L’identikit del prossimo Presidente della Repubblica.
Il 16 gennaio del 1994 il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro scioglieva le Camere e finiva la Prima Repubblica.
21 anni fa, oggi. Tangentopoli come una mina a frammentazione, suicidi veri o sospetti, una formazione nell’ombra pronta a presentarsi, era la vigilia dei venti e più anni dell’uomo de ‘L’Italia è il Paese che amo’ e del suo mediatore, poi condannato, Marcello Dell’Utri.
L’Italia aveva votato per un maggioritario misto nel 1993, fine del proporzionale, fine della Dc, fine del Psi, di grandi formazioni di scuola e pensiero infangate dal finanziamento occulto, per le casse del partito e per i propri interessi in un sistema che si è semplicemente evoluto, in una continua e perenne metamorfosi.
21 anni dopo, nell’era di Matteo Renzi, finisce in maniera anticipata il secondo mandato di Giorgio Napolitano con le dimissioni rassegnate nelle ore scorse e una situazione sociale, occupazionale, politica molto confusa. Dove però, magicamente, i nomi di molti dei papabili alla poltrona del Quirinale erano già noti e conosciuti 21 anni fa.
Oggi non viene dimissionata, come 21 anni fa, una classe politica, come si tentò – oggi che conosciamo il passato dobbiamo ricordarci che allora non potevamo intuire il futuro – in quel momento, ma è finalmente libero un ruolo importante nella stagione complicata di riforme pesanti come quella della legge elettorale e delle velleità di stravolgimento della Costituzione.
Potrà cambiare davvero qualche cosa? Aiuta una dichiarazione che viene dalla Grecia, dove si vota il presidente, appunto. Le parole del destro Mariano Rajoy, premier spagnolo, che in una visita, a uso interno elettorale, ha detto: ‘Prometer algo que es imposible no tiene sentido y además enera frustración y muchos problemas’.
Il pensiero è volato alle promesse di trasparenza del suo partito in campagna elettorale e alle decine di scandali e arresti di questi anni. Ma lui si rivolgeva a Syriza, quindi a nuora dove la suocera è Pablo Iglesias di Podemos, per cercare di disincentivare il voto che cerca persone coerenti con degli ideali diversi dal mercato, liberismo, istituzioni soffocanti e limitazione delle libertà dei cittadini.
Qual è il presidente che vorremmo, ci chiediamo, quale presidente potrebbe essere davvero utile a un paese in crisi sociale e di valori con il 44% della disoccupazione giovanile, con gli stessi problemi che rimangono o peggiorano.
Molti citano Sandro Pertini negli ultimi tempi, su diversi argomenti. Pertini, la pipa sollevata nella notte mundial per molti, ma in realtà il partigiano che conobbe prigione e sofferenze e fece insieme ad altri della sua stessa fibra la trama democratica di questo paese antifascista, Pertini viene ricordato spesso perché fu sobrio e bonario, ma soprattutto credeva in un ideale di libertà e aveva lottato armi in pugno per difenderlo.
Se andate a leggere i toto-presidente rimarrete divertiti: liste di decine di persone sopra i 50 che siano note per qualche merito, titolo, o appartenenza politica. Una cabala inutile, perché i giochi li faranno in pochi intorno a un tavolo e quando lo si scrive pare quasi di sentire il solletico al naso della polvere dei velluti color porpora.
Accettando la provocazione e dichiarando apertamente di voler giocare – un detto di giovani militanti ben organizzati era Divertimento e Lotta – disegniamo il nostro Presidente.
Il nostro Presidente è fra la gente, non vive prigioniero del Quirinale, come impone il protocollo, perché è un Presidente ribelle.
Il nostro Presidente parla più alla gente e meno ai notabili dei partiti e quando parla con i notabili li riporta con i piedi per terra (anche perché non sta al Quirinale, quindi magari prende anche la metropolitana).
Il nostro Presidente infrange l’etichetta delle relazioni internazionali e non viaggia nei Paesi in cui ci si macchia di delitti contro popoli o contro i diritti universali dell’individuo.
Il nostro Presidente boccia e rimanda in Parlamento le leggi che favoriscono le imprese e che violentano i diritti dei lavoratori o che cercano di uccidere la contrattazione collettiva.
Il nostro Presidente non avrà sottoposti che possano anche lontanamente immaginare di realizzare una Trattativa con le mafie.
Il nostro Presidente è garantista e ha a cuore il mondo dei detenuti, la condizione inumana del sovraffollamento, quella delle leggi che ingolfano le celle e fa di tutto perché quel tempo di condanna sia anche e comunque umano. (Se state pensando a Luigi Manconi fate bene).
Il nostro Presidente va a parlare con le comunità della ValSusa e ci va senza tre reparti di celere, ma con i calzettoni e gli scarponi. Parla con loro, non li bastona. Presiede il Csm e quindi spiega al potere giudiziario cosa è una lotta di resistenza e cosa è terrorismo.
Il nostro Presidente con 14 anni di ritardo chiede scusa per chi ha sofferto la repressione delle forze di polizia al G8 genovese.
Il nostro Presidente non firma leggi che prevedano reati di clandestinità, né leggi che contengano scappatoie per evasori fiscali.
Il nostro Presidente crede nell’Europa,in quella delle persone e della cultura, dello scambio e combatte la dittatura dell’Europa fortezza, quella delle banche e dei pensieri deboli.
Ma soprattutto, il nostro Presidente crede così tanto nel futuro che blocca, ove possibile, leggi che sperperino il denaro pubblico per armamenti, per gli F-35, per le grandi opere inutili. Chiede, esige e ottiene che quei fondi siano dati ai vecchi e ai bambini, scuola e sanità, alla ricerca.
Rompendo ogni schema. Ogni protocollo. Ma conquistando la vera Presidenza della Repubblica italiana, che non vuol dire – anche obtorto collo – essere prigionieri del Quirinale, ma compiere una liberazione.
Quello sarà, ahimè scriviamo sarebbe, il nostro Presidente.
Promettere o scrivere l’impossibile, direbbe adesso un perfido e sogghignante Rajoy, genera frustrazione e molti problemi.
Eppure non è vero il contrario? Senza l’utopia, che non è sinonimo di impossibile ma di ancora non attuato, non si genera forse frustrazione più grande e problemi più schiaccianti?