A Parigi il bagliore di una cittadinanza europea

Rire bordel de dieu. Il primo cartello che mi salta agli occhi racconta uno degli spiriti che muovono questa marea di folla, facendo il paio con un altro, geniale: Dieu est humour.

Un milione, chi dice due, di cittadini scesi in strada a Parigi per difendere la libertà d’espressione in primis ma poi anche tutte le altre. Ci sono lunghi momenti di silenzio, ogni tanto qualche slogan, siamo tutti francesi, siamo tutti ebrei, siamo tutti mussulmani, siamo tutti Charlie Hebdò, scandisce a un certo punto tutta Place de la Republique già piena come un uovo, e siamo solo alle due del pomeriggio. Ma il tono è dato, questi cittadini non vogliono nessuna guerra di civiltà, nè dispiegata nè larvale. Tantomeno una guerra di religione: l’umanità prima della religione scrive un altro nel suo personale cartello. Sono tutti fatti in casa persona per persona, famiglia per famiglia questi manifesti, cartelli, disegni, maschere. Chi fucilando i giornalisti e disegnatori di Charlie Hebdò pensava di spaventare, se non mettere in ginocchio l’intera Francia, ha ricevuto oggi una risposta inequivocabile, questi uno o due milioni di persone sono qui a difenderla la loro e nostra libertà. La grande matita che portano a spalla recita I am not afraid, un’altra matita è stata posta a Caen, capitale della Normandia, sul monumento che ricorda la vittoria contro il nazismo, non a caso. Manco a dirlo quasi tutti scrivono da qualche parte je suis Charlie, qualcuno aggiunge sotto je suis la Republique. Qualcun altro lo declina così: on est tous des juifs Charlies. Più complesso un altro scrive quasi un manifesto politico: io disapprovo quel che dici ma darei la vita per continuare a non essere d’accordo con te. Sempre su questo crinale della differenza rispetto al quasi unanime Charlie, un altro innalza un cartello in corsivo: coltiviamo le differenze restiamo uniti. E subito arriva: io sono ebreo, io sono mussulmano, io sono poliziotto, io sono Charlie. Ma ci sono anche i militanti più duri: Kobane Charlie meme combat. Nè manca il cartello ideologico: il capitalismo e le religioni totalitarie ci dividono, l’arte e la libertà ci uniscono. Ma se qualcuno di quelli che spaccano il capello in quattro, in francese si dice: uno che conta le zampe delle mosche, ci tenesse a distinguersi ebbene faccia pure sapendo che: abbiamo tutti in noi qualcosa di Charlie. Nella manifestazione – ammesso che si possa ancora chiamare così un tale gigantesco evento – ci sono anche i sopravvissuti della redazione di Charlie Hebdò con i famigliari amici compagne e compagni delle persone fucilate dai fascisti religiosi, come li ha chiamati il caporedattore del settimanale satirico (e parecchio di più).

Un momento d’emozione intensa quando Hollande è andato ad abbracciarli, perchè certo Charlie era in piazza, ma quei giornalisti e vignettisti anarchici iconoclasti e geniali sono scomparsi, per sempre. Non è un vuoto che si colmerà, perchè una tale intelligenza collettiva costruita fin dal maggio ‘68 in oltre quarantanni di amicizia solidarietà empatia, è stata amputata in modo irreversibile.

Forse nascerà qualcosa di nuovo e diverso, altrettanto libertario critico e geniale speriamo, ma non sarà facile. L’elaborazione di questo lutto sarà lunga e difficile, dolorosa non solo per i più intimi ma per tutti noi che crediamo in una cittadinanza costituita attorno alle famose tre parole decisive Liberté, Egalité, Fraternité. Nonchè convinti che una risata seppellirà quelli che vogliono annichilire il libero pensiero, e non bastasse la risata attrezzeremo un bulldozer. Una cittadinanza europea che forse oggi ha avuto un primo lampo di luce a Parigi, e dovrebbe darsi una Costituzione in tempi non biblici, direi brevi perchè è urgente riconoscersi cittadini europei in una comune convivenza civile. I capi di stato e di governo della UE c’erano tutti, credo e non solo loro, certo alcuni come il primo ministro turco non proprio alfieri della libertà di stampa, piuttosto il contrario. Epperò quell’immagine di tutti loro in strada, con il Presidente della Nigeria a braccetto con un primo ministro israeliano piuttosto rigido e a due metri Abu Mazen, poi via via tutti gli altri era del tutto nuova con un forte impatto simbolico. Così come questi potenti uomini e donne sulla strada in fila aspettando fuori da ogni protocollo di salire sugli autobus che dovevano portarli alla manifestazione, davano un’impressione di umanità comune meno ingessata e più simpatica, più aperta, senza illudersi che questo spiraglio diventi una porta aperta ai cittadini. Anzi si potrebbe che i primi atti dopo questa manifestazione parigina siano volti a limitare le libertà, per esempio quella di muoversi liberamente nel territorio della UE e sarebbe una sciagura che rinascessero le frontiere dentro l’UE, con altre manie sicuritarie potrebbero prendere quota e forma.
Ma di questo e altro ci sarà da discutere nel tempo a venire.

Qui oggi prima di concludere vogliamo segnalare altre poche cose. La prima una curiosità, abbiamo visto in corteo Mario Monti a due passi da Martine Aubry in fitta conversazione, l’uno liberista sfegatato l’altra socialista di sinistra artefice della riduzione d’orario a 35 ore settimanali. Quindi rispetto alle italiche vicende abbiamo ascoltato una intervista a Romano Prodi nel cortile dell’Eliseo fatta con tono e taglio presidenziale, forse non significa nulla, forse è un posizionamento rispetto alla nostrana corsa per il Quirinale. Inoltre la Francia oggi è stata percorsa da altri cortei molto partecipati, sessantamila persone a Rennes e a Marsiglia, duecentomila a Lione, centomila a Bordeaux ecc.. fino a contare un milione e passa di manifestanti oltre a quelli parigini. Infine andando oggi pomeriggio in Rue de Rosiers, il cuore del quartiere ebraico, tutti i locali, caffè, bar, ristoranti erano aperti, le persone passeggiavano e chiaccheravano, un paio d’orchestre facevano musica. La paura, che pur serpeggia, non è però dilagata, non è diventata panico, anzi oggi si è trasformata in un grande momento di comunanza, solidarietà, direi amicizia civile perchè on est tous Charlie Hebdò.



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