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Il primo tuffo al cuore? Quando si entra, di giorno o con le tenebre, nella sede della più importante retrospettiva mai dedicata a Mario Dondero, partigiano, giornalista e poi grande, grandissimo fotografo. Le sue fotografie, da quelle dell’inizio degli anni ’50 alle più recenti, si trovano infatti alle Terme di Diocleziano, nelle Aule Grandi: un luogo unico al mondo a due passi dalla stazione di Termini, poco conosciuto ai romani stessi, che lascerà i visitatori a bocca aperta prima ancora di iniziare a vedere le immagini di questo piccolo grande uomo, classe 1928, apparentemente dotato di nove vite. Dondero è stato su tutti i teatri di guerra possibili e immaginabili, durante o dopo, ha conosciuto e fotografato pittori,registi, attori , grandi studiosi, protagonisti politici di ogni latitudine, ma ha ritratto anche e soprattutto decine e decine di momenti quotidiani, quei piccoli momenti di cui di non resta mai traccia dopo che sono accaduti.
Un uomo che legge ad Algeri, un altro che parla con i piccioni. Un matrimonio di gente comune a Parigi, un ragazzo e una ragazza innamorati in un “trani” di Milano, giovani infreddoliti che vendono l’Unità (giornale in cui Dondero ha lavorato all’inizio della sua vita professionale) nelle campagne emiliane, ragazzini del liceo che fumano la prima sigaretta a Derry. Vecchi partigiani, un ex miliziano che mostra la fotografia incorniciata di quando combatteva per il Fronte Popolare, campesinos, pescatori portoghesi ai tempi di Salazar, operai in Italia e in Francia, la Settimana Santa in Andalusia, l’alba del carnevale di Rio con la regina che torna stanca nella sua povera favela, un dolorante villaggio del Mali, un gitano che parla con la moglie e i bambini attraverso le grate di una prigione. E l’incredibile pied-noir addormentato su una panca del metrò di Parigi, quasi divorato dal sorriso della donna di un poster pubblicitario: non per nulla è questa l’immagine sul manifesto della mostra romana.
Dal ritratto di Pasolini con la madre alla fotografia de Il popolo della sinistra a Parigi nel 1959, quello che balza agli occhi è che Dondero non solo non è mai interessato allo scoop ma neppure alla composizione o all’eleganza, al lato più estetizzante del suo lavoro. E non stupisce che il suo nume tutelare sia stato più Robert Capa che Cartier-Bresson. Semplicemente la fotografia per lui è un modo per rapportarsi con gli altri, per conoscerli, per “accarezzarli” con la assoluta empatia, per entrare con loro e con noi nel tempo fluido della vita . Noi siamo là con lui, come se non fosse allora ma adesso. Siamo nell’immagine di Algeri appena liberata, con la scritta sul muro “l’avenir appartient à la jeunesse”, siamo nella Praga di Dubcek, ritratta fino al giorno dell’arrivo dei carrarmato sovietici.
Ecco, di qualsiasi opera di Dondero, si percepisce subito l’insopprimibile umanità. “Sa, io non sono cinico e non credo nel cinismo in questo mestiere”, diceva la sera dell’inaugurazione, mentre da umile e instancabile folletto autografava cataloghi a destra e sinistra. Niente di più vero. Il suo è uno sguardo delicato e affascinato sul mondo, sempre colmo di rispetto e di curiosità. E’ lo sguardo di un uomo che ha detto un sì pieno alla vita e un no forte alle ingiustizie, fin dalla prima giovinezza. Che non si è curato di conservare i negativi e ha sempre avuto in orrore il senso degli affari, come racconta lui stesso nel catalogo della mostra (Electa).
“Le cose devono essere fatte gratis, le foto devono essere regalate agli amici e ho sempre pensato che fare foto è come raccogliere denaro per terra, almeno con il tipo di foto che faccio io, foto di piccole osservazioni umane che devono denunciare grandi verità'” . Immagini “rubate” al prossimo, occasioni che ti offre la vita accolte con gioia.
Mario Dondero, uomo di sinistra, ha iniziato con “una specie di rabbia sociale” nel periodo del nostro dopoguerra, quando il reale irrompeva in tutte le arti, anche le più alte. E da allora è stato sempre dalla parte dei più deboli, che siano gli afgani negli ospedali di Emergency o i lavoratori dei moli nel più recente progetto sul porto di Genova. La più sfolgorante bellezza naturale non gli interessa se non c’è nessuna presenza umana. Ovvio, per chi lavora come lui. ” Fare le foto in fondo è un bellissimo modo per stare insieme agli altri” racconta ancora nel catalogo. “Mi sembra di avere raggiunto una specie di complicità con molte persone, in tutto il mondo”. E noi usciamo dalla sua bellissima mostra con gli occhi pieni di una delle sue foto più luminose: “l’uomo che voleva raggiungere la luna”, Festa del maggio, rito arboricolo millenario, Accettura, Lucania, 1994.
Mario Dondero, Museo Romano alle Terme di Diocleziano, Roma, fino al 22 marzo 2015.
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