C’era una volta a Sarajevo una scena artistica particolarmente creativa e visionaria. Erano i dorati anni ’80, quando la Jugoslavia si avviava verso la sua fine, i nazionalismi divampavano e l’inflazione galoppava. Sarajevo però viveva una sbornia, che coincideva con una fioritura della scena culturale locale, e con le telecamere di tutto il mondo puntate sulla città coperta di neve durante le Olimpiadi invernali del 1984.
Il giovane regista Emir Kusturica aveva vinto a pochi anni di distanza il Leone d’Oro di Venezia e la Palma d’Oro a Cannes con i film Ti ricordi di Dolly Bell? e Papà in viaggio d’affari, frutti del suo connubio con lo sceneggiatore e poeta Abdulah Sidran, suo concittadino.
La scena musicale fioriva, con una serie di gruppi musicali che divennero in breve popolari in tutta la Federazione; uno di questi, Zabranjeno Pušenje, raccontava piccole storie di ordinaria emarginazione, e rese popolare al di fuori dei suoi confini lo slang sarajevese, che mischiava le parole dei bassifondi a quelle del Corano.
Da alcuni dei membri di Zabranjeno Pušenje e di Bombaj Štampa, insieme ad altri studenti di teatro, nacque l’idea di creare una serie di sketch che mettessero alla berlina la società dell’epoca, i suoi miti ormai consunti, la borghesia benpensante, le nascenti tensioni politico-nazionali. Sullo sfondo l’esperienza Monty Python e un entusiasmo giovanile.
Gli sketch si rivelarono profetici e a distanza di pochi anni molte delle situazioni parodiate sarebbero veramente accadute: la città divisa, gli osservatori ONU, l’assedio. Darko Ostojić, quando lo intervistai nel 2008 per il documentario La resistenza nascosta. Viaggio nella scena musicale di Sarajevo, diede una definizione lapidaria dell’esperienza di Top lista: disse che il loro stesso surrealismo aveva portato i membri stessi a comprendere l’assurdo che di lì a poco si sarebbe manifestato in città meglio di come avrebbe potuto fare ogni mente portata al verosimile.
Zabranjeno Pušenje e Top Lista Nadrealista divennero simboli dello spirito di Sarajevo, dissacrante, autoironico, pungente, e trasformarono l’immagine della città, da provincia ai margini, a piccolo guscio fertile all’interno del quale fioriva una cultura alternativa a quella del centro.
La tragedia della guerra investì anche i simboli della Sarajevo che fu e sia la band che il gruppo satirico si divisero con lo scoppio della guerra.
I surrealisti che rimasero a Sarajevo continuarono a produrre sketch satirici in una città assediata in cui l’elettricità era razionata e mancavano i generi più essenziali. Ad andarsene a Belgrado fu invece Nenad Janković, alias Nele Karajlić, frontman del gruppo nonché protagonista di primo piano dei surrealisti, che scelse di stare dall’altra parte. Più tardi avrebbe iniziato una carriera musicale con la Smoking Orchestra di Emir Kusturica, che, nonostante abbia mantenuto nel nome un calco dell’originale sarajevese, si è dedicata a un genere ethno-folk. Le successive prese di posizione del regista hanno fatto identificare sempre più sia lui che il gruppo con una visione nazionalista e uno stereotipo orientalista dei Balcani, da esportazione.
Nele non è mai più tornato nella sua città natale che lo aveva incoronato giovane star del rock’n’roll e l’ha sempre ricordata in modo sprezzante nelle interviste. Anche se, a detta di una sua traduttrice, avrebbe ammesso in privato di sognare spesso Sarajevo. Finché nel 2014 ha pubblicato a Belgrado una biografia, “Fajront u Sarajevu”, in cui ha raccontato la sua verità, intrisa di nostalgia, per una città che sembra considerare morta dopo la guerra.
Mentre negli ultimi anni sono fioriti documentari su tutte le scene musicali delle repubbliche post-jugoslave, la storia della band più nota e originale di Sarajevo è stata coperta dal silenzio, forse per la sua frattura, troppo dolorosa per essere raccontata da uno che l’abbia vissuta dall’interno.
Ci ha pensato Bilo je jednom u Sarajevu (C’era una volta a Sarajevo), un documentario della giornalista britannica Jacky Roland, prodotto da Al Jazeera, che racconta la vicenda di Top lista nadrealista, mettendone particolarmente in rilievo i lati umani.
Filo conduttore del film è l’attesa di un incontro, rimandato da più di venti anni, tra Nele Karajlić, Branko Đurić (oggi affermato attore in Slovenia, ricordato all’estero per il ruolo da protagonista in No Man’s Land) e Zenit Đozić (produttore televisivo in Bosnia). Il documentario appare a tratti patetico nella sua insistenza sulla riappacificazione tra i tre e viene quasi da sperare che non arrivi un lieto fine posticcio. E’ molto americano nel cercare una linearità dove non c’è e ragiona con una logica post-Dayton applicata alla trinità dei surrealisti. E’ puerile la ricerca di una composizione della memoria che non può essere la soluzione duratura di nessun conflitto. Ha però il pregio di raccontare cinematograficamente una storia dal forte potere simbolico che ha tuttora un impatto emotivo nella cultura di massa locale.
E intanto la Sarajevo degli anni ’80 continua a far parlare di sè nella regione. All’inizio di gennaio Abdulah Sidran ha dichiarato in un’intervista che il vero Emir Kusturica sarebbe morto sulle montagne di Sarajevo difendendo la sua città e l’attuale personaggio pubblico sarebbe un suo sosia costruito appositamente dai servizi segreti serbi. Queste dichiarazioni tra il sensazionale e il simbolico fanno riferimento a un articolo uscito sul giornale “Dani” durante l’assedio, il cui testo pare fu scritto da Karim Zaimović, giovanissimo giornalista, scrittore e fumettista, ucciso da una delle ultime granate piovute su Sarajevo.
Oggi Emir Kusturica, trasformatosi in un campione di serbità dopo essersi ribattezzato in Nemanja, costruisce una finta città a Višegrad, che servirà, tra le altre cose, come set per la sua rivisitazione del romanzo premio Nobel di Andrić Un ponte sulla Drina.
Qualcuno potrebbe pensare che Ivo Andrić, bosniaco di nascita, cattolico di famiglia, belgradese d’adozione e tenace costruttore di ponti letterari tra le diversità della Bosnia Erzegovina si stia rivoltando nella tomba.
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