tratto da EastJournal
Il 23 gennaio è morto a Riyad il sovrano saudita Abd’ Allah, salito al potere formalmente dal 2005, ma che reggeva le sorti del regno già dal 1995, quando il suo predecessore Fahd aveva avuto un ictus. A succedergli è stato il fratellastro Salman, che soffre di demenza senile, anche se Abd’Allah prima della sua morte sembrava prediligere la successione da parte di un altro suo fratello, Murquin, di “soli” 71 anni.
Controversie ereditarie a parte, sono ben più inquietanti i problemi che si affacciano oggi alle porte della monarchia più conservatrice del mondo islamico, nonché più grande alleata dell’occidente in generale e degli Stati Uniti in particolare.
Primo fra tutti il Frankenstein dell’ISIS, che l’Arabia Saudita ha generosamente contribuito a creare, finanziando il suo leader al-Baghdadi come avamposto militante sunnita nel magma generale della guerra civile siriana, con l’obiettivo di buttare giù un presidente, Bashar al-Assad, dispotico sì, ma anche sciita, in amicizia con l’Iran e ba’athista (del partito laico e socialista Ba’ath, ndr) ma che è chiaramente sfuggito al suo controllo. Proprio per difendersi da questa forza dirompente che è l’ISIS, l’Arabia Saudita ha iniziato nel 2014 la costruzione di un muro di quasi 1000 chilometri che la separerà a nord dall’Iraq e che va ad aggiungersi al muro che costruì nel 2013 a sud, sul confine con lo Yemen.
Ma i punti di contatto tra Arabia Saudita e lo Stato Islamico non si limitano alla partita strategica che i Saud hanno giocato nel Medio Oriente attraverso i finanziamenti in funzione anti-sciita: riguardano anche l’ideologia che c’è dietro i due poteri, quello dei Saud e quello di al-Baghdadi.
Entrambi infatti si rifanno a un’interpretazione purista e rigorista del Corano e degli Hadith (i detti e fatti del Profeta, ndr), così come li lesse al-Wahhab, un teologo e riformatore del XVIII secolo: la lista dei reati punibili secondo la legge islamica rilasciata dall’ISIS il 16 dicembre scorso non casualmente è ricalcata sulla shari’a in vigore in Arabia Saudita.
Proprio dalla collaborazione tra il riformatore Muhammad Ibnal-Wahhab e il principe di uno dei clan presenti nella penisola arabica, Mohammad Ibn al-Saud, nasce lo stato dell’Arabia Saudita, un territorio conquistato per la prima volta nel 1744, con il tacito assenso dell’impero ottomano (che all’epoca controllava praticamente tutto l’attuale Medio Oriente e Nord Africa), ma poi riconquistato nel 1817 da Ibrahim Pascià. Nel 1902 Abd al-Aziz al-Saud, sempre del clan dei Saud, conquista di nuovo i territori di Riyad e poi di tutto il Najd, dando vita al terzo regno saudita, che ancora esiste, e adotta la visione islamica wahhabita sia come base etica dello stato che come fonte di legittimazione. La dottrina wahhabita, da strumento di hard power della tribù dei Saud, è diventato nel tempo strumento di soft power del regno saudita.
La situazione post-2011 sembra complicarsi sempre di più in tutto il Medio Oriente e la sensazione è che tutta l’area stia sfuggendo al controllo geo-strategico delle potenze, anche all’Arabia. Il regno, nonostante le sue manoeuvres, oggi più che mai è circondata da paesi sciiti, dopo che qualche giorno fa in Yemen un colpo di stato dei ribelli sciiti Houti ha portato alle dimissioni dell’ormai ex capo di governo Hadi, e dopo che le forze curde sembrano avanzare nella riconquista di Kobane, nel nord della Siria, strappandola al controllo dello Stato Islamico.
Non cade quindi Assad, e non vacilla nemmeno l’altro potere ostile, l’Iran, anzi sembrano andare verso un parziale disgelo addirittura le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, oltre alla solida amicizia del paese con la Russia di Putin, il quale ha posto il veto sulla risoluzione ONU per un intervento in Siria. Sembrano non arrestarsi nemmeno le proteste in Egitto, con le manifestazioni dei giorni scorsi per il quarto anniversario della rivoluzione, quando la polizia ha ucciso 16 manifestanti, riconfermando quindi l’instabilità politica dell’alleato saudita nell’area.
Un’altra nuvola si affaccia all’orizzonte saudita: crollano i prezzi del petrolio. L’Economist parla di un ribasso del 40% da giugno 2014 a dicembre e sebbene l’Arabia abbia riserve per 900 miliardi di dollari, le cifre rimangono inquietanti per un paese ad economia rentier (cioè basata sulle entrate derivate esclusivamente dalla vendita del petrolio, ndr), perché il crollo dei prezzi è conseguenza del crollo della domanda: se il greggio è sempre meno richiesto, poco conta l’ammontare delle riserve.
Non bisogna sottovalutare che in uno stato rentier, il consenso politico si regge in buona parte sulla capacità della monarchia di garantire standard di vita elevati alla popolazione, a loro volta derivanti dai profitti petroliferi.
Messaggi di dolore ed elogi si sono susseguiti nei giorni immediatamente successivi alla morte del sovrano da parte della grande maggioranza dei capi di stato e di governo dei paesi occidentali, che hanno plaudito le sue doti come leader. Il paese che secondo Freedom House si piazza all’ultimo posto nella classifica sul rispetto delle libertà civili e le libertà politiche, in concorrenza al ribasso solo con la Corea del Nord, nonostante il quadro che si è venuto a delineare, sembra ancora essere l’alleato preferito dei governi occidentali, lungo una linea di continuità che ha unito l’Arabia Saudita e l’occidente in un’opposizione anti-comunista ieri, anti-sciita, anti-Gheddafi e anti-Assad oggi.
Rimangono quindi gli occhi puntati sulla politica saudita post-Abd’Allah, e sebbene non si prevedano significativi cambiamenti di rotta nella gestione della politica estera o sulle questioni riguardanti i diritti civili e politici sotto il regno di Salman, è indubbio che saranno le questioni economiche e di sicurezza a costituire lenuove sfide per i Saud.