“Il nemico ormai ce l’abbiamo in casa. Bloccare l’invasione clandestina in corso, subito. Verificare chi, come e perché finanzia moschee e centri islamici. Chi non rispetta la vita e la libertà, non merita niente. Un pensiero per le povere vittime, disgusto per i politici incapaci”. Lo twitta Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord, appena i media hanno riportato la notizia dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, il 7 gennaio. A quali elettori parlava Salvini, in quel cinguettio che sembra più il morso di uno sciacallo alla pancia dell’elettorato? Ultracattolici, vecchi e nuovi fascisti, revisionisti storici, tradizionalisti. Ma anche antimperialisti, nazionalisti, neomarxisti. Questo è il variopinto popolo salito sul Carroccio dell’altro Matteo, leader che in uno degli ultimi sondaggi Ixé era dato con un consenso al 21% (in crescita). Lo unisce un unico odio: quello diretto ai migranti, soprattutto se hanno osato sopravvivere alle traversate del Mediterraneo. Sono i colpevoli perfetti di qualunque crimine. E non importa se l’evento che provoca il commento salviniano nulla ha a che fare con l’immigrazione: la strage di Parigi insegna.
Dietro all'”operazione Salvini” ci sono tre idee fondamentali: oltrepassare i muri che dividono le realtà della “destra identitaria”, recuperare il supporto dei tradizionalisti cattolici e allacciare legami con tutti gli antagonisti all’Europa unita, in primis la Russia. L’argomento di popolo che riempie le piazze è la difesa dei valori locali (intese come macroregioni, più che come Italia) contro “gli invasori”. Non si protegge più solo il Nord: il senatore Raffaele Volpi è stato incaricato di trovare convergenze con i movimenti identitari del sud in chiave anti immigrazione (ovviamente quella via mare). Quindi gli slogan sono no ai “clandestini”, no alla missioni di salvataggio dei migranti come Mare Nostrum (colpevole di aver salvato 153 mila naufraghi in un anno, secondo il Ministero dell’Interno), no al “buonismo liberale” e prima gli italiani (di nascita e non di naturalizzazione).
Il movimento è intergenerazionale: aggancia giovani stanchi di tutti i fronti politici e i vecchi militanti passati da qualunque forma di destra radicale. Presupposto comune di entrambe le provenienze è che An e i partiti ad essa vicini abbiano fallito. Dal rigetto di quella destra nasce l’avvicinamento di Casa Pound e di altre realtà meno note. Quanto vale alle urne questo mondo? “Arriveremo al 20%”, dicono, un po’ sottovoce, i protagonisti del movimento.
Il think tank da cui tutto ha preso le mosse si chiama Il Talebano. Lo fondano Claudio Bocassini e Vincenzo Sofo (calabrese di nascita), due militanti dei “Giovani padani”. È il 2009 quando il progetto si muove, ma solo ad aprile 2012 fa vedere i primi frutti. “Siamo nati come ponte tra i movimenti identitari trasversali, per ampliare la base della Lega Nord”, dice Vincenzo Sofo, 27 anni, collaboratore del dipartimento Culture, Identità e Autonomie.
I giovani de Il Talebano si muovono ispirati dalle idee del giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco (siciliano e musulmano), di Massimo Fini (giornalista e scrittore) e di Diego Fusaro (filosofo neomarxista anticapitalista). A dicembre 2013, in Provincia di Milano, Il Talebano organizza un incontro tra Matteo Salvini e Alain De Benoist, fondatore del movimento francese Nouvelle Droite, tra i principali avversari dell’immigrazione verso i Paesi europei e dell'”Eurocrazia”. “Mare Nostrum ha acuito i problemi del nostro Paese a salvaguardare la nostra identità culturale. Anche i respingimenti avrebbero salvato vite umane e ci avrebbero preservato da una lotta tra poveri”, sostiene Sofo. Appartiene a questo mondo è anche l’associazione Patriae, movimento politico culturale (già morto, ma resusciterà con altro nome, dice Fratus) di cui fanno parte tra gli altri l’onorevole Alberto Arrighi e Fabrizio Fratus, una vecchia conoscenza dell’estrema destra milanese. Ex Fiamma Tricolore, ex segretario di Daniela Santanché Fratus è un anti-evoluzionista (nega la scientificità della teoria di Darwin) e si definisce “comunitarista”.
