Lasciamo Rio de Janeiro a bordo di un autobus coi sedili imbottiti, inclinabili come semi letto e l’hostess che ci porta la cena col vassoio. Contemporaneamente è la compagnia più economica che abbiamo trovato, io sono abituato ai malconci autobus balcanici e quando appoggio la testa sullo schienale morbido mi sento uno sceicco. Per uscire da Rio attraversiamo tutta la zona nord, una sconfinata favela che si stende fino all’orizzonte per chilometri e chilometri, poi d’improvviso la città finisce, sostituita da boschi di eucalipti, colline verdeggianti tapezzate d’erba con qualche palma qua e là. La terra rossa esce da alcune spaccature del terreno simili a ferite.
Arriviamo all’aurora nella città delle tre frontiere, meglio: nelle tre città che funzionano come se fosse una ma che restano divise dai fiumi Paranà e Iguazú. Foz de Iguazú (Brasile), Puerto Iguazu (Argentina) e Ciudad del Este (Paraguay) sono collegate con due ponti simbolicamente chiamati ponte de la amistad e ponte de la fraternidad. Noi scendiamo in Brasile alla frontiera con il Paraguay e prendiamo un autobus locale per l’Argentina.
Per chi è del posto i controlli alla frontiera non sono obbligatori: “I residenti hanno un lasciapassare valido cinquanta chilometri oltre il confine” ci racconta Felipe, tassista argentino “se non superiamo questo limite possiamo andare e venire come vogliamo. Per un viaggio più lungo invece abbiamo bisogno di registrarci all’ufficio immigrazione, sennò le multe sono molto salate. In questo caso potremmo anche figurare come clandestini”. Ponte de la amistad, tra Foz de Iguazú e Ciudad del Este è in tutto e per tutto un ponte cittadino e metropolitano: c’è un fluente viavai di pedoni e gente che torna dal lavoro in Brasile, motociclette, mototaxi, furgoncini. C’è molta confusione, una guardia controlla svogliatamente il movimento asciugandosi il sudore da sotto al cappello.
Per gli stranieri invece la situazione è diversa e ai limiti del ridicolo, soprattutto nel ponte de la fraternidad che collega il Brasile con l’Argentina. Il servizio di bus pubblico ti porta fino alla prima dogana, ti fa scendere lasciandoti un coupon valido per il bus successivo, passi per il primo sportello immigrazione per uscire dal paese, aspetti quindi che passi un secondo bus, la storia si ripete alla dogana per entrare in Argentina. Tempi di percorrenza da esodo biblico.
Se in questo punto, tra Rio Paranà e Rio Iguazú si trovano i confini di tre Paesi lo si deve principalmente alla provincia argentina di Missiones, un territorio a forma di dito, che spunta oltre i confini nazionali per allungarsi verso il Brasile e aggrapparsi fino al fiume. Qui dove oggi sono installate tre colonne, con i rispettivi colori nazionali, ai bordi del fiume.
Questa zona è stata conquistata e difesa da José Gervasio Artigas, comandante partigiano delle Provincie unite del Rio de la Plata. Andresito, così come è conosciuto da tutti qui, conquistò e difese la regione dal 1811 al 1819. Il comandante Andrés era un indio Guaranì, tanto sarebbe bastato per escluderlo dalla storiografia ufficiale, se non fosse per il forte legame con José Gervasio Artigas, generale della Banda Oriental (attuale Uruguay) che lo adottò come figlio e gli permise di firmarsi ufficialmente Andrés Artigas. Andresito morì in una prigione di Rio de Janeiro nel 1821 e non molta fortuna in più ebbero in seguito gli indios Garanì.
Quando arriviamo a Puerto Iguazu capisco perché attraversare la frontiera col bus pubblico richiede così tanto tempo. Esiste una compagnia degli autobus privata, molto più cara, la sola che sul lato argentino trasporta i turisti. Sembra che con qualche biglietto da cento pesos di mancia riescano a oliare meglio le ruote dell’amministrazione pubblica.
Il turismo è una delle risorse più importanti della zona, grazie al parco naturale di Iguazú, creato già nel 1934 e condiviso tra Argentina e Brasile. L’attrazione principale del parco sono le cascate della Garganta del Diablo, un complesso di 275 cascate alte 80 metri, dove si riversano le acque del Rio Iguazú. Le passerelle che portano fino al limite delle cascate regalano una vista mozzafiato, che riesce a togliere le parole di bocca, la potenza delle acque sprigiona un’energia di vapore che sale a centinaia di metri d’altezza riflettendo la luce del sole in arcobaleno. Il parco di Iguazú, dal 1986 patrimonio dell’umanità UNESCO, protegge una lunga serie di specie vegetali e animali, insetti e rettili di origine autoctona. Tra i più importanti ci sono i tapiri, i giaguari, i puma e i tucani. Qui al parco de Iguazú sono state girate le scene iniziali del film The Mission con Robert De Niro e Jeremy Irons. Il film racconta una storia avvenuta realmente: fin dalla firma del trattato de Tortedillas il 7 giugno 1494 il mondo fuori dall’Europa fu diviso in un duopolio tra l’impero spagnolo e quello portoghese, lungo il meridiano nord-sud che passa a 370 leghe (1770 chilometri) a est di Capo verde. Terra, acqua, piante, animali e uomini vennero inclusi in uno o nell’altro impero, senza tante formalità. Queste enormi cascate che vennero a trovarsi poco lontano dall’immaginaria linea di frontiera divennero terra di caccia e di conquista. Le missioni gesuitiche furono le uniche a battersi per la sopravvivenza degli indigeni del posto, che finirono miseramente uccisi o venduti come schiavi.
