Il peso dell’anima

Shaimaa Al-Sabagh, attivista egiziana, chiama in causa tutti noi sul destino dell’Egitto e della libertà
Il peso dell’anima, secondo alcuni, è di 21 grammi. Perché quello è il peso che un corpo perderebbe quando la vita si spegne. L’attimo in cui si lascia questo mondo è letterario, ma in realtà spesso puzza di sangue ed è amaro di lacrime.

di Christian Elia

La foto che ha reso immortale Shaimaa Al-Sabagh, insanguinata, tra le braccia del marito, uccisa al Cairo mentre commemorava la rivoluzione del 2011, è un documento doloroso. L’attimo in cui la vita lascia questa giovane donna, assassinata senza pietà, ci inchioda tutti a quel frame, colto dalla foto. Uno scatto che si conficca nella nostra indifferenza.

Perché quello che succede al Cairo, dove le vittime delle proteste di questi giorni sono almeno 17, ci riguarda tutti. Siamo tutti Shaimaa, siamo egiziani, siamo coinvolti in quel che sta accadendo dopo piazza Tahrir in Egitto.

Questa donna, attivista socialista, è uscita di casa. Per ricordare, per esercitare la propria esistenza nel senso vero e profondo, quello della partecipazione. Basta guardare quel che accade, le immagini sono a disposizione di tutti quelli che le vogliono guardare. Non c’è violenza, non ci sono scontri, ma compagni che portano dei fiori.

E si spara. Shaimaa Al-Sabagh viene colpita, il sangue le scorre addosso. Il marito è vicino a lei, la sostiene, si aggrappa a lei e alla sua vita, la tiene stretta, per non farla scappare via. Ci siamo anche noi in quella foto.

Siamo tra coloro che vanno in piazza, anche quando tira una brutta aria, ma stiamo facendo finta di niente. Ignorando un golpe militare, che ha cancellato il risultato elettorale in Egitto, le prime elezioni libere in Egitto, va ricordato. Shaimaa Al-Sabagh ci ricorda questo, ci ricorda che stiamo ignorando una repressione che neanche il peggior Mubarak si era mai spinto a rendere così esplicita.

Siamo nell’abbraccio di una persona che vede morire la donna che ama, siamo nei suoi compagni che corrono disperati per salvarla. Siamo quelli che stanno a guardare, smarriti o indifferenti. Se smettiamo di sentire quel sangue come nostro, a Parigi o al Cairo, è la nostra la anima che vola via.

Il regime militare di al-Sisi, al Cairo, trattato dal premier italiano Renzi e da tutti gli altri leader come un partner affidabile e credibile, venduto sul mercato dei media come un campione di laicismo che però perseguita gli omosessuali per blandire i credenti in patria, è un problema che non riguarda solo l’Egitto.

Riguarda il Medio Oriente e il Nord Africa, riguarda il mondo islamico, riguarda l’inganno che l’Islam politico e il radicalismo armato siano la stessa cosa. Riguarda l’idea che la libertà sia solo quella che si condivide e non lo spazio stesso dell’esprimere liberamente opinioni, anche avverse.

Shaimaa Al-Sabagh è una di quelle vittime che non è uscita di casa per diventare un’icona. Non ci pensava proprio. Magari dopo la manifestazione doveva andar a far la spesa. Era una cittadina, una persona che sapeva che le proprie opinioni non si possono difendere solo in casa. Di lei e di tutti gli altri, per tornare ad avere un minimo di credibilità di fronte all’opinione pubblica islamica, bisogna chiedere conto al governo egiziano. Adesso.

 

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