Mentre a molte persone più anziane consiglio un ripasso approfondito, ai giovani auguro di incontrare bravi insegnanti (che per fortuna esistono ancora) capaci di trasmettere l’importanza della memoria. Solo attraverso la coscienza storica che si raggiunge, oltre che con la propria sensibilità, con lo studio, si può capire come demolire il marcio che caratterizza alcuni momento storici del passato per costruire le basi di una umanità migliore.
Questa serie di articoli è il mio contributo per la Giornata della memoria (il 27 gennaio, giorno della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, ndr) dedicata a tutte le vittime della Shoah. Ebree e non solo: ce ne sono alcune che ancor oggi non trovano il giusto spazio nei libri e sui banchi di scuola. Come i disabili. Il loro sterminio non fu solo la parte scura e misconosciuta dell’Olocausto. L’eliminazione sistematica di più di settantamila handicappati da parte del Terzo Reich fu la fase iniziale della Shoah, una sorta di macabra prova generale di quello che sarebbe poi accaduto ad ebrei e zingari.
Con l’ascesa al potere nazista, il 30 gennaio 1933, cominciarono le epurazioni “per la difesa della razza”. Le teorie eugenetiche non erano certo nuove: affondavano le loro radici in quelle sull’ereditarietà e sull’evoluzione della specie, che animarono tutto il diciannovesimo secolo e i primi anni del ventesimo. Le prime vittime di questo folle progetto, messo concretamente in atto per la prima volta, furono i disabili: le tecniche di annientamento, attraverso i vari stadi dell’ostracismo, internamento, deportazione ed eliminazione fisica, furono prima provate su di loro.
Tutto cominciò con la legge sulla sterilizzazione, a pochi mesi dalla presa di potere di Hitler e dei suoi. Era il 14 luglio 1933. Il Reich aveva appena firmato un accordo economico con il Vaticano. Per evitare di incrinare i rapporti con la Santa Sede, Hitler attese fino al 25 prima di promulgare la nuova norma. Il 18 ottobre 1935 introdusse la legge sulla salute coniugale, che impediva i matrimoni e la procreazione tra persone disabili, favorendo una serie di pratiche abortiste, previo consenso della donna, per quei soggetti affetti da patologie tra cui cecità, ballo di San Vito, alcolismo, epilessia. A capo di tutto questo sistema c’era il medico generale del Reich, Gherard Wagner, sostituito poi negli ultimi anni dal vice Leonardo Conti, di chiare origini italiane.
Le pratiche di sterilizzazione venivano inoltrate dai singoli ospedali ad una specifica commissione territoriale composta da medici e membri del Partito, che ne vagliava la positività. Se si guarda a un dato statistico, ci si accorge come le donne fossero in maggioranza rispetto agli uomini e le pratiche di sterilizzazione fossero improntate più a un criterio di utilità sociale che a una vera e propria difesa della razza.
A questo proposito appare calzante l’esempio della diagnosi effettuata su Erwin Ammann, maschio ventottenne del Tirolo, incluso nella categoria delle persone asociali e proposto per la sterilizzazione.
Il test su Ammann dette esito negativo e un funzionario della commissione riuscì a provare l’utilità sociale del soggetto, rivelando la sua effettiva capacità lavorativa e la possibilità di svolgere mansioni manuali complesse. Questo a riprova della effettiva discrezionalità delle commissioni esaminatrici. Ciò nonostante tra i soggetti proposti per la sterilizzazione, guardando il dato relativo agli anni tra il 1933 e il 1938, solo il 7,2% delle domande fu respinto, salvo la possibilità di appello degli ospedali richiedenti.
Il 1938 segna comunque uno spartiacque nella politica eugenetica nazista. Se si assiste ad un primo picco delle sterilizzazioni dovuto alla campagna espansionistica di Hitler, dopo l’annessione dell’Austria e dei Sudeti, si assiste anche all’inizio di quell’operazione di eutanasia collettiva, tenuta strettamente segreta, e partita direttamente dalla cancelleria privata del Furher, che culminerà nel 1939 con l’inizio del famigerato progetto T4. Ma questa è un’altra storia: la prossima puntata.