Un giornalista marocchino condanna la violenza, ma non accetta che l’Islam e i suoi fedeli debbano essere oggetto di satira
tratto da hespress
traduzione a cura di Camilla Pieretti
Io non sono Charlie Hebdo…perché, se così fosse, dovrei accettare con mente aperta che dall’altra parte ci sono degli estremisti che dicono di voler vendicare il Profeta, che Allah l’abbia in gloria. Dovrei accettare le loro rivendicazioni, le loro bombe, i loro coltelli e le loro mitragliatrici. Dovrei dimenticare che, poiché l’universo è basato sul principio dell’equilibrio, a un’estrema libertà corrisponde un’estrema chiusura: dunque gli estremisti sono sempre al servizio l’uno dell’altro, per quanto inconsapevolmente.
Non sono Charlie Hebdo perché, anche se condanno il crimine perpetrato contro i fumettisti e l’atto terroristico subito dal giornale “satirico”, non sono d’accordo con quello che la rivista ha pubblicato; ma, mentre io soffro per l’incapacità di alcuni di dare una risposta adeguata, altri scelgono la soluzione più vile, ricorrendo all’omicidio. Allo stesso modo, non accetto che si sminuiscano le credenze altrui, si prendano in giro i simboli religiosi e che i giornali vengano trasformati in discariche pubbliche che raccolgono ogni genere di spazzatura con il pretesto della libertà di pensiero.
Non sono Charlie Hebdo semplicemente perché non sono estremista e, così come condanno gli estremisti religiosi come ISIS, al-Qa’ida, Boko Haram e le altre organizzazioni che uccidono e ricorrono alla violenza, allo stesso modo condanno gli estremisti della libertà di espressione, coloro che hanno dimenticato che la libertà merita questo nome solo quando va di pari passo con la responsabilità…e ricordo a quegli estremisti che perfino lo Stato francese, il cosiddetto “paese del pensiero illuminato”, ha proibito la diffusione di una rivista satirica che prendeva in giro le vittime di un incendio e vieta ancora oggi qualsiasi pubblicazione che metta in dubbio l’Olocausto.
Non sono Charlie Hebdo perché, se così fosse, dovrei accettare di trasformare la piattaforma mediatica in un’arena di diffamazione e calunnie nel nome della libertà; accettare che le informazioni, da fonte di notizie, istruzione, educazione e intrattenimento assumano un nuovo ruolo, quello della diffusione dell’odio tra la gente; accettare che i valori umani possano essere venduti e comprati al solo fine di aumentare le vendite e potersi vantare del successo della propria impresa.
Non sono Charlie Hebdo perché, benché io creda che il diritto alla vita sia uno dei principali diritti umani e che nulla possa giustificare l’omicidio – specialmente da parte di qualcuno che si dichiara un credente migliore di noi – e benché ritenga che la libertà individuale finisca dove comincia quella degli altri, penso che il nobile Profeta a cui milioni di persone in tutto il mondo rivolgono le proprie preghiere, di cui imparano a memoria gli hadith e per il quale versano lacrime appassionate, non vada trasformato in un ridicolo scarabocchio che ne denigra il messaggio e il ruolo.
Piuttosto sono il poliziotto Ahmed Merabet, che ha perso la vita per difendere persone diverse da questi milioni; sono il soccorritore inglese David Haynes, giustiziato dall’ISIS per aver portato aiuto ai più sfortunati; sono tutti i giornalisti che sono stati uccisi dall’ISIS per aver cercato di far sapere al mondo come vanno davvero le cose; sono la giornalista russa Anna Politkovskaja, ammazzata dalle pallottole di chi ha in odio la verità; sono Omar Benjelloun, martire del giornalismo marocchino, sono, e sono, e sono…ma non sono Charlie Hebdo.
In sostanza, io sono contro il terrorismo, la criminalità, l’omicidio e l’estremismo religioso, ma allo stesso tempo non sono Charlie Hebdo.