di Richard Glatzer e Wash Westmoreland , con Julianne Moore, Alec Baldwin, Kristen Stewart, Kate Bosworth, Hunter Parrish. Nelle sale dal 22 gennaio
Di Irene Merli
Il film inizia con una cena di famiglia per festeggiare i 50 anni di Alice, brillante docente universitaria, moglie e madre felice, donna dalla splendida maturità con una cascata di capelli color fuoco.
Capiamo subito di trovarci davanti a una persona fortunata: Alice ha tutto quello che desiderava, una cattedra di linguistica alla Columbia University e una fama internazionale, un gran bel matrimonio e tre
figli realizzati ognuno a modo suo.
Ma proprio nel momento in cui la sua vita è al massimo della pienezza, qualcosa dentro di lei si sgretola. Durante una lezione universitaria a metà di una frase dimentica un termine importante e, imbarazzata, si ferma ad aspettare di trovare un sinonimo.
Qualche tempo dopo non ricorda più il numero di uova per un pudding natalizio che prepara fin da bambina. Una mattina, mentre fa il solito jogging attorno al campus, si perde, non riconosce più i luoghi.
Di nascosto dalla famiglia, Alice fa dei test da un neurologo. Teme di avere un tumore al cervello, ma la diagnosi sarà ancora più devastante e spietata: Alzheimer precoce, una rara forma ereditaria, che ha il 50 % di possibilità di essere trasmessa ai figli.
A questo punto Alice parla col marito, poi con la famiglia riunita ed attonita. E inizia la sua lotta contro una malattia feroce che cancella inesorabilmente la forte identità che si era costruita, i tanti ricordi, la brillante intelligenza, tutto quello che faceva di lei una donna speciale…
Tutto quello che “era” lei. Una battaglia contro il crescente terrore di perdere se stessa. Ma Alice ha una grandissima forza di volontà, l’ha dimostrato fin da ragazza, e finché può cercherà di non arrendersi.
Fin qui, una spaventosa tragedia ma nulla di nuovo, penserete. Una storia di tanti, nell’Occidente. Se non fosse che “Still Alice”, tratto dal best seller “Perdersi” di Lisa Genova, è un film costruito sul punto di vista della protagonista, che segue da vicino il suo stato d’animo
E la protagonista è una straordinaria Julianne Moore, che riesce a farci spettatori dell’escalation di una patologia crudele con un dosaggio perfetto di segni espressivi, senza un briciolo di maniera né una sbavatura. Il dramma nasce e progredisce sul volto di Julianne Moore, che per questa parte ha già in tasca una meritatissima nomination per gli Oscar.
Non solo. “Still Alice” non indulge in alcuna forma di patetismo o di esibizionismo. Un equilibrio raro per un tema facile alle derive mélo-miélo, che ci permette di capire il dolore muto e introvertito dell’Alzheimer senza mai precipitarci nell’orrore fisico.
E’ come se la nostra fragilità fosse protetta, e questo ci aiutasse a non distogliere gli occhi davanti alla lotta quotidiana di Alice, al suo corpo esile che annaspa cercando di risalire la china, di resistere, di restare legata il più a lungo possibile alla persona che era.
Nel finale, potente e inatteso, accanto ad Alice ormai persa nella malattia vediamo la figlia più piccola, l’unica senza laurea e con il desiderio di fare l’attrice. Lydia ( Kristen Stewart), cura la madre leggendole letteratura drammatica, perché spera che la memoria della bellezza agisca sui circuiti emotivi. E forse la capacità di amare non impara mai a dimenticare se stessa, anche quando le altre luci si sono spente.
N.B. Uno dei due registi, compagni nell’arte e nella vita, quando è arrivata la proposta di girare questo film aveva appena ricevuto la diagnosi di Sla. E quando è iniziata la pre-produzione riusciva solo a muovere le dita. Ma è andato lo stesso sul set ogni giorno, esercitando una grande influenza sull’intera troupe. Perché era proprio di quello che il film parlava.
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