Il parco naturale negli anni è diventato un’attrazione turistica tra le più importanti. Foz de Iguazú e Puerto Iguazu sono invase da alberghi, ristoranti, pub, casinò, punti ristoro, centri per il trekking, le escursioni a cavallo, in elicottero e i giri in gommone lungo il fiume: nonostante la magnificenza del posto sembra di essere a Disneyland. Solo la parte argentina del parco conta un milione e mezzo di visitatori ogni anno, con una media di più di 7000 al giorno in alta stagione. Il parco di Iguazu infatti è gestito direttamente dal ministero per il turismo, lasciando a pochi e insufficienti rangers il compito di sorvegliare più di 67 mila ettari di riserva contro il bracconaggio, il furto di legname, fiori variopinti o animali rari in via di estinzione.
Ad approfittare del cambio e delle frontiere non sono solo le agenzie turistiche e le tante attività private legate al flusso di visitatori verso la cascate di Iguazú, ma anche e soprattutto i commerci illegali. L’estrema facilità con cui i residenti passano la frontiera rende la situazione perfetta per il traffico clandestino delle merci: sigarette, alcool, droga. Una sorta di sottobosco nascosto del Mercosur dove passa praticamente qualsiasi tipo di prodotto. Compresa la cocaina boliviana, che anche attraverso questa frontiera giunge ai Commandos dnelle favelas in Brasile, che poi la rivendono verso l’Angola o l’Europa. Mi dico che in qualche maniera io e Alessia stiamo facendo il percorso della coca al rovescio.
Nonostante gli aspetti negativi, le frontiere hanno aiutato anche il commercio e il lavoro onesto. A Foz de Iguazú vivono e risiedono ufficialmente 52 etnie e comunità differenti. Dagli italiani, polacchi e tedeschi che a più riprese sono emigrati qui in cerca di lavoro e opportunità, fino a una delle comunità arabe più numerose del Sud America, prevalentemente libanese, che ha da poco terminato la costruzione di una nuova e bella moschea bianca, in pieno centro cittadino. Il primo a parlarcene fu uno dei rangers argentini del parco, mentre in jeep ci scortava attraverso il parco di Iguazú per il mio reportage sull’uso delle risorse idriche nella regione: “Ci sono molti arabi in città, si confondono fra i tanti immigranti di queste zone. Sono venuti in cerca di opportunità, sono persone dotate di un buon talento per il commercio e questa città è l’ideale per loro”. La storia della comunità libanese di Foz de Iguazú m’incuriosisce, vorrei fermarmi per saperne di più, sulla pianta della città spunta anche una Avenue Palestina, la sola intitolata ad un paese mediorientale. Purtroppo però il tempo stringe: l’ultimo passaggio di paese cittadino ci aspetta, per entrare in Paraguay.
Lungo il Rio Paranà, a qualche chilometro verso nord da Ciudad del Este c’è anche una delle centrali idroelettriche più grandi e importanti del mondo: quella di Itaipù Binacional, proprietà condivisa di Brasile e Paraguay. Costruita nel 1975 la centrale idroelettrica di Itaipù è ancora oggi una delle più grandi del pianeta, capace di produrre praticamente tutta l’energia elettrica di cui il Paraguay ha bisogno e quasi il 20% di quello che serve a un gigante come il Brasile. Il giro in autobus organizzato dall’ufficio del turismo paraguaiano passa sopra e sotto alla centrale, attraversando più volte le due frontiere, esaltando l’unità dei due popoli e dell’ingegneria civile al servizio del bene pubblico. Al termine del giro, dal fondo del bus parte un applauso spontaneo. Quello che però viene taciuto su questa grande opera, indiscutibilmente ben fatta, sono gli enormi impatti ambientali. Per la costruzione della centrale si rese necessario deviare il letto del fiume ed espropriare e distruggere ettari di foresta, dove vivevano specie oggi scomparse. Oltre che ai suoi abitanti originari: gli indios guaranì. Praticamente bisbigliato dalla guida durante le spiegazioni l’esproprio dei Guaranì è tacitamente sommerso dal frastuono delle venti turbine e dei 30’000 posti di lavoro. Della cultura Guaranì oggi rimane solo uno striminzito museo, posto fuori mano e senza troppe indicazioni per raggiungerlo, quando chiediamo informazioni ci dicono che è chiuso per ristrutturazione ma passandoci davanti a me sembra piuttosto coperto di polvere.
Qui a Iguazu quella che fu la cultura autoctona è ormai scomparsa da decenni, i Guaranì residenti sono per la maggior parte campesinos, tra questi molti sono cacciatori di frode e bracconieri all’interno del parco. La rimanenza sembra dedicarsi tutta alla vendita di oggetti folkloristici per i turisti in fila all’ingresso del parco naturale. In qualche maniera anche loro, come i loro antenati, devono alla foresta la loro sopravvivenza.
Qui a Iguazu, nel perno centrale dei mercati del Mercosur, è chiaro che l’unità sudamericana esiste ed è efficentissima, ma i soli ad approfittarne sono gli uffici del turismo argentino e brasiliano e il contrabbando: per tutti gli altri le frontiere, visibili o invisibili che siano, esistono eccome.