La crisi del multiculturalismo

L’idea di cittadinanza, in Francia e altrove, va ripensata, per diventare una categoria davvero inclusiva, che porti a un vero senso di condivisione

In una dialettica tra vivi non sarei mai Charlie Hebdo. In una dialettica tra vivi e morti ammazzati potrei esserlo, come potrei essere Naji Ali, il fumettista palestinese padre di Handala, il personaggio raffigurato sempre di spalle nel tentativo di ritorno nella propria terra e per questo simbolo di una diaspora minore.

Anche Naji Ali fu sparato, nel 1987 a Londra dove era in esilio. Potrei anche non essere Charlie, come ha spiegato Dyab Abou Jahjah, rivendicando il diritto di dissentire da una satira intrisa di facilonerie, senza per questo dare alcun adito all’idea che si possa ammazzare per aver detto qualcosa di profondamente sbagliato.

Io non voglio essere Charlie Hebdo, non lo voglio essere senza essere musulmano, ma da laico non fondamentalista. Perché ho l’impressione che in occidente, e in modo particolare in Francia negli ultimi anni, il laicismo abbia sviluppato anch’esso una forma di fondamentalismo. Un integralismo che come tutti gli integralismi scava ed edifica una trincea verso l’altro, perdendo la bussola dell’umanesimo e tradendo la propria origine illuminista.

L’eccezione francese

Paese del tutto particolare la Francia, rispetto alll’Italia partecipò con meno entusiamo alla guerra in Afghanistan post 11 settembre. Si sottrasse alla guerra in Iraq del 2003 divenendo quasi punto di riferimento per il movimento pacifista che andò colorando balconi e finestre con le bandiere arcobaleno. La Francia non ha mai smesso di esercitare una pesante egemonia diplomatica in paesi che un tempo furono colonie; è il caso della Libia, dove ha contribuito fisicamente all’eliminazione di Gheddafi lasciando un vuoto riempito dalla guerra civile.

Ingerenze continue caratterizzano la politica estera in Algeria, Tunisia, Marocco, Siria e Libano, dove il paese che ostenta il maggior tasso di laicismo nei confini nazionali fa lì da protettore alle istituzioni ed enti confessionali cristiani, contribuendo, così, alla mancata nascita di una cittadinanza scevra da caratterizzazioni confessionali.

Ed è proprio sull’idea di cittadinanza che la Francia vede corrodere al proprio interno la presunta idea di stato multiculturale. L’esasperazione della politica di inserimento graduale nel proprio tessuto sociale, la continua distinzione tra immigrati di prima, seconda e magari terza generazione, quasi come se si trattasse di una quarantena culturale, ovvero dell’imposizione del logoramento dell’identità originaria in cambio di una nuova somministrata a rate, dove si richiedono mansioni di second’ordine nel mercato del lavoro per altrettanti diritti di terzo, quart’ordine.

Il recente vincitore del premio Cervantes, lo scrittore Juan Goytisolo, ama ricordare come la distinzione in generazioni tra migranti assomigli alla differenzazione che gli spagnoli facevano in America Latina tra purosangue e convertiti al cattolicesimo. Il processo di presunta inclusione mira a fratturare, dividere le identità. Crea polarizzazioni multiculturali dimenticando che di per sé la cultura è il luogo del compromesso, votata alla mutazione, alla contaminazione, come fosse una lingua.

Satira e rispetto

Lo scrittore arabofrancese, e non francese di origine araba, Ahmed Djouder, nella propria biografia intitolata “Disintegrati – storia corale di una generazione di immigrati” racconta come i francesi siano innamorati della parola intégration perché li fa sentire capaci di domestiquer (addomesticare) gli stranieri. Djouder confida: «detto fra noi, chiederci di integrarci dopo che siamo qui da due, addirittura quattro generazioni, è una vera presa per il culo». Tocca all’Europa accettare di essere pluriconfessionale, pluriculturale e rivendicare così la propria vocazione illuminista.

Non ho mai apprezzato Charlie Hebdo, ho sempre considerato inopportuno raffigurare il viso del profeta di una religione che inevitabilmente assolve il ruolo di tenuta identitaria, sociale e culturale di un gran numero di oppressi del pianeta e di subalterni nelle nostre città. Non sono contro le blasfemie, sono venuto su con Punk Islam dei Cccp e con Rock the Casbah di Joe Stummer, credo nella contaminazione ma non nel logoramento delle culture.

Amo la satira e tra le vittime del massacro parigino c’è uno tra i miei disegnatori preferiti di sempre, Wolinski, appartenente a una generazione che rivendicava il diritto della classe operaia a fare l’amore con le belle donne e in maniera giocosamente promiscua e lussuriosa. Vorrei che l’aver innaffiato per anni interi villaggi iracheni di fosforo bianco, uccidendo indiscriminatamente civili, crei il medesimo sdegno dell’assassinio della redazione di Charlie Hebdo, perché l’umanità è una e le dichiarazioni di sapore voltairiano di queste ore mi risultano decisamente posticce. Vorrei che questo articolo non abbia tra le immagini una copertina di Charlie raffigurante Maometto, magari avrà qualche lettore in meno, ma rispetterà molta umanità in più.



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