31 dicembre 2014 – Venerdì 19 dicembre, West Bank. Uno dei tanti venerdì di lotta dei comitati popolari per la resistenza nonviolenta palestinese. Gli attivisti manifestano pacificamente e tentano di installare una lapide commemorativa a Turmusayya, dove il Ministro palestinese Ziad Abu Ein è stato ucciso durante una manifestazione pacifica il 10 dicembre scorso.
Durante le proteste vengono arrestati gli attivisti Mohammed Khatib e Jaffar Hamayel. Neta Golan, cittadina israeliana co-fondatrice dell’International Solidarity Movement, e altre due attiviste internazionali vengono fermate e successivamente rilasciate.
Martedì 23 dicembre, West Bank. Il Comitato popolare per la resistenza non violenta comunica che la corte militare di Ofer ha condannato gli attivisti palestinesi Mohammed Khatib e Ja’far Hamail per aver partecipato alla manifestazione. Colpevoli di voler piantare alberi potrebbero uscire su cauzione: la somma stabilita dalla corte è di 7500 shekels ciascuno (circa 1500 euro).
Durante l’arresto a Mohammed è stato rotto un braccio, è stato preso alla gola impedendogli il respiro e buttato violentemente a terra tenuto fermo dai talloni del soldato. Mohammed il mese scorso era in Italia, per parlare proprio di resistenza non violenta in Palestina, una forma di lotta pacifica che ha bisogno di un forte appoggio internazionale per continuare ed essere ancora più efficace.
Per questo, anche Mohammed Khatib supporta e crede nella campagna #Italy4Palestine, questo il suo video intervento:
«Nonostante la violenza delle forze di occupazione, abbiamo piantato alberi nel luogo in cui Ziad aveva progettato di piantarli» ha dichiarato Abdullah Abu Rahmah, attivista per i Diritti Umani. È proprio di questi giorni la notizia, riportata da Amnesty International, che anche Abdullah Abu Rahmah il prossimo 5 gennaio rischia di essere condannato a cinque anni di carcere per aver partecipato a delle proteste nel 2012. «Continueremo a lottare con gli agricoltori i cui terreni sono stati rubati e con gli agricoltori che non possono coltivare la loro terra a causa dell’occupazione».
«Nei media non si parla mai dei comitati di lotta popolare nonviolenta – scrive Luisa Morgantini sul sito AssoPace Palestina – sempre un maggiore numero di donne, uomini, bambini, palestinesi, israeliani, internazionali ogni venerdì scendono nelle strade dei villaggi della West Bank e Gerusalemme Est per manifestare in modo non violento la necessità della fine dell’occupazione. Le loro azioni non si limitano alla manifestazioni del Venerdì nei luoghi dove la terra è stata sottratta ai palestinesi per la costruzione del muro di apartheid e di annessione coloniale; fanno formazione nei villaggi sul diritto alla terra, nelle scuole sulla resistenza nonviolenta, ricostruiscono villaggi abbandonati, accompagnano i contadini per proteggerli dagli attacchi dei coloni durante il raccolto. La resistenza quotidiana e pacifica all’occupazione si sta espandendo, il governo israeliano ha paura di queste forme di lotta pacifica perché gli impediscono di giocare il ruolo della vittima ed è per questo che aumenta la repressione e gli arresti degli attivisti, imponendo anche il pagamento di cospicue somme di denaro per il loro rilascio».
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