La rubrica Lessico, questa settimana, è dedicata alla parola Passeur. Viaggio multimediale tra i saltatori di frontiere, tra coloro che speculano sulla vita degli altri
a cura di Christian Elia
@eliachr
7 gennaio 2015 – Navi cargo lasciate alla deriva, con l’equipaggio che abbandona i passeggeri al suo destino. Sembra questo il modus operandi dei cosiddetti ‘scafisti’ negli ultimi episodi di cronaca. Migranti alla deriva, terrorizzati, al gelo, senza alcuna possibilità di guidare il natante sul quale sono stati abbandonati.
Lo ‘scafista’, come tutti i passeur, la parola francese che indica i traghettatori, a piedi come in auto o in camion, in aereo piuttoso che in nave, è una figura negativa. Per gli arabi sono gli Harraga, i ‘bruciatori di frontiere, ma la loro iconografia non cambia. Sempre raccontata come una specie di mostro, come spesso sono, avidi e senza scrupoli.
Ma quanto queste figure servono a sollevarci la coscienza? Quanto è più comodo raccontare la disumanità di questi figuri per non raccontare la nostra? Cioè quella di cittadini indifferenti di fronte al traffico di esseri umani. Che servon vulnerabili, senza diritti e senza documenti, per alimentare i profitti delle nostre economie?
Questa settimana Lessico è dedicato a loro. Con un vecchio film di Pietro Germi, Il cammino della speranza, del 1950, che racconta gli italiani che passavano illegalmente le Alpi per trovare lavoro in Francia. Con un progetto media dell’Onu, HumanTraffiking.org, che raccoglie le storie dei trafficati del mondo. Con un webdoc, The End of Slavery, che racconta come vengono sfruttate le perosne trafficate.
Con un libro, Confessioni di un trafficante di uomini, che racconta questi passeur. Con un’intervista a Desiree Pangerc, antropologa, che studia flussi e il business dei migranti, e infine con un report delle Nazioni Unite, Sinai Human Traffiking, che ne quantifica il business. Buona lettura.
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