La colonna destra dei siti mainstream italiani è il trionfo dei click e la morte del contenuto in rete. Dai castori che ballano alle anatomie dei corpi esibiti in finti servizi rubati.
Q Code Mag affronta la sonnolenza postprandiale che caratterizza alcune date clou di queste feste, o il senso dilatato delle giornate natalizie e di inizio anno, con una carrellata di consigli fra lettura, video, cinema, facezie o spunti per svuotare la scatola cranica. O riempirla di contenuti di quel bellissimo concetto dei nostri avi, che veneravano l’otium come occasione di crescita personale.
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-15-alle-20.39.17.png[/author_image] [author_info]di Francesca Rolandi. Storica, ha portato a termine un dottorato in Slavistica e si occupa di studi sulla Jugoslavia socialista. Ha vissuto a Belgrado, Sarajevo, Zagabria e Lubiana e ha provato a raccontarle per PeaceReporter, Osservatorio Balcani Caucaso, Cafebabel e Profili dell’Est. Attualmente vive tra Fiume e Milano [/author_info] [/author]
4 gennaio 2015 – Il filo conduttore di questa colonna destra di Q Code Magazine sarà il confine, inteso come limite o addirittura ferita in una continuità naturale, come fine e nuovo inizio di qualcosa, ma anche come spazio ibrido in cui nuove pratiche si insinuano e la quotidianità sopravvive, seppur frammentata, complicata, divisa da una linea. L’abbattimento delle frontiere nell’area Schengen, salutato dall’euforia europeista della libera circolazione, ha implicato solo lo spostamento più in là delle linee divisorie, mentre i confini storici tra gli stati europei hanno continuato a sopravvivere per quanto invisibili.
Le asperità del confine italo-francese sono lo sfondo del romanzo di Francesco Baiamonti, Vento largo (1991), edito da Einaudi, che racconta la storia di un vecchio passeur che accetta di portare al di là del confine i nuovi migranti. Il confine italo-francese, che ci avevano detto fosse scomparso, ma che di tanto in tanto riaffiora, quando la gente del sud che va verso il nord inizia a diventare troppa. Dove da sempre i contrabbandieri hanno portato dall’altra parte un’umanità disperata – che fino agli anni Sessanta inoltrati era italiana – pronta a sfidare i sentieri impervi di una montagna selvaggia.
I confini di oggi e di ieri sono lo scenario anche del libro Con i piedi nell’acqua. Il lago e le sue storie di Cecco Bellosi (2013), edizioni Milieu, che racconta le vite oblique di chi le ha trascorse a cavallo della frontiera, vivendo del contatto tra i due mondi. Il contrabbando, praticato spesso da personaggi considerati dalla propria comunità alla stregua di eroi, che si contrapponevano ai finanzieri in un gioco di guardie e ladri sulle montagne al confine con la Svizzera, era l’unica fonte di introiti per le vallate povere del versante italiano.
La linea che tagliò, dal 16 settembre 1947 case, giardini, stalle, perfino un cimitero, attribuendone una metà all’Italia e l’altra metà alla Jugoslavia, è protagonista di un documentario girato dalle autrici slovene Nadja Velušček e Anja Medved nel 2002, quando questo confine stava per scomparire definitivamente. Moja meja / Il mio confine racconta il territorio intorno a Gorizia, la città divisa, nell’immediato dopoguerra, tra due stati e tra due sistemi politici. Sebbene di non facilissimo reperimento è un documento interessante e ricco di materiali storici.
Il confine che non si vede, tra paesi dell’area Schengen, è l’ambientazione simbolica della serie tv Bron/Broen, frutto di una coproduzione tra Svezia, Danimarca e Germania. In questo caso si tratta del ponte Øresund, tagliato a metà dal confine tra i due paesi scandinavi. E proprio a cavallo di questa linea di divisione, dopo un black out notturno, vengono ritrovate le due metà di due corpi, appartenuti rispettivamente a una politica svedese e a una prostituta danese. Le indagini congiunte dei due paesi vengono portate avanti da due poliziotti che rappresentano due tipi umani agli antipodi e si mettono sulle tracce di un maniaco seriale che dissemina le sue tracce da una parte e dall’altra del ponte, giocando su un continuo trasferimento di competenze e di connessioni tra Svezia e Danimarca.
Come colonna sonora, infine, la canzone del cantautore triestino Lorenzo Pilat Il finanziere, che racconta la realtà del confine italo-jugoslavo, attraversato continuamente dai triestini per andare a fare la spesa in Jugoslavia. E dove le limitazioni doganali, come si può immaginare, venivano raramente rispettate. Perché con i confini ci si convive e spesso si riesce anche a trarne un vantaggio.
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