A sostenere Salvini c’è poi la galassia dei cattolici tradizionalisti, ostili al progressismo di Papa Francesco.”Siamo l’arsenale di chi vuole fare alcune battaglie di valore come quella sull’immigrazione, senza basarsi su posizioni razziste ma sulla difesa delle nostre tradizioni”, dichiara Maurizio Ruggiero, presidente di Sacrum Imperium, una delle realtà tradizionaliste più attive. “A noi non importano le cordate interne ai partiti– aggiunge – dobbiamo guardare i principi. Stiamo con chi è tradizionalista, con chi difende gli Stati tradizionali e la cattolicità autentica, ostile al laicismo della Rivoluzione francese e del Concilio Vaticano II”. Dio, patria, famiglia: la triade fondante è la stessa dell’estrema destra. L’unico dubbio, per Ruggiero, sta in quale patria riconoscersi: per lui, veronese, non è certo l’Italia, ma semmai la Serenissima, “che oltretutto ha sconfitto i musulmani nella battaglia di Lepanto”. Sacrum Imperium ha cominciato a gravitare sempre più vicino alla Lega Nord da quando Flavio Tosi è sindaco di Verona. E a Tosi non piace la svolta lepenista della Lega di Salvini: “Così si perde”, ha dichiarato il 5 novembre a Repubblica. Da mesi si vocifera di una possibile scissione. Ma è attorno al sindaco scaligero che s’è costruita una prima saldatura “di governo” tra ultracattolici e neofascisti.
Oltre al movimento di Ruggiero, vicino a osi, la squadra del sindaco conta militanti di Progetto Nazionale, formazione di area fascista. Ne fanno parte Massimo Piubello, capolista della Lista Tosi e il dirigente della controllata comunale Amia Andrea Miglioranzi. Presidente di Progetto Nazionale è Pietro Puschiavo: un passato nel Veneto fronte skinhead (di cui è stato fondatore) che gli è costato qualche guaio con la giustizia negli anni Novanta: nel ’94 fu arrestato con altri sei skinhead per violazione della legge Mancino, la legge del ’93 che punisce gesti, azioni e slogan che inneggiano al nazifascismo. Non rinnega la provenienza, ma dice di guardare al futuro: “La nostra lista vuole rompere con la destra tradizionale – dichiara – è molto elastica, dialoghiamo con tutti nella nostra area di riferimento. Non chiamiamola estrema destra, ma semmai destra intransigente”. Da Dio, patria e famiglia, però, ovviamente, non si scappa. Il 4 novembre Puschiavo era a Milano “per importanti incontri con i vertici del centro destra”, Salvini compreso. Anche se al Matteo lùmbard, considerato troppo intento a recuperare terreno per la Lega Nord, Progetto Nazionale preferisce sempre Flavio Tosi, con il quale ormai esiste un rapporto di fiducia.
Tra i collanti che tengono insieme i sostenitori di Salvini c’è l’antieuropeismo e l’avvicinamento alla Russia di Putin. Pontiere tra il leader russo e il segretario leghista è stato il portavoce di Salvini, Gianluca Savoini, presidente dell’associazione culturale Lombardia Russia (non è un refuso: Lombardia Russia). Mosca è baluardo anti islamico e tradizionalista, anche in termini di valori morali: alle galassie salviniane piacciono di più le posizioni del patriarca Kyril I, ostile al terzomondismo di Papa Francesco. L’eurodeputato Lorenzo Fontana è invece il messo di Matteo che sta costruendo in Europa “un’internazionale dei movimenti identitari”. Il Front national in Francia, Alba Dorata in Grecia, Russia Unita di Putin e Fidesz di Viktor Orbàn, primo ministro ungherese che si è consegnato due terzi di Parlamento modificando la costituzione che un colpo di mano che non ha eguali in Europa. Per l’UE un dittatore, per Fontana un bersaglio delle “lobby massonico-finanziarie e degli eurocrati” e un difensore di “un’ Europa dei popoli e delle identità”.