Questa rivista online che state leggendo, esiste grazie al lavoro volontario. Pare che al giorno d’oggi sia una delle poche maniere per esprimersi liberamente, o meglio per fare informazione senza condizionamenti di alcun genere e quindi attendibile. E sembra anche che questo sia un problema internazionale, non solo italiano, come spesso siamo abituati a lamentare. Il muro di gomma editoriale sui contenuti e sui compensi impedisce uno svolgimento compiuto della professione giornalistica. Come ha detto il fotoreporter francese Pierre Terdjman a Time Lightbox: ogni volta che finisco un servizio fotografico c’è la solita battaglia per farlo pubblicare, raramente le riviste sono interessate a mostrare ciò che accade in Egitto, in Georgia, in Afghanistan. Talvolta pubblicano una o due immagini e basta.
Each time I finish a story, it’s the same struggle to get my images published, magazines are rarely interested in showing what’s happening in Egypt, in Georgia, in Afghanistan. Sometimes they’ll publish one or two images, but that’s it. [Time Lightbox]
Aggiungo io che le poche volte in cui si riesce a vedere pubblicato un proprio servizio, @ il compenso che si spunta dopo il classico suq non è corrispondente allo sforzo compiuto. In parole povere il gioco non vale la candela, non più. Il lavoro del giornalista e del fotogiornalista ha un prezzo talmente basso che pare non abbia un valore. Ma molto vale l’informazione e sarebbe un peccato sprecarla. Non vedere immagini di eventi importanti equivale a non poterli definire tali. Cosí il sopra citato Pierre Terdjman , insieme al collega Benjamin Girette, si è inventato un’iniziativa che – nata come azione provocatoria ai limiti della legalità – sta diventando sempre più trendy.
#Dysturb: attacchinaggio di fotografie giornalistiche, stampate nelle dimensioni delle affissioni pubblicitarie, sui muri di alcune città, tramite un’azione notturna di un gruppo di persone non autorizzate all’operazione.
Un gioco da ragazzi verrebbe da dire, come suonare i campanelli del condominio adiacente al nostro, ma la risonanza è stata forte. Vedere immagini d’impatto, firmate e didascalizzate, degli eventi accaduti a Gaza, in Ucraina, in Afghanistan, a grandi dimensioni, appese in luoghi dove non passano certo inosservate, ha colpito l’opinione pubblica e talvolta anche le istituzioni politiche. Pierre e il suo socio d’iniziativa Benjamin adesso sono chiamati in grandi città a ripetere l’operazione (l’ultima a New York, mica paglia!). Hanno aperto un sito internet con mappa interattiva dove localizzare le immagini appese e stanno cercando di mettere in piedi una campagna di crowdfunding per trovare risorse e portare avanti il loro progetto. Già perchè tutto ció finora è stato finanziato da loro stessi: una quarantina di Euro per ogni stampa/poster, più qualche spicciolo per colla e suole delle scarpe: costi vivi finora sostenibili per il solito lavoro volontario di informazione.
In the world today, with diminishing readership and audiences, traditional media have been losing both credibility and financial resources, and the situation is now critical. The ambition of #Dysturb is to make news stories accessible to a large mainstream public, using techniques adopted from urban culture, and specifically from street art. After all, the street is still the greatest of the social media. [www.dysturb.com/]
L’editoria ormai ha abdicato, questo lo sapevamo, ma la notizia è che il pubblico c’è, le istituzioni pure e – udite udite – spuntano fuori anche alcune monete per finanziare iniziative culturali e giornalistiche. Basta avere un’idea, che faccia distogliere gli occhi della gente da smartphone e tablet per alzarli e guardare un oggetto appeso ad un muro. Una trovata che trascini fuori dal virtuale per rientrare nel reale. Questa pare essere anche la prossima sfida dell’editoria cartacea: le testate piú intelligenti stanno cercando un modo per rendere appetibile l’oggetto rivista, arricchendolo rispetto a quanto già si potrebbe trovare online e differenziandolo dagli effetti speciali di app fantascientifiche. Come? Vedremo, qualcuno ci sta lavorando.
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Questo articolo è stato pubblicato anche su Fotografia & Informazione
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