riesce a mettere in atto nemmeno l’abolizione dalla Costituzione delle Province, è impensabile che la società italiana accetti l’idea di modificare la definizione costituzionale di famiglia, per esempio togliendo il «fondata sul matrimonio» dall’articolo 29.
A livello della religione cattolica le cose non vanno meglio: il tentativo del Papa di allargare le vedute sul tema dei divorziati e degli omosessuali si è scontrato con la rigidità dell’ordinamento canonico. Ma non siamo qui a disquisire se l’amore di qualsiasi Dio passi attraverso la scelta di ognuno di amare chi vuole.
In una prospettiva di fattibilità, quindi, le coppie omosessuali potrebbero trovare tutele solo attraverso una parificazione della loro libertà di scelta a quella delle altre coppie di fatto, quelle eterosessuali. Questa equiparazione, sotto il profilo della libertà di scelta, può passare attraverso due strumenti che sarebbe opportuno uscissero dalle aule del Parlamento.
Le strade percorribili sono: quella di una legge che regoli il matrimonio civile tra le persone dello stesso sesso (e che, in quanto legge dello Stato e incidente solo sul matrimonio civile, non invaderebbe in alcun modo la sfera degli ordinamenti religiosi); oppure quella di un provvedimento normativo che disciplini diritti e doveri delle coppie di fatto registrate, regolarizzando e uniformando le positive esperienze comunali dei registri delle unioni civili.
Il dibattito sul tema delle coppie omosessuali e delle nuove tipologie di famiglia è però talmente attaccato a concezioni ideologiche che nessuna delle opzioni che abbiamo appena visto ha potuto, in Italia, spingersi più in là di un qualche disegno di legge dimenticato o accuratamente nascosto in qualche cassetto.
Così, le coppie omosessuali non hanno potuto far altro che andare a cercare, non tanto tutela giuridica, quanto riconoscimento e accettazione all’estero nei molti Paesi, anche in Europa, che permettono il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Solo che al loro rientro in Italia i novelli sposi o le novelle spose si ritrovano nella stessa situazione di partenza e il loro vincolo matrimoniale, che all’estero ha pieno valore giuridico, in patria non vale nulla.
La strada da percorrere per ottenere in Italia il riconoscimento di un matrimonio contratto all’estero è quella della richiesta di trascrizione dell’atto matrimoniale nei registi dello stato civile del comune di residenza. La richiesta di trascrivere in Italia un matrimonio contratto all’estero non incontra, di per sé, limiti nella legge italiana.
Negli ultimi anni, quindi, molte coppie omosessuali hanno intrapreso questa strada che però non ha portato ai risultati sperati. Infatti, come emerso anche recentemente dai casi di Milano, Bologna, Udine e non solo, anche se gli ufficiali di stato civile accettano di procedere alla trascrizione c’è comunque qualcuno che si mette in mezzo, come le Prefetture che cancellano i provvedimenti di trascrizione. E qui comincia un’altra storia, potenzialmente, infinita perché i cittadini si rivolgono ai giudici affinché le cancellazioni disposte dalle Prefetture vengano dichiarate illegittime.
Come andrà a finire? Difficile intravedere un lieto fine. Questo perché l’intervento dei tribunali non può che portare fino alla Corte costituzionale che verrebbe chiamata (ancora) in causa per interpretare la Carta e dichiarare incostituzionali le norme del codice civile che espressamente prevedono che il matrimonio sia tra persone di sesso diverso.
Eh, già, perché i Comuni che non trascrivono o le Prefetture che cancellano non è che abbiano tanto margine d’azione, quando la legge italiana espressamente prevede che il vincolo matrimoniale sia solo quello tra partner di sesso diverso. Il punto quindi è questo: o la legge cambia, o non si può pretendere che vengano adottati a livello comunale provvedimenti illegali.
Spiace dirlo, e non poco, ma la Corte costituzionale si è già pronunciata su questo tema, nel 2010 (sentenza n. 138). In quel caso una coppia omosessuale aveva ricevuto il rifiuto dall’ufficiale di stato civile alla trascrizione del matrimonio estero e per questo aveva fatto ricorso al Tribunale. Il Giudice ha ritenuto di non potersi pronunciare sul ricorso, e ha sollevato una questione di costituzionalità.
In sostanza il giudice ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare illegittimi gli articoli del codice civile che prevedono che il matrimonio sia solo quello tra persone di sesso diverso. Il problema sollevato non era, quindi, l’illegittimità della decisione di non trascrivere, ma la supposta incostituzionalità delle leggi su cui questa decisione si era basata.
La Corte, pur riconoscendo che nella nozione di formazione sociale tutelata dalla Costituzione è «da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri» esclude, tuttavia «che l’aspirazione a tale riconoscimento possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio».
Quindi, per ora, niente matrimonio civile per le coppie omosessuali, anche se (perlomeno) la Corte ha riconosciuto il diritto fondamentale di queste coppie alla tutela giuridica con i connessi diritti e doveri. Il punto è che solo il Parlamento, che rappresenta i cittadini e, quindi ne esercita la sovranità, è legittimato a riconoscere questi diritti e doveri. Non può essere la Corte, né tanto meno gli Ufficiali di stato civile, a farlo.
Se si applica la normativa vigente la trascrizione dei matrimoni omosessuali risulta contraria a norme di legge, quelle del codice civile che espressamente prevedono la diversità di sesso tra i coniugi. Se si procedesse continuando a impugnare le cancellazioni da parte della Prefettura e si giungesse nuovamente alla Corte costituzionale, chiedendole di dichiarare illegittime le disposizioni del codice civile, difficilmente a soli 4 anni di distanza la Corte si pronuncerebbe diversamente da quello che abbiamo visto sopra.
Anche se il Parlamento con una legge modificasse le norme del codice civile eliminando il riferimento alla diversità di genere dei coniugi, a meno di un cambio di orientamento della Corte costituzionale, sarebbe molto probabile che alla prima occasione la Consulta dichiarasse incostituzionale la modifica parlamentare. Sembra quindi difficile che il Parlamento, già oberato di lavoro, decida di muoversi in senso contrario alla Corte, lavorando, sostanzialmente, per niente.
L’unica soluzione quindi, è una diversa presa di posizione del Parlamento, una legge che rispettando il principio democratico e della sovranità popolare, riconosca le unioni omosessuali, anche se attraverso una forma di vincolo giuridico diverso dal matrimonio.
Anche se la Costituzione nulla dice sul sesso dei coniugi non possiamo far finta di non sapere che i Costituenti non stavano certamente pensando di legittimare i matrimoni omosessuali quando nel 1948 hanno scritto l’art. 29. Detto questo nulla vieterebbe al Legislatore di disciplinarli ugualmente e di interpretare in maniera evolutiva la Costituzione. Solo che bisogna volerlo. E questa, a proposito di libertà di scelta, è una cosa che solo il Parlamento ha diritto di scegliere.
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